Pensionando

Davide Giacalone – Libero

Il governo non intende intervenire sulle pensioni. Parola di Yoram Gutgeld, nuovo commissario alla spending review e parlamentare del Pd. Il governo interverrà sulle pensioni, con la prossima legge di stabilità. Parola di Giuliano Poletti, ministro del lavoro. La contraddizione, come vedremo, è più apparente che reale. Quel che fa pensare è la convergenza: le ingiustizie del sistema pensionistico sono considerate non eliminabili.

Posto che le pensioni dovrebbero avere una struttura, una legislazione e una fiscalità stabile nei decenni (perché riguardano la programmazione del proprio futuro lontano), mentre lo sport nazionale è cambiarle di continuo, Gutgeld esclude interventi di taglio, mentre Poletti annuncia interventi relativamente all’elasticità in uscita. Il problema è che, in questo modo, si stabilizza la certezza che a parità di capitale versato ci saranno trattamenti diversi. Un monumento all’ingiustizia.

La legge Fornero accelerò il passaggio al sistema contributivo, in base al quale ciascuno avrà sulla base di quanto ha versato. Nel sistema retributivo, prima vigente, si riscuoteva sulla base di quanto guadagnato (e versato) negli ultimi tre anni, quindi si sarebbe avuto più di quanto dato. Quella legge fu l’urgente (e frettoloso) completamento di un iter riformatore iniziato con la legge Dini, poi continuato con quella Maroni (con la sinistra, governo Prodi in testa, che periodicamente smontava il lavoro fatto). Fornero ebbe il merito di mettere in equilibrio i conti previdenziali a venire. Ebbe il demerito di aprire delle piaghe, come gli esodati.

Una volta passati al contributivo non ha senso porre dei limiti temporali prima dei quali ciascuno non può scegliere se andare in pensione: visto che mi ridate quel che avevo prima versato, sono affari miei quando e quanto credo mi serva per vivere. Se il prelievo previdenziale cessa di essere vissuto come una tassa (tale la vivo, ancora oggi) e diventa un accantonamento di roba che resta propria, deve anche essere possibile quel che già si fa nel Regno Unito e che vogliono introdurre in Francia: il lavoratore può chiedere d’incassare, in tutto o in parte, il capitale. È roba sua. Se il governo intende eliminare le soglie di tempo ed età, quindi, fa bene. Il fatto è che chi versa (contributi e tasse) oggi paga anche per il mantenimento di quanti prendono pensioni per niente legate al capitale versato, mentre non potrà godere di analogo beneficio. Il governo esclude d’intervenire su questa ingiustizia. E sbaglia. Mentre, invece, ha ragione il presidente dell’Inps, Tito Boeri, a metterla in evidenza. Ma come?

Se si accetta il principio dei “diritti acquisiti”, altrimenti detto “chi ha avuto ha avuto e chi ha dato continui a dare”, non si può toccare nulla. Sono favorevole a infrangerlo, ma si deve farlo con principi altrettanto generali, altrimenti si crea caos e illegittimità. Il principio è: dove il capitale versato non è commisurato alla prestazione erogata, lo Stato ha diritto d’intervenire. In tutti i casi e al fine di non generare altri squilibri, a danno dei più giovani. Si può graduare l’intervento fiscale, progressivo, sulla base dello scostamento fra versato e percepito e sulla base della pensione lorda così generata. Ed è meno ingiusto di fare quel che hanno già fatto: aumentare la tassazione sulle pensioni integrative, rese necessarie dal solo contributivo. È meno ingiusto di taglieggiare chi ha bisogno di prendere anticipatamente i soldi della liquidazione, come si sta facendo.

Resta doloroso, lo so. Ma lo è di più avere nonni ricchi e nipoti spiantati. Proprio perché è doloroso occorre quello che un tempo si chiamava il “buon esempio”, cominciando dalla classe dirigente in pensione, parlamentari in testa. E cominciando da chi è amministratore pubblico e ottiene dall’erario il versamento dei propri contributi, magari proporzionati a ruoli e lavori che non ha mai fatto (vero, Matteo Renzi?). Il che non è demagogico (come tante sparate antiparlamentariste), ma la dimostrazione che ancora sopravvive il buon senso.