La Filosofia dell’auto (d’epoca) distrutta dalle tasse

L’industria automobilistica italiana ha espresso una vera e propria visione del mondo in perfetta sintonia col patrimonio artistico nazionale. L’automobile italiana articolava una filosofia estetica quando l’Alfa Romeo studiava soluzioni tecniche che tenevano le auto incollate alla strada e linee accattivanti come quelle di Giulietta, Alfetta e poi Alfa 75. Ma pensiamo anche alle Lancia Thema che venivano utilizzate dai politici degli anni ’80 ’90 ed erano ammirate in tutto il mondo. C’era persino una Lancia Thema col motore della Ferrari. Oggi con la politica attuale di casa Fiat, questa filosofia è morta. Non sto a discutere sull’ovvietà che questo sia un male da tutti i punti di vista (il trend delle vendite che sono crollate lo dimostra, oltre al fatto che le nostre aziende chiudono e si lavora in America, per importare “cassoniamericani”); se è un male l’aver fatto morire la “filosofia dell’auto italiana”,  ancora peggio è se un governo cerca di distruggerne anche la memoria.
Tale sembra esser l’intendimento di questo governo, che pensa di recuperare altri soldi per le Regioni, tassando le auto d’epoca. Tassare le auto sopra i vent’anni come se fossero nuove significa non solo arrivare a impedire di circolare a persone che uniscono la passione alla necessità del risparmio, perché non ce la fanno più con le spese, ma anche causare l’eliminazione di un intero parco auto storiche, cancellando una memoria automobilistica che era l’orgoglio italiano.
Ma la cosa più stupida è che si andrà a demolire un intero comparto di business: infatti, chi possiede due o tre automobili di vent’anni, ma ben funzionanti, trovandosi a pagare centinaia di euro per i bolli e migliaia per l’assicurazione, sarà costretto a disfarsi dei mezzi, con una perdita di capitali privati: ma neppure lo Stato, che oggi percepisce bolli ridotti, guadagnerà qualcosa se tutti si disfarranno dei propri mezzi. I raduni storici saranno relegati solo a chi si può permettere auto oltre i trent’anni (molto più costose da comprare e da mantenere), in più, verrà cancellata una categoria di auto (da 20 a 30 anni) che oggi dà lavoro a riparatori, artigiani, ricambisti.
Un’altra mazzata sul mondo degli artigiani e dei piccoli ivestitori che hanno investito comperando auto che sarebbero state di sicura rivalutazione.  La federazione Auto Storiche Italiane ha già fatto il conto che per incassare ipoteticamente 56 milioni di euro si andrebbe a perdere un mercato di 650 milioni di euro. Quindi il solito gettito fiscale più alto nei primi mesi cui segue il crollo dovuto alla distruzione di un indotto. Altri 12 milioni di euro si perderebbero sul fronte turistico a causa della morte dei classici raduni.
Cito il documento redatto dall’Asi in merito al provvedimento legislativo contenuto nella Legge di stabilità 2015, all’art. 44 comma 28, con cui si abrogano i commi 2 e 3 dell’art. 63 Legge 342/2000: “A questa perdita si aggiungerebbe quella turistica pari a circa € 12.500.000 annui che nasce da una media di 2.500 raduni per un costo unitario medio di € 5.000. Ed è chiaro che a queste perdite si aggiungono quelle della perdita di posti di lavoro nella Segreteria Asi e nei Club federati che sono 270 …In molti altri casi il nostro Governo ha assunto decisioni populistiche contro auto sportive, di lusso, di grande cilindrata o altri beni, quali barche o aeromobili, con il solo risultato di ridurre l’attività economica del privato, senza incrementare le entrate per l’erario. Sembra ancora una volta che gli errori del passato, in Italia, non insegnino nulla per il presente o per il futuro. Mai come oggi, ogni giorno sentiamo parlare di calo dell’economia, dell’occupazione e della necessità di introdurre provvedimenti per ovviare a tali negatività, in concreto poi i provvedimenti adottati vanno contro corrente e determinano ulteriori danni. Non si può poi dimenticare che il veicolo storico è stato beneficiato dal legislatore perché il pregio culturale superava la perdita per l’erario, e tale particolare e giusta considerazione ha favorito la sua crescita numerica e patrimoniale, che ora di punto in bianco viene annullata senza contropartita. Con un’ulteriore perdita non facilmente valutabile, ma certo non lontana da oltre 1,5 miliardi di Euro.”
Cito la pagina Facebook creata da Mauro Simonini Presidente del Club Alfissima: “Non importa se sia una Panda o una Ferrari, a loro modo tutte le auto rappresentano la storia del nostro paese, dei nostri ricordi. Tutto quello che volete, ma tutti devono avere la possibilità di vivere la propria passione automobilistica. Auto di venti anni e oltre, hanno pagato nella loro vita più del valore d’acquisto da nuove, e raggiunti i venti anni meritano di essere esentate per essere salvate e restaurate per il futuro senza il rischi dell’estinzione di una fetta di storia automobilistica. Specialmente ora, in tempi di crisi rischierebbero di essere comprate da appassionati stranieri, o peggio, finire sotto la pressa privando il nostro paese di un futuro patrimonio storico. L’abrogazione di storicità darebbe inoltre un altro colpo di scure all’economia, perché solo noi appassionati sappiamo quanto hanno bisogno di cure, quindi riparazioni e ricambi, questa scellerata scelta porterebbe a far dimezzare il lavoro di molti. E’ vero, molti si sono approfittati di queste facilitazioni, anche colpa dei tempi di crisi, questo non significa voler fare i furbetti ma cercare di sopravvivere alle vessazioni di questo stato ingordo, con accise sui carburanti direi da rapina, passaggi di proprietà che spesso hanno un costo superiore al valore stesso dell’auto costi assicurativi da pagare a rate, e alla fine tutti i nostri soldi succhiati dall’automobilista per avere strade , se così si possono chiamare, tanto che dai crateri che hanno sembrano la superficie lunare. I furbetti con la Fiat Uno o Panda non esistono, mentre esistono furbi che viaggiano in auto blu, e noi li andremo a trovare con le nostre vecchiette a Roma”. Speriamo solo che ci ripensino in tempo prima di causare nuove perdite di posti di lavoro.
Contributo inviato a ImpresaLavoro da Francesco Corsi