Un fisco senza ideologie

Stefano Lepri – La Stampa

Solo l’emotività con cui in Italia si parla di tasse pub far apparire questa come una svolta epocale, o come una mossa politica con chissà quali sottintesi. Sarebbe più utile ragionare su dove passi il confine tra inutili vessazioni burocratiche e ineliminabili doveri civili. La mentalità nazionale è purtroppo incline a confondere. Abituati a subire vari comportamenti illegali altrui, ci inalberiamo quando veniamo richiamati noi a rispettare le norme. A una diffusa inosservanza i poteri pubblici talvolta reagiscono imponendo obblighi severissimi con il retropensiero che almeno forse ne sarà rispettata la metà. Ma non aver chiaro quando occorra davvero rispettare le leggi e quando no è un tremendo fattore di inefficienza.

Come ha detto ieri il governatore della Banca d’Italia, le varie forme di illegalità, ovvero criminalità organizzata, corruzione e evasione fiscale, portano ad usare male le risorse di cui disponiamo, rendono difficile la collaborazione tra i cittadini; insomma frenano la crescita. Le tasse sono al centro del dibattito politico, ed è giusto, dato che ne paghiamo tante (30% del prodotto lordo è la cifra esatta, più 13-14% di contributi sociali che finanziano le pensioni). Ma occorre anche constatare che nei vent’anni da cui «meno tasse» è diventato slogan elettorale vincente, il carico tributario è aumentato.

In passato lo scontro è avvenuto per linee di categoria (partite Iva contro lavoratori dipendenti) o tra schemi ideologici. L’attuale governo sta ben attento a non ripetere questo copione. Prende anche atto dell’esperienza: passati tentativi di incidere sull’evasione fiscale con strumenti repressivi hanno ottenuto successi di gettito ma sembrano esser costati molti voti. Alcune promesse, come la semplificazione, e la stessa abolizione dello scontrino, non sono pert) affatto nuove. Occorre guardare se novità vere appaiono nei provvedimenti.

Nella manovra di bilancio figurano ora ben 4,26 miliardi di euro da recupero dell’evasione fiscale. È una cifra enorme, che sulle prime è stata giudicata donchisciottesca. In realtà il governo si affida per la gran parte a una norma concreta e sensata, far versare l’Iva da chi compra e non da chi vende, se a comprare sono lo Stato oppure la grande distribuzione commerciale. Un recupero di gettito evaso (dai fornitori dello Stato oppure dai grossisti) è certo pur se nulla garantisce che arriverà a quella somma. Molto popolare dovrebbe risultare il nuovo regime agevolato per i contribuenti minimi Iva. Forse un milione di persone potranno scegliere di pagare una imposta forfettaria del 15% con adempimenti assai ridotti. Si tratta di una scommessa sul civismo, dall’esito difficile da prevedere, poiché alcuni che piccoli non sono potrebbero tentare di fingersi tali.

In prospettiva, una più ampia registrazione elettronica di dati potrebbe sollevare da incombenze scomode. Ma non illudiamoci che il progresso sia ben accetto a tutti. Lo scontrino appunto scomparirà quando i registratori di cassa trasmetteranno immediatamente i ricavi al fisco: siamo sicuri che per ostacolare questa innovazione non si troveranno mille scuse? Matteo Renzi sembra ambire a una riforma fiscale non intimidatoria, che non colpevolizzi nessuno come evasore potenziale. Però su alcuni punti sarà inevitabile incontrare resistenze, e vincerle, se si vuole fare sul serio. Una prova importante sarà l’obbligo a un maggior uso di carte di credito e bancomat, che dà trasparenza e allinea agli altri Paesi avanzati.