Jobs Joke

Davide Giacalone – Libero

Sul tema del lavoro è in scena una commedia degli equivoci. Che spera d’essere presa sul serio. Matteo Renzi non ha scelto a cuor leggero di aprire un conflitto dentro il suo partito, non ha sfidato per sfizio l’armamentario luogocomunista della sinistra, lo ha fatto per necessità. Il tentativo è quello di far somigliare l’Italia del 2014 alla Germania del 2003. Allora i tedeschi sfondarono il tetto del deficit per pagare i costi di riforme profonde, mercato del lavoro compreso, che avrebbero dato i loro frutti nel futuro. E li diedero. Noi, oggi, manchiamo la promessa di tenere il deficit sotto il 2,6% del prodotto interno lordo, ed è già difficile tenerlo sotto al 3, senza avere fatto un accidente. Da qui la trovata: diciamo di cambiare le regole del lavoro e proviamo a dare un significato ai conti che non tornano.

Può darsi che la Commissione europea abbocchi. Non perché siano allocchi, ma perché commissariare l’Italia è difficile. È troppo grossa. In ogni caso è escluso che creda alla serietà dell’operazione. Faremmo bene a diffidarne anche noi, perché qui non siamo a uno dei dibattiti della Leopolda, nel qual caso avrei applaudito, come applaudii allora, qui si tratta del governo. E le chiacchiere stanno a zero. Anzi, a meno di zero, visto che già su quelle il partito di governo si spappola. La gande novità consisterebbe nel contratto a tutele crescenti. Altra formula che più la ripeti e meno significa, perché si tratta di sapere quali, quando scattano e cosa escludono. Lo sapremo non appiccicando i manifesti della legge delega, ma leggendo il testo dei decreti legislativi. Che sono assai di là da venire. Sarà bene ricordare, difatti, che la radicale semplificazione delle regole sul mercato del lavoro era promessa e contenuta nei documenti e nel decreto “Destinazione Italia”, risalenti al settembre 2013. Scelte poi confermate in “Impegno Italia”, del febbraio 2014. Quindi, a parte la fantasia perversa di dare nomignoli all’attività di governo, investitori e osservatori internazionali sanno già qual è il valore concreto di quelle tonitruanti affermazioni: nullo. Servono i fatti, che non ci sono.

Relazionando in Parlamento Renzi ha detto di volere cancellare la dualità del mercato del lavoro italiano, con troppe garanzie in capo a pochi e poche (o nessuna) in capo a troppi. Sante parole, ma solo parole. Non è lo stesso governo che ha varato il decreto Poletti, nel quale si escludono garanzie per i nuovi contratti, nei primi tre anni? Decreto che trovo giusto, ma pur sempre l’opposto del ridurre la dualità. Per aggredirla occorre rivedere le troppe garanzie, cosa che provoca l’opposizione degli stessi che approvarono i due citati provvedimenti, governante Enrico Letta. Come si vede, la coerenza è una merce rara. Per rendersi conto di quanto non basti dire e serva, invece, fare, propongo a tutti, e in particolare al presidente Renzi, un piccolo gioco: condividete o meno, le seguenti affermazioni? “Per dare un’immagine plastica della condizione attuale, bisogna dire che la nostra società si divide in due vaste zone. Nell’una, ci sono coloro che hanno un patrimonio, un reddito, un lavoro, e che sembrano voler difendere con ogni mezzo e con energico spirito corporativo quello che hanno. Alla porta di tale zona si affolla l’altra, costituita da disoccupati, giovani e adulti, da categorie debolissime, da abitanti di zone depresse. Se le forze politiche e sociali continuano a occuparsi soltanto della prima zona, secondo i propri interessi politici, di classe o di ceto, trascurando la seconda, non usciremo dal problema”. Vado a capo, per dare il tempo di rispondere. Sono parole di Ugo La Malfa, risalenti al 1977. Da allora ad oggi siamo andati in direzione opposta al necessario, blaterando di diritti acquisiti e perdendo competitività. Spero sia chiaro il perché servono fatti non annunci. Le sole parole belle rischiano d’essere balle. Il jobs act un jobs joke.