La carica delle slot 2.0, raccolgono soldi in Italia e pagano le tasse all’estero

Alessandro Barbera – La Stampa

A Bolzano, dove il gioco l’hanno dichiarato illegale tout court con una grida di stampo manzoniano, nei bar si trovano ormai solo quelli. Si chiamano «totem», e somigliano in tutto per tutto a bancomat per il prelievo di contante. All’ultima fiera del settore, a Roma, sono andati a ruba. Ne vendevano di ogni tipo: neri o colorati, multitouch, con distributore di gettoni o ricariche per cellulare. Per quanto tentino di camuffarle, altro non sono che macchine per il gioco on line: poker, gratta e vinci, scommesse sportive. Non sono le slot machine tradizionali, quelle macchine protagoniste di una querelle iniziata ai tempi di Vincenzo Visco su quanto dovessero versare al fisco. I «totem» non sono collegati alla rete dei Monopoli, non sono gestiti dai concessionari italiani, non pagano le tasse in Italia. I totem sono collegati a internet, e pagano le tasse dove sta il concessionario che le gestisce. Poco importa se in un paradiso fiscale, in Gran Bretagna o a Malta. Un ordine del giorno presentato alla Camera pochi giorni fa ha chiesto al governo di «rafforzare gli interventi repressivi», nel timore che finiscano per far crollare il gettito dei concessionari italiani.

Per capire il perché di questa esplosione occorre leggere un passaggio dell’articolo 44 della legge di Stabilità, quello che aumenta per quasi un miliardo il prelievo sulle slot machine dei concessionari italiani. «In attesa del riordino della disciplina in materia di giochi pubblici» e «per assicurare parità di condizione fra imprese che offrono scommesse per conto dello Stato e persone che offrono comunque scommesse con vincite in denaro»›…segue una lunga lista di disposizioni. In sintesi: i totem non sono autorizzati, ma nemmeno del tutto illegali. Basta scorrere la lunga serie di dissequestri avvenuti negli ultimi mesi: a Bolzano, a Venezia, Roma, Castel di Sangro, Catania. La Guardia di Finanza chiude i centri, il giudice non convalida. La ratio è la stessa che già nel 2012 aveva permesso il dissequestro di un centro scommesse di Stanleybet, la multinazionale inglese con sede a Liverpool. In quel caso il giudice sottolineò l’«assoluto dispregio delle regole comunitarie nella distribuzione delle concessioni».

Nel settore dei giochi, come già è accaduto nel caso di Google, tracciare il confine fra ciò che è italiano e ciò che non lo è a fini fiscali è sempre più difficile. Lo dimostra la soluzione kafkiana scelta dall’articolo 44 per una delle sanzioni da infliggere a chi installa un totem: non è pagata per l’apparecchio cosiddetto «abusivo», ma per ciascuno degli apparecchi installati e dotati di regolare concessione. La norma sembra folle ma non lo é: serve a dissuadere i gestori delle macchine dal far installare apparecchi «legali» negli stessi spazi dei totem.

Fino a che lo Stato non riuscirà a farsi pagare le tasse dai gestori stranieri non resta che farne pagare di più a chi ha una concessione in Italia. L’articolo 44 aumenta la tassa a carico delle vincite fino al 9 per cento per le videolotterie (oggi è al 5 per cento, tre anni fa era del 2), al 17 per cento (oggi è del 12 per cento) per le altre macchine come ad esempio il videpoker: per i concessionari italiani significherebbe azzerare o quasi i margini. Per limitare l’impatto dell’aumento, il governo propone di abbassare la vincita a chi gioca, riducendo la percentuale minima dal 75 al 70 per cento. C’è un ma: la revisione delle quote significa intervenire sul software di ciascuna slot. Secondo Fabio Schiavolin di Cogetech per adeguare le macchine sono necessari «da un anno a un anno e mezzo»: il rischio è quello di un nuovo maxicontenzioso. Confindustria stima che nel frattempo saranno stati persi 75mila posti di lavoro e fino a un quarto del gettito fiscale. Non un grande affare.