La spending review inciampa sui comuni. Le centrali d’acquisto sono ferme al palo

Lorenzo Salvia – Corriere della Sera

È uno dei simboli della spending review. Ed è un progetto partito quando quelle due paroline inglesi erano ancora roba da convegno di esperti e non linguaggio (quasi) comune. Ma la sempre invocata riduzione delle centrali d’acquisto rischia di essere rinviata ancora una volta. Dal primo luglio, tra due giorni appena, dovrebbe riguardare più di 8mila Comuni, tutti tranne i capoluoghi di provincia. Ma – complice una norma con qualche buco – rischia di paralizzare l’attività di tutte le amministrazioni. E per questo il governo si rigira tra le mani l’ipotesi di una proroga, tutt’altro che semplice.

L’idea delle cosiddette centrali uniche di committenza nasce da un principio di buon senso: se cinque Comuni comprano le loro penne e loro matite ognuno per conto proprio le pagheranno 100; se gli stessi Comuni si mettono insieme per comprare le stesse penne e le stesse matite probabilmente le pagheranno 90. Il gruppo spunta un prezzo migliore del singolo, regola antica che applicata al bilancio dello Stato significa un certo risparmio di denaro pubblico. Per questo già il governo Monti – con il decreto Salva Italia del dicembre 2011 – introdusse la regola degli appalti di gruppo per i Comuni più piccoli, quelli al di sotto dei 5 mila abitanti. L’obbligo doveva partire dal primo aprile del 2012 ma è stato rinviato più volte e non è ancora operativo. Poi è arrivato il commissario straordinario alla spending review Carlo Cottarelli, con il suo progetto di ridurre le centrali d’acquisto di tutta la pubblica amministrazione dalle 32mila di oggi a 30/40. Il governo Renzi accelera e nel decreto legge sul bonus da 80 euro infila una norma che obbliga all’acquisto di gruppo non solo i paesini sotto i 5mila abitanti ma tutti i Comuni, con l’eccezione dei soli capoluoghi di provincia. Nel frattempo è stata eliminata anche la deroga per i piccoli appalti, che consentiva ai Comuni di muoversi da soli per le spese al di sotto dei 40mila euro. L’Anci – l’associazione dei Comuni – dice che così si rischia il blocco totale degli appalti. La solita resistenza ad ogni cambiamento? Insomma.

La norma che allarga l’obbligo ai Comuni sopra ai 5mila abitanti ha qualche contraddizione. I Comuni dovrebbero creare dei consorzi di acquisto, ma anche questo richiede un minimo di preparazione e il decreto è stato convertito in legge appena 10 giorni fa. Nell’immediato ci sono due alternative, ma entrambe zoppicanti. La prima è rivolgersi alla Consip, la società per gli acquisti della pubblica amministrazione, che però nel suo catalogo non ha tutti i prodotti che servono ai Comuni. Mancano gli appalti di lavori pubblici, ad esempio, i più importanti. La seconda è rivolgersi alle “nuove province”, gli organi senza più politici che funzionano come centro di coordinamento del territorio. Solo che al momento sono commissariate, di fatto paralizzate, e torneranno operative nella loro nuova veste dal primo ottobre. «Il risultato – spiega Mario Guerra, deputato del Pd che ha seguito la vicenda fin dall’inizio – è che un Comune grande come Sesto San Giovanni, 80mila abitanti, rischia di non poter muovere foglia. Mentre quattro paesini da 800 abitanti si mettono insieme e aggirano il blocco». Consapevole del problema, il governo studia l’ipotesi di un rinvio che, in caso, andrebbe deciso per decreto legge con il Consiglio dei ministri di domani. Ma ci sono moltissimi dubbi. Non solo perché un altro decreto rischierebbe di non trovare posto in un calendario parlamentare già al limite della capienza. Ma perché l’ennesimo rinvio potrebbe dare un colpo alla credibilità generale della spending review. Già quest’anno dalla revisione della spesa il governo ha ricavato “solo” 3,5 miliardi, un miliardo in meno di quanto previsto. L’anno prossimo ne sono previsti 17, quello dopo addirittura 32. Una salita ripidissima. L’ennesima proroga sugli appalti di gruppo, e quelle che per imitazione potrebbero seguire su altre materie, non aiuterebbero la pedalata.