Esecutivo Spartacus

Enrico Cisnetto – Il Foglio

Pare che nella famosa visita che Renzi ha fatto questa estate a Draghi nella sua casa di campagna in Umbria, il presidente della Bce abbia evocato la “Troika” (che poi tale non è più perché ormai ha perso per strada il Fondo monetario), descrivendone l’intervento come un aiuto di cui il primo ad avvantaggiarsi sarebbe stato il governo, e che il premier sia andato su tutte le furie, replicando con un gladiatorio “mai e poi mai, dovrete passare sul mio cadavere”. L’episodio, verosimile se non del tutto vero, aiuta, molto più di tante dietrologie correnti, a capire il dipanarsi della trama del film cui stiamo assistendo, e che potremmo titolare “Renzi contro il resto del mondo”. Specie se si tralascia per un momento il gioco più diffuso del momento, l’ esegesi del fondo di De Bortoli – in cui confluiscono troppi elementi di carattere personale perché aiuti a “leggere” i rapporti di Renzi con “i poteri”, nazionali e non – e si guarda con attenzione, invece, quanto scrive Wolfgang Munchau, che sul Financial Times è firma che riflette il pensiero dell’asse Francoforte-Berlino, molto più solida di quanto certa pubblicistica provinciale nostrana descriva.

La tesi è lapidaria: oggi per l’Europa la minaccia più grande si chiama Italia, che ha una situazione economica talmente insostenibile che se la crescita non dovesse ripartire andrà verso il default per debito eccessivo, con l’uscita dall’Eurozona e la fine dell’euro stesso. Da qui la pressione che Draghi ha esercitato, anche per conto della Merkel, su Renzi: prima con le buone (il discorso vis-à-vis), poi con le cattive (i messaggi mediatici). Naturalmente si può sostenere che trattasi di pressioni indebite – ma in questo caso si dimentica che a Draghi viene continuamente chiesto di andare oltre il confine delle sue responsabilità formali, e che comunque se siamo ancora vivi lo si deve a lui – così come si può ricorrere alla dietrologia da quattro soldi sulle sue presunte ambizioni per Palazzo Chigi (escluderei) o per il Quirinale (già più plausibile) per evocare “trame occulte”.

Sta di fatto che i “poteri vari e avariati”, da quelli un tempo forti alla magistratura, hanno sentito odor di scontro, e hanno fatto due più due: se la Bce e la Germania vogliono commissariare Renzi o addirittura farlo fuori, sarà bene schierarsi subito dalla parte del probabile vincitore. Reazione che si potrebbe velocemente archiviare come velleitaria, visto che Renzi il consenso ce l’ha e, finora, neppure il duo recessione-deflazione l’ha eroso, se non fosse che le cose stanno proprio come dice Munchau: l’economia italiana non cresce da un ventennio, e la recessione degli ultimi anni, annullando gli effetti di politiche di bilancio più rigorose di quelle di molti altri partner europei, ha determinato una crescita lenta ma irreversibile del debito pubblico; e ora, il prolungarsi della stagnazione, accompagnata da deflazione prolungata, rischia di rendere insostenibile, politicamente prima ancora che finanziariamente, il debito. In conclusione: o il governo trova la chiave della ripresa, o ci schiantiamo, e con noi l’eurosistema.

Ma qui scatta la contraddizione a cui siamo impigliati: Renzi non ha certo la responsabilità di quel disastro chiamato Seconda Repubblica, e fa bene a diffidare della classe dirigente (oltre che del ceto politico) che lo ha prodotto. Ma nello stesso tempo mostra limiti evidenti nell’affrontare i problemi del paese, o meglio nel tradurre in atti di governo – che non sono solo le leggi approvate – le buone e coraggiose intenzioni che mostra di avere. Inoltre, la scelta di affidarsi alle sue indubbie capacità mediatiche per avere un rapporto diretto con i cittadini-elettori saltando i rapporti con qualsivoglia rappresentanza degli interessi – modello Berlusconi+Marchionne” – e la strategia “tutti nemici, tranne il popolo” che ha adottato, fanno sì che scivoli con facilità nel populismo, il che non aiuta ad affrontare con la giusta ampiezza programmatica gli intricatissimi nodi del declino italiano.

Viceversa, chi imputa a Renzi di “parlare e non fare” o di essere capace solo di “rottamare e non costruire”, pur avendo non poche frecce al proprio arco, nella stragrande maggioranza dei casi non ha alcuna credibilità, avendo contribuito in modo diretto e significativo al disastro. Inoltre, chi intende mettere Renzi sul banco degli imputati non ha uno straccio di idea di come sostituirlo – né uomini né politiche all’altezza della sfida – e non vuole farsi una ragione del fatto che gli italiani indietro non vogliono più tornare, giusto o sbagliato che sia. Ecco, è questo “cane che si morde la coda” il problema del potere in Italia, oggi. Uscirne non è facile. Ma il modo sicuro per non riuscirci è far finta che le cose stiano diversamente.