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Dove finisce l’export Made in Italy? Campania e Toscana protagoniste del primo semestre 2023.

Dove finisce l’export Made in Italy? Campania e Toscana protagoniste del primo semestre 2023.

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Il fenomeno del “Made in Italy” non ferma la sua corsa. L’Italia è il secondo Paese europeo che ha esportato di più nel primo semestre del 2023. Lo studio del Centro Studi ImpresaLavoro offre una panoramica sul valore delle esportazioni in Italia, rielaborando i dati ISTAT 2022-2023 ed Eurostat 2023, con una prospettiva aggiornata dei Paesi verso cui l’Italia esporta e delle categorie di prodotti più richiesti all’estero.

Tra le regioni italiane eccelle al Centro la Toscana e al Sud la Campania. Il nord si riconferma protagonista assoluto dell’export nazionale.

L’Italia si riconferma un ottimo esportatore (+4,2% rispetto al 2022), secondo soltanto alla Germania come miglior Paese a livello europeo per esportazioni extra-UE. Lo rileva uno studio condotto dal Centro Studi ImpresaLavoro, dell’imprenditore Massimo Blasoni, che, su rielaborazione dei dati ISTAT 2022-2023 sulle esportazioni delle regioni italiane nel primo semestre del 2022 e 2023 ed Eurostat 2023 sulle esportazioni dei paesi nella zona Euro, ha osservato come siano distribuiti i volumi di esportazioni in Italia, suddividendoli per macroaree geografiche, e in Europa. Al Nord svetta la Lombardia (con il 26,2% sulle esportazioni totali), al Centro la Toscana (9,0%) risulta il miglior esportatore, mentre Sud e isole vengono trainate dalla Campania (3,2%). Per quanto riguarda i beni esportati, l’Italia esporta per il 95,1% prodotti manifatturieri, che rimangono principalmente in Europa. Il 52,7% dei beni prodotti ed esportati dall’Italia sono destinati, infatti, entro i confini EU.

«Come evidenziano i dati, l’Italia resta uno dei più grandi Paesi esportatori europei, il secondo in Europa per esportazioni extra-UE nel periodo gennaio-luglio 2023» – dichiara Massimo Blasoni, Presidente del Centro Studi ImpresaLavoro – «Le regioni settentrionali restano il traino delle esportazioni. Crescono molto, però, regioni del Sud come la Campania. Il connubio di qualità, affidabilità e stile che contraddistingue il marchio del “made in Italy” restano una garanzia in tutto il mondo».

L’export in Italia

L’export in Italia è in leggero miglioramento per il primo semestre del 2023, se paragonato allo stesso periodo del 2022. Per tutte le macroaree della penisola (Nord, Centro e Sud e isole), le variazioni percentuale rispetto al semestre gennaio-giugno dello scorso anno sono in positivo, soprattutto al Centro dove si è registrato un +5,3% in più rispetto al 2022 (Tabella 1). Nonostante ciò, sono le regioni del Nord le principali esportatrici del made in Italy.

Tabella 1. Variazioni percentuali esportazioni gennaio-giugno 2022/2023

202220232022/2023
milioni di euro%milioni di euro%variazioni %
Nord214.27469,9%223.61570,0%+4,4%
Centro55.74318,2%58.70918,4%+5,3%
Sud e isole32.64510,6%33.06310,3%+1,3%
Province diverse non specificate4.0661,3%4.0881,3%+0,5%
ITALIA306.728100%319.474100%+4,2%
Rielaborazione su base ISTAT

In un’Italia esportatrice a trazione settentrionale, altre eccellenze emergono, tuttavia, nel resto della penisola. Al centro il maggior esportatore è la Toscana, nonché la quinta regione in Italia per fatturato (tabella 2); infine, al Sud primeggia la Campania (ottava in Italia), che in questo primo semestre del 2023 da sola esporta più di Sardegna e Sicilia combinate.

Tabella 2. Esportazioni totali gennaio-giugno 2022/2023

Ripartizioni e regioniGen-Giu 2023
milioni di euro%
Piemonte32.85010,3
Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste4150,1
Liguria5.4971,7
Lombardia83.59426,2
Trentino-Alto Adige/Südtirol6.1301,9
Veneto42.04613,2
Friuli-Venezia Giulia9.5423,0
Emilia-Romagna43.54113,6
NORD223.61570,0
Toscana28.7889,0
Umbria2.8830,9
Marche12.2623,8
Lazio14.7764,6
CENTRO58.70918,4
Abruzzo5.1121,6
Molise5910,2
Campania10.3373,2
Puglia5.0191,6
Basilicata1.6450,5
Calabria4320,1
Sicilia6.7102,1
Sardegna3.2151,0
SUD E ISOLE33.06310,3
Province diverse e non specificate4.0881,3
ITALIA319.474100,0
Rielaborazione su base ISTAT

Secondo un’analisi ISTAT, della totalità dei beni esportati il 96,9% per il nord, il 95,1% per il centro ed il 93,6% per il Sud e isole sono prodotti delle attività manifatturiere, ossia prodotti alimentari, prodotti tessili, mobili, autoveicoli, articoli di abbigliamento, legno e prodotti in legno, macchinari ed apparecchi elettrici.

Tabella 3. Composizioni percentuali per settore. Gennaio-giugno 2023.

NordCentroSud e IsoleITALIA
Prodotti agricoli, della silvicoltura e ittici1,3%1,2%3,4%1,4%
Prodotti dell’estrazione di minerali da cave e miniere0,1%0,3%1,4%0,4%
Prodotti delle attività manifatturiere96,9%95,1%93,6%95,1%
Energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata0,0%0,0%0,0%0,1%
Prodotti delle attività di trattamento dei rifiuti e risanamento0,5%0,2%0,3%0,4%
Altri prodotti n.c.a.1,2%3,2%1,2%2,5%
TOTALE100%100%100%100%
Rielaborazione su base ISTAT

Dove finiscono le esportazioni italiane?

Considerando la percentuale di esportazione per ogni macroarea, è evidente che l’Italia “preferisca” esportare verso i Paesi UE (52,7%) piuttosto che extra UE (47,3%). Secondo l’ISTAT, per valore delle esportazioni, i beni italiani sono particolarmente apprezzati dalla Germania: il 12,3% dei beni totali prodotti vengono esportati (Tabella 4). È il Nord Italia il principale interlocutore del mercato tedesco, dove arrivano ben il 13,6% dei suoi prodotti. Sorprende, invece, l’Austria che rimane ad un complessivo 2,3% di esportazioni totali, nonostante l’estrema vicinanza al Paese.

Oltre che al mercato europeo, i beni italiani sono destinati anche ai Paesi d’oltreoceano: gli Stati Uniti, ad esempio, assorbono 1 prodotto italiano su 10 destinato all’export. Nel caso dei principali Paesi asiatici, invece, la percentuale è relativamente più bassa: Cina (3,5%), Giappone (1,3%) e India (0,8%) sono le principali potenze verso le quali si esporta e, se combinati tutti i paesi dell’Asia, si arriva ad un solido 9,8% del complessivo esportato dall’Italia nel mondo.

Tabella 4. Composizioni percentuali per aree geografiche. Gennaio-giugno 2023.

NordCentroSud e IsoleITALIA
2023202320232023
Paesi Ue:55,648,047,652,7
Area euro44,040,138,742,3
     Austria2,71,51,12,3
     Belgio2,46,92,13,1
     Francia11,29,38,310,4
     Germania13,69,610,812,3
     Paesi Bassi2,84,03,03,0
     Spagna5,44,56,95,3
Polonia3,42,82,13,1
Repubblica ceca1,70,71,01,4
Romania1,91,11,31,6
Paesi extra Ue:44,452,052,447,3
     Regno Unito4,33,84,64,2
     Russia0,90,50,30,8
     Svizzera4,15,97,64,9
     Turchia2,12,03,42,2
America settentrionale10,811,412,811,0
     Stati Uniti9,810,411,710,0
America centro-meridionale3,22,42,53,0
Medio Oriente3,93,72,83,8
Altri paesi asiatici9,115,05,79,8
     Cina2,68,41,33,5
     Giappone1,31,11,31,3
     India1,00,60,30,8
Oceania e altri territori1,33,21,02,5
OPEC3,03,14,03,1
Mercosur1,20,71,11,1
ASEAN1,61,21,21,5
Mondo100,0100,0100,0100,0
Rielaborazione su base ISTAT

Export italiano versus export europeo

Ma come si posiziona l’ottima performance italiana rispetto ai propri vicini?

A definirlo è un’analisi Eurostat che riporta tutti i volumi di fatturato generati da tutti i paesi dell’UE nel periodo gennaio-luglio 2023 sia per export intra-UE che extra-UE: l’Italia si posiziona al secondo posto per esportazioni fuori dall’Unione Europea (177 miliardi di euro). Per quanto riguarda, invece, le esportazioni intra-UE, l’Italia scende al quinto posto, aggiudicandosi il terzo posto come maggior esportatore europeo.

Tabella 5. Esportazioni totali degli stati membro dell’Unione Europea

Gen-Lug 2023 
TotaleIntra-EUExtra-EU
1.Germania923,6504,5419,1
2.Olanda509,5357,2152,3
3.Italia373,0196,0177,0
4.Francia356,9200,8156,2
5.Belgio312,9214,998,1
mlrd €
Rielaborazione su base ISTAT
Imprenditori stranieri in Italia: Liguria e Toscana ai primi posti della classifica regionale

Imprenditori stranieri in Italia: Liguria e Toscana ai primi posti della classifica regionale

Nell’ambito del più ampio discorso inerente i lavoratori extracomunitari in Italia, una tematica di rilevante interesse è costituita dalle attività imprenditoriali possedute o fondate da imprenditori stranieri nel nostro Paese.

Un’elaborazione del Centro Studi ImpresaLavoro, su dati Unioncamere e InfoCamere, rileva che nel 2021 le imprese possedute da titolari extracomunitari fossero 393.517, un dato addirittura in aumento di 2.632 unità rispetto all’anno precedente, rappresentando una significativa quota, del 12,6%, delle imprese totali attive in Italia.

Rapportando il dato alle imprese complessive presenti nelle varie regioni italiane, risulta che le imprese di titolari extracomunitari rappresentano un peso percentuale di notevole valore. Troviamo, infatti, che esse esprimono il 19% delle imprese complessive registrate in Liguria, il 18,6% in Toscana, il 17,6% in Lombardia e il 16,9% in Lazio.


Fonte: Rielaborazione Centro Studi ImpresaLavoro su dati Unione-InfoCamere

Tuttavia, per quanto concerne i numeri assoluti, sul podio delle regioni con più imprenditori extracomunitari si posizionano Lombardia con 71.665 titolari, Lazio con 42.883 e Campania con 39.527.


Fonte: Rielaborazione Centro Studi ImpresaLavoro dal XII Rapporto “Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia” Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 2022

A parte gli outlier rappresentati da Lombardia e Lazio, si può notare come vi sia una distribuzione omogenea che si attesta sulle 30.000 unità tra Campania, Toscana, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte, rappresentando una tendenza all’apertura di attività da parte di imprenditori extracomunitari nel Centro Italia e nel Nord. Si riscontrano invece presenze di imprenditori extra UE nettamente più esigue in tutte le altre regioni del Paese e indistintamente tra Nord, Centro e Sud.

Dalla rielaborazione del Centro Studi ImpresaLavoro del “XII Rapporto annuale. Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia”, prodotto annualmente dal Ministero del Lavoro, si è potuto rilevare come i settori di predilezione degli imprenditori extra UE siano per il 41,2% i settori di commercio all’ingrosso, al dettaglio e riparazione autoveicoli, per il 22,4% il settore delle costruzioni, per il 7,9% attività manifatturiere, 6,2% noleggio, agenzie viaggio, servizi di supporto alle imprese e, infine, per il 6,1% per le attività di servizi alloggio e di ristorazione.

Un dato interessante riguarda poi le nazionalità di provenienza prioritarie degli imprenditori extracomunitari. Al primo posto si posizionano gli imprenditori di origine marocchina, che 64.173 titolari di imprese. Solo al secondo posto si posiziona la comunità cinese alla quale appartengono 53.297 imprenditori; seguono poi gli imprenditori albanesi (33.294), cingalesi (30.682), pakistani (19.642) ed egiziani (18.782).

Nonostante i numeri, di primo acchito, possono sicuramente essere inaspettati, è significativo il fatto che quasi la totalità di queste imprese sono ditte individuali e poche superano la decina di addetti.

Infatti, approfondendo la ricerca sull’analisi dimensionale delle attività, si rileva che il 15% delle imprese di imprenditori extracomunitari non ha nessun dipendente, il 63,2% impiega solo una unità, il 18,9% impiega da 2 a 5 dipendenti, l’1,7% da 6 a 9, solo lo 0,6% da 10 a 19 e lo 0,1% da 29 a 49. Infine, si rileva che soltanto lo 0,01% di imprenditori extracomunitari dà lavoro a più di 50 addetti (media impresa).


Fonte: Rielaborazione Centro Studi ImpresaLavoro su dati Unioncamere-InfoCamere
 

“I dati sono significativi” – dichiara Massimo Blasoni, Presidente di Impresa Lavoro – “e dimostrano che è in atto un processo di integrazione di cittadini extracomunitari anche in ambito economico. Il tessuto della piccola impresa appare particolarmente attrattivo. Credo che il processo non possa che essere interpretato positivamente come elemento di ulteriore ricchezza della nostra economia e della nostra capacità di creare occupazione. I dati dimostrano che flussi regolamentati di lavoratori stranieri rafforzano e non indeboliscono il nostro Paese”.

Addio, Giuseppe

Addio, Giuseppe

Sabato 8 aprile 2023 è scomparso Giuseppe Pennisi.

Stava con la sua famiglia. In queste settimane è stato circondato dall’affetto e dalla vicinanza di molti.

Nato a Roma nel 1942, orgoglioso di essere nominato Grand’Ufficiale all’Ordine al Merito della Repubblica. Ha avuto una prima carriera negli Usa (Banca mondiale) sino alla metà degli Anni Ottanta. Rientrato in Italia è stato Dirigente Generale ai Ministeri del Bilancio e del Lavoro e docente di economia al Bologna Center della Johns Hopkins University e della Scuola Nazionale d’Amministrazione, di cui ha coordinato il programma economico dal 1995 al 2009 quando è andato in pensione per limiti di età. In seguito, ha insegnato per quattro anni alla Università Link e per cinque alla Università Europea di Roma. È stato consulente della Cassa Depositi e Prestiti per cinque anni e consigliere del CNEL per otto anni.

Frequente collaboratore di quotidiani e periodici, ha scritto, in materia economica per anni per Il Sole24Ore, Il Messaggero, Il Corriere della Sera, i quotidiani del Gruppo Finegli e dal 1994 regolarmente per Avvenire nonché dal 2010 per Il Sussidiario e Formiche, e per i periodici Mondoperaio ed IdeAzione.

Ha pubblicato una ventina di libri di economia e finanza in Italia, Usa, Gran Bretagna e Germania. Tra i suoi incarichi istituzionali, è stato consigliere d’amministrazione dell’Ipalmo, dello IAI, di Formautonomie e dell’Isfol, e componente dei consigli scientifici dell’ICE e dell’Università Europea di Roma, nonché del Consiglio Nazionale dei Beni Culturali e Paesaggistici.

Culture di musica classica, è stato Vice-Presidente del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto e critico musicale del settimanale Liberal dal 1996 al 2001 e del settimanale Il Domenicale dal 2001 al 2011, nonché dei quotidiani e periodici del Gruppo Class dal 2000 al 2015, del mensile Musica delle testate Opera Today del 2007 al 2010 e Classical Music Vision dal 2010, nonché de Il Sussidiario, di Formiche, di Art Tribune, del mensile Classica e del trimestrale Nuova Antologia.

Dal 2014 era Presidente del Board scientifico del Centro Studi ImpresaLavoro, con cui ha collaborato negli anni costantemente. Il suo contributo è stato prezioso. Lo ricordiamo tutti con affetto e stima.

É stato un uomo dal pensiero libero e aperto al mondo.

Un caloroso abbraccio alla famiglia.

L’ultimo saluto sarà martedì 11 aprile 2023 alle ore 11 nella chiesa di San Gioacchino in Prati, a Roma.

Valle d’Aosta e Trentino prime per numero di dipendenti pubblici. Italia: meno impiegati statali d’Europa

Valle d’Aosta e Trentino prime per numero di dipendenti pubblici. Italia: meno impiegati statali d’Europa

I 3 milioni e 250mila dipendenti pubblici italiani non si distribuiscono in modo omogeneo sul territorio nazionale in rapporto al numero degli abitanti: le regioni con il maggior numero di dipendenti statali sono la Valle D’Aosta e il Trentino Alto-Adige, con uno stacco netto rispetto alla media nazionale. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare e sempre con riferimento al totale degli occupati, in Italia il numero di dipendenti pubblici risulta inferiore a quello della maggior parte delle altre economie europee. Sono questi i dati più significativi che emergono da una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro dell’imprenditore Massimo Blasoni su elaborazione di dati OPI (Osservatorio su Politica e Istituzioni) e RGS (Ragioneria Generale dello Stato).

Quali sono le regioni con più dipendenti pubblici?

Una ricerca del Centro Studi ImpresaLavoro, sulla base dei dati riportati dall’Osservatorio su Politica e Istituzioni (OPI), ha rilevato un quadro interessante che riguarda la distribuzione dei dipendenti pubblici nelle Regioni d’Italia. Da questo lavoro, infatti, si evince che le Regioni con il maggior numero di dipendenti pubblici in rapporto agli abitanti siano Valle D’Aosta, Trentino-Alto Adige e Sicilia, a dispetto del diffuso cliché che dipinge le zone del Meridione come aree per eccellenza ad alta diffusione di assunzioni nel settore pubblico.

Queste tre regioni sono seguite poi da Liguria, Lazio, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia e Calabria, tutte sopra la media italiana che si attesta a 11,0 dipendenti pubblici per 1000 abitanti.

I più recenti dati, infatti, riportano un indice di unità lavorative pubbliche per 1000 abitanti di 48,6 per la Valle D’Aosta, 20,1 per Trentino-Alto Adige, 16,1 per Sicilia, circa 14,0 per Liguria, Lazio, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia e 13,7 per la Calabria. Le restanti regioni, invece, si omogenizzano su valori tra le 8,0 e le 10,0 unità di dipendenti pubblici ogni 1000 abitanti. Agli ultimi posti di collocano la Puglia (7,5), il Piemonte (8,5) e il Veneto (8,8).

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Osservatorio su Politica e Istituzioni.

Dove lavorano i dipendenti della PA?

Secondo i dati forniti dalla Ragioneria Generale dello Stato, nel 2021 i quasi 3.250.000 dipendenti della Pubblica Amministrazione sono inseriti per la maggior parte nei comparti inerenti l’ “istruzione e ricerca” (1.276.205 di personale dipendente) e “sanità” (669.990 unità di personale assunto). A questi due comparti che assorbono la maggiore forza lavoro statale, seguono i comparti di “personale in regime di diritto pubblico” impiegato in vari enti e partecipati (565.926), “funzioni locali” (486.198), “funzioni centrali” (206.119) e, infine, “comparto autonomo o fuori comparto” (44.899).

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Ragioneria Generale dello Stato.

E nel resto dell’Europa?

Ma come siamo posizionati rispetto agli altri Paesi dell’Eurozona?

Considerando i Paesi a noi comparabili demograficamente e socialmente, ovvero Francia, Regno Unito, Spagna e Germania, si rilevano almeno due aspetti significativi. Primariamente, in valori assoluti l’Italia risulta lo Stato, fra i citati, che ha meno dipendenti pubblici (il primo la Francia con 5.662.000 unità impiegate).

Il secondo dato di interesse ci rivela che l’Italia è all’ultimo posto, tra i comparables, per il numero di occupati nella Pubblica Amministrazione sul numero dei residenti. Infatti, il nostro Paese conta il 5,5% di dipendenti pubblici sul totale della popolazione residente. Nella classifica, invece, primeggia di nuovo la Francia con ben l’8,3% di dipendenti pubblici sul totale della popolazione, seguita dal Regno Unito (all’8,0%), dalla Spagna (7%) e dalla Germania (6%).

Se si guarda invece alle percentuali di occupazione nella P.A. rispetto al totale degli occupati, il nostro Paese si posiziona al penultimo posto con il 14,5%. Il Paese in cui il lavoro pubblico incide di meno sui posti di lavoro totali è la Germania, in cui solo l’11,1% è pubblico.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Ragioneria Generale dello Stato.

«I dati sul numero di dipendenti pubblici non sono rappresentativi, peraltro, dell’efficienza del lavoro della Pubblica Amministrazione» – commenta Massimo Blasoni, Presidente del Centro Studi ImpresaLavoro – «Ci sono ancora enormi problemi dal punto di vista della digitalizzazione e l’enorme burocrazia contribuisce a rendere poco efficiente e snello l’apparato statale. Colpisce, tuttavia, che diversamente dall’opinione comune, ci sono numerose regioni del Nord tra quelle con maggior numero di dipendenti pubblici in rapporto agli abitanti».

I giovani e il mercato del lavoro: tanti giovani non cercano lavoro. Non hanno voglia di lavorare o i salari sono troppo bassi?

I giovani e il mercato del lavoro: tanti giovani non cercano lavoro. Non hanno voglia di lavorare o i salari sono troppo bassi?

La fascia d’età canonicamente considerata dall’Istat 15-34 anni, per rilevare la percentuale dei giovani occupati in Italia, sconta evidentemente il fatto che i minori al lavoro sono fortunatamente pochissimi. Tuttavia, la percentuale di occupati nella fascia 15-34 evidenzia profonde differenze tra le regioni italiane. Il basso numero di giovani occupati trova in parte spiegazione con il decremento del salario medio nel nostro Paese. Dai dati OCSE sulla variazione percentuale dei salari medi annui negli ultimi 30 anni, si rileva che l’Italia è l’unico Paese, tra quelli considerati, in cui il salario medio annuo è sceso: -2,9%. Per converso, nello stesso periodo, in Germania l’incremento è stato del 33,7% e in Francia del 31,1%.

Occupazione in Italia

Nel 2021 in Italia gli occupati tra i 15-64 anni sono 21.849.198 che equivalgono ad una percentuale piuttosto bassa (37,04%) se si considera il totale della popolazione italiana (58.983.169). Il maggior numero di lavoratori si riscontra nella fascia d’età tra i 35-49 anni (15,05%). A seguire coloro che hanno tra i 50-64 anni (13,63%) e per ultimi i giovani tra i 15-34 anni (8,36%). È da considerare che, secondo le rilevazioni OCSE, solo il 3,1% dei giovani tra i 15-19 anni lavora (4,2% uomini e 2,0% donne).

A livello regionale si conferma la stessa panoramica presentata per il contesto nazionale. Infatti, la fascia d’età con il minor numero di occupati rimane quella dei giovani tra i 15-34 anni in tutte le regioni d’Italia. Le regioni con il maggior numero di occupazione giovanile sono il Trentino-Alto Adige (11,74%) – Provincia Autonoma di Bolzano (12,60%) e Trento (10,89%) – la Lombardia (9,89%), il Veneto (9,87%), l’Emilia-Romagna (9,48%), il Friuli-Venezia Giulia (9,31%), e il Piemonte (9,14%). Al contrario, il minor numero di giovani occupati si riscontra in Sicilia (5,82%), Calabria (6,32%), Campania (6,69%), Puglia (6,92%) e Molise e Sardegna (7,02%).

Il divario Nord-Sud evidenzia che i giovani sono più occupati al Nord-Est (9,84%) e al Nord-Ovest (9,48%) rispetto al Sud (6,62%).

Lo rivela una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro dell’imprenditore Massimo Blasoni, realizzata su elaborazione di dati ISTAT e OCSE.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati ISTAT

Il salario medio annuo

Sorge spontaneo chiedersi: perché i giovani non cercano lavoro in Italia? Non hanno voglia di lavorare o i salari sono troppo bassi? Hanno perso fiducia nelle loro prospettive di lavoro in Italia e stanno cercando altre opportunità all’estero?

Dai dati OCSE sulla variazione percentuale dei salari annuali medi tra il 1990 e il 2020 si evince che in alcuni Paesi come la Germania e la Francia il salario medio annuale è aumentato rispettivamente di +33,7% e +31,1%. L’Italia è l’unico Paese in cui negli ultimi 30 anni il salario medio annuo non è aumentato ma è, invece, diminuito (-2,9%).

«La ricerca evidenzia, da un lato, quanto sia elevato il numero dei giovani che non lavorano, ovvero che entrano nel mondo del lavoro dopo i 30 anni – commenta l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del Centro studi ImpresaLavoro – dall’altro ci suggerisce che il problema dei salari bassi esiste: l’Italia è l’unico Paese OCSE in cui il salario medio annuo negli ultimi 30 anni non è aumentato».

Elaborazione ImpresaLavoro su OCSE

Medici di base: prevalgono le regioni del Sud. Gli uomini battono le donne ma non in pediatria

Medici di base: prevalgono le regioni del Sud. Gli uomini battono le donne ma non in pediatria

I medici generici nelle regioni italiane

Il medico di famiglia, la figura responsabile dell’assistenza e dell’erogazione di tutte le cure integrate e continuative del paziente, è centrale nella vita di ognuno di noi. I crescenti dibattiti sullo stato in cui si trova la sanità italiana portano a porsi svariate domande alle quali darsi una risposta: quanti pazienti segue un singolo medico di base nelle regioni italiane? Quali sono i dati della medicina pediatrica? Ci sono più uomini o più donne ad esercitare la professione?

Nella maggior parte delle regioni italiane ciascun medico di base segue meno pazienti rispetto al proprio carico potenziale, ovvero il numero di pazienti che ogni medico generico potrebbe prendere a carico sulla base degli adulti residenti. Al contrario, i territori in cui si registra un numero di scelte superiore a quello del carico potenziale per medico sono il Lazio, la Puglia, il Molise e la Basilicata. Nella maggior parte delle Regioni del Nord, il numero degli adulti residenti per medico di base è più elevato rispetto alla media nazionale, evidenziando la Provincia Autonoma di Bolzano (1603 per medico generico), la Lombardia (1442 per medico generico), la Provincia Autonoma di Trento (1395 per medico generico) e il Veneto (1374 per medico generico). Contrariamente, nelle Regioni del Sud, il numero degli adulti residenti per medico generico è inferiore al livello nazionale, evidenziando la Basilicata (1039 per medico generico), il Molise (1045 per medico generico), l’Umbria (1049 per medico generico), l’Abruzzo e la Sicilia (1059 per medico generico). Lo rivela una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro dell’imprenditore Massimo Blasoni, realizzata su elaborazione di dati del Ministero della Salute e del FIMMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale).

Elaborazione ImpresaLavoro su dati del Ministero della Salute

Nel 2021 una ricerca eseguita dal FIMMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale) rileva che il 22,6% delle persone hanno un rapporto che dura da più di 20 anni con il proprio medico di famiglia. All’estremo opposto, il 21,3% degli adulti ha un rapporto da meno di 3 anni con il proprio medico di base.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati del FMMG (Federazione Italiana Medici di Famiglia)

I medici pediatri nelle diverse regioni italiane

Sulla base dei dati riportati dal Ministero della Salute, è possibile esaminare anche la situazione dei bambini e dei giovanissimi. Nel campo della medicina pediatrica, dove i professionisti sanitari accompagnano l’individuo dalla nascita fino ai 14 anni di età, emerge che in tutte le Regioni italiane il numero di bambini residenti per medico pediatra risulta essere maggiore rispetto al numero di scelte.  

A livello nazionale, ad ogni medico pediatra spetterebbero circa 967 bambini. Si evidenza un dato al di sopra della media nella Provincia Autonoma di Bolzano (1229 per pediatra), Piemonte (1215 per pediatra), in Friuli-Venezia Giulia (1093 per pediatra), in Lombardia (1071 per pediatra) e in Veneto (1065 per pediatra). Invece, le regioni con un dato inferiore alla media nazionale sono la Puglia (839 per pediatra), la Sicilia (850 per pediatra), l’Umbria (858 per pediatra), il Molise (862 per pediatra) e l’Emilia-Romagna (870 per pediatra).

Elaborazione ImpresaLavoro su dati del Ministero della Salute

Medici di base e medici pediatri per genere

Dai dati del Ministero della Salute, si evince che la branca della medicina generale risulta essere più popolata dagli uomini che dalle donne, soprattutto in Campania (75,6%), in Puglia (73,5%), in Molise (72,5%), Calabria e Sicilia (71,3%). La medicina pediatrica risulta avere meno uomini che donne, principalmente in Lombardia (23,3%), in Valle d’Aosta (25,0%), in Umbria (26,1%), in Piemonte (26,9%) e in Emilia-Romagna (27,6%).

Elaborazione ImpresaLavoro su dati del Ministero della Salute
Competenze digitali: Italia sotto la media europea. Valle d’Aosta e Lombardia possiedono i talenti del digitale.

Competenze digitali: Italia sotto la media europea. Valle d’Aosta e Lombardia possiedono i talenti del digitale.

Competenze digitali: quadro europeo

Nel 2021 in Europa gli individui che possiedono competenze digitali superiori al livello base sono in media il 26%. Sopra la media europea si collocano l’Olanda (52%), la Finlandia (48%), l’Islanda (45%), la Norvegia (43%), l’Irlanda e la Svizzera (40%). Al contrario, i Paesi con il numero minore sono l’Albania (4%), Bosnia ed Erzegovina (5%), Macedonia del Nord e Bulgaria (8%), Montenegro e Romania (9%). L’Italia si trova ancora sotto la media europea registrando il 23% di individui con competenze digitali superiori al livello base. Lo rivela una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro dell’imprenditore Massimo Blasoni, realizzata su elaborazione di dati Istat, Eurostat e Unioncamere sistema informativo.

Competenze digitali: quadro europeo


Elaborazione ImpresaLavoro su dati Eurostat 2021 – Livelli di competenze digitali degli individui

Quadro italiano: competenze digitali elevate

Le competenze digitali sono la chiave della futura trasformazione tecnologica della maggior parte delle aziende. Sempre più imprese richiedono ai propri dipendenti, oltre alle skills di base, di possedere competenze digitali elevate. Com’è, a tal proposito, la situazione italiana corrente?

A livello regionale, si evince che la percentuale degli individui che possiedono un livello elevato di competenze digitali si raggruppa nel Nord Italia, principalmente in Valle d’Aosta (28,3%), Lombardia (26,6%), Friuli-Venezia Giulia (25,8%), Trentino-Alto Adige (25,7%) ed Emilia-Romagna (25%). Al contrario, si nota un minor numero di individui che detengono competenze digitali elevate in Sicilia (14,4%), Campania (16,6%), Calabria (16,7%), Basilicata (17,8%) e Puglia (18%).

Le fasce d’età risultano essere un fattore importante: con l’aumento degli anni, infatti, il livello di competenze digitali diminuisce. I giovani tra i 20-24 anni possiedono un livello di competenze avanzato (41,5%) insieme ai ragazzi tra i 16-19 anni (36,2%). Il livello scende fra gli adulti tra i 45-54 anni (20,3%) e tra i 65-74 anni (4,4%).



Elaborazione ImpresaLavoro su dati ISTAT – BES 2020 – campione per 100 persone di 16-74 anni

Competenze digitali richieste dalle imprese con ripartizione territoriale

L’innovazione digitale comporta la necessità di nuove figure professionali qualificate dotate del giusto background di competenze tecnologiche di base e specialistiche. Quali sono le competenze digitali richieste dalle imprese italiane? Dove si concentra maggiormente questa richiesta?

Nel 2021 si evince che la richiesta da parte delle imprese di competenze digitali e linguaggi e metodi matematici è maggiore al Nord Ovest rispetto al resto del Paese. In Italia sono particolarmente richieste le competenze digitali elevate al Nord Ovest (23,4%), al Centro (21,8%), al Sud e nelle Isole (20%) ed al Nord Est (18,4%). Al secondo posto delle competenze richieste si trovano le capacità di utilizzo dei linguaggi e metodi matematici, sempre con prevalenza al Nord Ovest (17,3%), al Sud e Isole (16,3%), al Nord Est (14,6%), e al Centro (15,5%).

Al terzo posto, con una richiesta inferiore, le capacità di gestione delle soluzioni innovative che, a differenza delle prime due, vengono predilette maggiormente al Sud e nelle Isole (13,1%), il Nord Ovest (10,9%), il Centro (10,3%), infine il Nord Est (8,8%).




Elaborazione ImpresaLavoro su dati Unioncamere – ANPAL, Sistema informativo Excelsior, 2021

«Il nostro Paese ha fatto notevoli passi in avanti negli ultimi anni – commenta l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del Centro studi ImpresaLavoro – ma occorre raddoppiare gli sforzi: vincere la sfida digitale è fondamentale per la crescita economica delle nostre imprese».

Diminuiscono le nascite a causa della Pandemia. I nati da genitori stranieri sono di più al Nord

Diminuiscono le nascite a causa della Pandemia. I nati da genitori stranieri sono di più al Nord

A livello nazionale, il totale delle nascite durante il 2020 è di 404.892, in diminuzione rispetto all’anno precedente (417.614). Il Nord-ovest detiene il maggior numero di nascite in comparazione con il resto d’Italia (26,15% del totale). A seguire il Sud (24,44%), il Nord-est (19,56%), il Centro (18,54%) e le Isole (11,31%).
La regione che registra la percentuale più elevata rispetto al totale delle nascite è la Lombardia (17,1%), seguita dalla Campania (11,13%), dalla Sicilia (9,27%) e dal Veneto (8,07%). Tuttavia, si evince che le regioni con il numero più basso di nuovi nati sono la Valle d’Aosta (0,19%), il Molise (0,42%), la Basilicata (0,87%), l’Umbria (1,30%) e il Friuli-Venezia Giulia (1,84%).
Lo rivela una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro dell’imprenditore Massimo Blasoni, realizzata su elaborazione di dati Istat.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Istat

Picchi bassi a causa della pandemia

La media annua della diminuzione delle nascite dal 2009 al 2019 è di -2,8%. A seguito del picco dei contagi di marzo 2020, vi è stata una ripercussione anche sulle nascite con una discesa evidente tra novembre e dicembre 2020 (-9,5%). Il picco più basso risulta essere a gennaio 2021 (-13,6%). Dai dati si evince una ripresa a marzo e aprile 2021 (4,5% e 1% rispettivamente), per poi tornare in negativo nei mesi successivi.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Istat

Divario fra madri italiane e straniere

In Italia il numero di figli medio per donna è inferiore per le italiane rispetto alle straniere (1,17 e 1,89 rispettivamente). La regione in cui le italiane e le straniere hanno più figli è il Trentino-Alto Adige (1,45 e 2,27). Sotto la media nazionale, le italiane con il numero minore di figli si trovano in Sardegna (0,94), in Molise (1,01), in Toscana e Umbria (1,07). Al contrario, le straniere hanno meno figli in Lazio e Sardegna (1,56), Toscana (1,69) e Calabria (1,70).

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Istat

La classifica italiana rispetto al divario dei nati da genitori italiani e stranieri mostra una differenza maggiore al Nord (ovest 0,86 ed est 0,85), rispetto alla media nazionale tra le italiane e straniere (0,72). Il gap minore si nota al Centro Italia con 0,54.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Istat

«Il decremento delle nascite durante la pandemia» – commenta l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del Centro studi ImpresaLavoro – «è la riprova che l’incertezza sul futuro pesa enormemente sulla scelta di avere dei figli. Tra qualche mese sapremo se anche la guerra in Ucraina avrà contratto ulteriormente il numero dei nuovi nati».

Istruzione: nel 2020 più donne che uomini tra i laureati in Italia. Ancora importanti divari Nord-Sud.

Istruzione: nel 2020 più donne che uomini tra i laureati in Italia. Ancora importanti divari Nord-Sud.

Differenze regionali di istruzione

In Italia nel 2020 la media nazionale dei laureati in possesso di un titolo di studio terziario di I e II livello è di 14,5%, a differenza del 2019 in cui la cui percentuale era del 13,9%. La classifica a livello regionale mostra una maggiore quantità di laureati in Lazio (18,5%). Al secondo posto si trova l’Abruzzo (15,9%), continuando con l’Umbria (15,7%), il Molise (15,6%), Emilia-Romagna (15,5%) e Marche (15,4%). La percentuale più bassa di laureati si registra nella provincia di Bolzano (12,1%), seguita dalla Sardegna (12,4%), Sicilia e Puglia (12,5%). Lo rivela una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro dell’imprenditore Massimo Blasoni, realizzata su elaborazione di dati Istat.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Istat

Divario regionale e di genere

Nel 2020 in tutte le regioni italiane risultano aver conseguito il titolo di laurea più le donne rispetto agli uomini. Il Lazio, la regione con più laureati in Italia, possiede anche la percentuale più alta di laureate donne (19,6%), seguita da Abruzzo (17,8%), Umbria (17,7%), Molise (17,6%), Emilia-Romagna e Marche (17,1%). Per gli uomini le percentuali più elevate di laureati si trovano in Lazio (17,2%), in Lombardia (14,1%), Liguria (14%), Abruzzo (13,9%) e Emilia-Romagna (13,8%). In fondo alla classifica, le regioni con una percentuale inferiore di laureate donne sono la Sicilia e la Puglia (13,5%), al contrario degli uomini laureati che risultano meno in Sardegna (10,3%) e nella Provincia Autonoma di Bolzano (10,5%).

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Istat

Divario Nord-Sud

Nel 2020 la percentuale più elevata di laureati si trova nell’Italia Centrale (17,2%), nettamente superiore alla media italiana (14,9%). Tuttavia, risulta ancora evidente la differenza tra il Nord e Sud del Paese, in quanto l’Italia Meridionale e Insulare (rispettivamente 13,7% e 12,8%) restano al di sotto della media nazionale.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Istat

Rimane un divario tra Nord e Sud anche per quanto riguarda l’analfabetismo: l’Italia Meridionale e Insulare (1% e 0,89%) hanno una percentuale più alta rispetto al Nord-ovest/est (0,36% e 0,32%), Centro (0,34%) e alla media nazionale (0,56%).

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Istat
Immobiliare: nel 2020 calo delle compravendite nelle Regioni italiane. Elevato valore rata mensile in Lazio e Valle d’Aosta.

Immobiliare: nel 2020 calo delle compravendite nelle Regioni italiane. Elevato valore rata mensile in Lazio e Valle d’Aosta.

Compravendite

Nel 2020 la stima del valore di scambio della compravendita degli immobili residenziali ammontava a 89.058 milioni di euro a livello nazionale. Dai dati regionali si evince che la quota maggiore del totale è stata spesa per la compravendita di abitazioni situate nella Regione Lombardia (quasi 22 milioni), il 9% in meno del 2019. La contrazione del fatturato del 2020, rispetto all’anno precedente, evidenzia perdite rilevanti nelle Regioni Campania e Basilicata (rispettivamente -15,2% e -14,6%). A seguire Calabria (-11%), Valle d’Aosta (-11,2%), Sicilia (-10,3%) e Liguria (-10%). Contrazione delle compravendite non distanti dalla Lombardia si riscontrano anche in Toscana (-9,7%), Lazio (-9,5%), e Piemonte (-8,2%). Mentre contrazioni minori di fatturato si registrano nelle Marche (-2,5%) e in Friuli-Venezia Giulia (-4,2%). Lo rivela una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro dell’imprenditore Massimo Blasoni, realizzata su elaborazione di dati del Rapporto Immobiliare 2021 dell’Agenzia delle Entrate.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati dell’Agenzia delle Entrate, rapporto immobiliare 2021

I mutui ipotecari

Il totale del capitale erogato nel 2020 è 35.886 milioni di euro. Confrontando i dati con l’anno precedente si riscontra un calo del -1,8%.
Dai dati regionali si evince che le contrazioni più rilevanti del capitale finanziato per l’acquisizione di abitazioni si registrano in Basilicata (-10,5%) e in Sicilia (-6,5%). Modesti aumenti di capitale invece in Emilia-Romagna (+1,7%), Friuli-Venezia Giulia (+1%) e Veneto (+0,2%).

Elaborazione ImpresaLavoro su dati dell’Agenzia delle Entrate, rapporto immobiliare 2021

Nel 2020 in Italia il tasso di interesse medio ammonta a 1,93%. Sotto la media nazionale si collocano diverse regioni, come la Liguria (1,76%), l’Emilia-Romagna (1,78%), il Piemonte e la Valle d’Aosta (1,82%), la Lombardia (1,83%), il Veneto (1,85%), le Marche (1,87%), la Toscana (1,90%) e il Friuli-Venezia Giulia (1,92%). Al di sopra del 2% di interesse si collocano il Lazio (2,19%), la Campania e la Calabria (2,18%), il Molise (2,17%) e la Puglia (2,11%).
Il valore massimo della rata mensile si registra in Lazio (691 euro) e in Valle d’Aosta (659 euro). Rate al di sotto dei 500 euro in Basilicata (482 euro), in Abruzzo (471 euro), in Calabria (464 euro), Umbria (450 euro) e Molise (446 euro).

Elaborazione ImpresaLavoro su dati dell’Agenzia delle Entrate, rapporto immobiliare 2021