Basta aumenti Iva

Francesco Forte – Il Giornale

Circolano due notizie inquietanti. L’Unione europea avrebbe chiesto all’Italia di aumentare al 10% l’Iva, attualmente al 4% per i generi alimentari e altri beni di prima necessità. E il Pil italiano quest’anno anziché crescere dello zero, come si è visto dai dati sino a luglio, decrescerebbe secondo l’Ocse dello 0,4 (con un peggioramento nel secondo semestre) e ciò danneggerebbe l’equilibrio di bilancio e il rapporto debito/Pil. Di qui una manovra correttiva, che verrebbe attuata sul lato delle imposte, anziché sul lato delle spese e delle privatizzazioni.

Se si seguisse la prima tesi, insieme alla seconda, ciò diventerebbe un vero suicidio. E i famosi 80 euro in busta paga apparirebbero una presa in giro, insensata. Che il Pil debba decrescere dello 0,4 in Italia nel 2014 mentre quello medio dell’Eurozona avrà comunque secondo l’Ocse un modesto andamento positivo, è qualcosa che dipende da ciò che Renzi si deciderà a fare, tanto per il decreto Sblocca Italia, che ancora non è operativo, quanto per l’urgentissima liberalizzazione del mercato del lavoro, di continuo rimandata e ridimensionata.

Comunque, in questo frangente, il governo non si può permettere un aumento generale al 10% dell’aliquota Iva del 4%, che in parte ricadrebbe, come maggior onere, sui consumatori e in parte rimarrebbe a carico delle imprese, accrescendo la crisi che serpeggia in molti esercizi commerciali e in molte imprese dei beni di largo consumo. E non si potrebbe neppure addurre l’argomento adottato per aumentare le imposte sugli immobili e reintrodurre quella sulla prima casa, ossia che esse riguardano i proprietari (come se non ci fossero persone a basso reddito che lo integranti con qualche modesto possesso immobiliare). L’aliquota Iva del 4% riguarda frutta, pasta, pane, verdura, latte, latticini, formaggi, cereali, pesce, crostacei, fertilizzanti, giornali, articoli per disabili, medicinali, vendita di prima casa e analoghi beni considerati di prima necessità.

Guardando con attenzione la lista, si trova che qualche aliquota del 4% è un privilegio, ma non sembra che lo si possa dire per l’elenco di massima appena esposto. Se è vero che esiste una richiesta dell’Unione europea di aumento dell’aliquota dal 4% al 10%, ciò non può riguardare i beni di consumo nella fase finale, perché questa tassazione è competenza dei singoli Paesi. Al massimo la richiesta europea per il consumo finale è di adottare l’aliquota ridotta comunitaria del 5% e non del 4%, ma l’Italia non è l’unico Paese che ha ottenuto questa piccola deroga.

Ciò che l’Unione europea ci può chiedere è di portare al 10% l’aliquota prelevata sui beni importati, per armonizzare il traffico internazionale comunitario. Questo può convenire anche a noi, perché ci consente di penalizzare le aziende produttive e gli esercizi commerciali che non fatturano l’Iva alla propria clientela. Essi perderebbero il diritto al rimborso del 10% sulla merce importata corrispondente e la loro concorrenza sleale rispetto agli esercizi che effettuano le fatturazioni diminuirebbe. L’Iva al confine per il traffico extracomunitario si controlla facilmente per i beni di massa di natura agroalimentare dato il loro volume e dato che, quando si tratta di prodotti freschi, si debbono adottare veicoli speciali a ciò attrezzati, Per il traffico comunitario non c’è la tassazione al confine, ma per i veicoli che trasportano i prodotti freschi è agevole fare i controlli presso i luoghi di destinazione all’ingrosso. Questo gettito comporta un recupero di imposte evase e non un onere per il consumatore, posto che alla fase finale il tributo rimanga al 4%.

Per il pane, la pasta, il latte, la frutta e la verdura ecc. che si vende nei negozi, la decisione dell’aumento appartiene al governo italiano. E sarebbe una ingiuria al buon senso l’effettuare questo aumento proprio ora, che la gente tira già la cinghia e che c’è scoraggiamento. Se il Pil diminuisce, anziché crescere di zero, il governo deve tagliare le pubbliche spese di natura variabile, non aumentare le entrate. In una famiglia, se il reddito cala, si tagliano tutte le spese variabili, non solo quelle dei biondi e non dei bruni e dei calvi o viceversa.