Il premier contro il pessimismo dei mercati

Marcello Sorgi – La Stampa

Convocato nel mercoledì nero del crollo delle borse, con Milano che ha toccato il picco della negatività in Europa, il Consiglio dei ministri ha licenziato la legge di stabilità in un clima diverso da quello di svolta che Renzi avrebbe voluto, e che comunque s’è sforzato di costruire, presentando in serata nei dettagli la manovra da trentasei miliardi, «con il più grande taglio di tasse della storia della Repubblica». In sintesi, Renzi tende a dare un valore contingente al terremoto di ieri sui mercati e a prevedere risultati molto più immediati delle misure appena varate, sia in termini di rilancio dell’occupazione, grazie al drastico taglio dell’Irap e del costo del lavoro, sia in fatto di ripresa dei consumi e di crescita complessiva. Si tratta, com’è evidente, di una visione ottimistica del percorso che l’Italia ha di fronte. Renzi però sostiene che non c’è altra strada.

Qualificati osservatori economici, tuttavia, di quel che è accaduto ieri e del trend delle ultime settimane tratteggiano un quadro diverso e arrivano a conclusioni più preoccupate. L’alibi della Grecia in cui il governo Samaras spingerebbe per liberarsi in anticipo dei vincoli della Trojka non può bastare a spiegare la fuga degli investitori negli ultimi giorni dalla Borsa italiana e il brusco rialzo dello spread, che ieri ha toccato di nuovo quota 170 per assestarsi poi solo qualche punto più sotto. Il ritardo con cui l’agenzia Moodys ha consegnato il suo periodico rapporto (per la verità più positivo, o se si preferisce meno allarmato, del previsto) può aver determinato un’ondata di vendite, ma non fino al punto da provocare un crollo come quello che s’è avuto.

La verità, come ha ricordato giorni fa il presidente della Bce Draghi, è che la crescita globale nell’insieme sta rallentando, e in tale ambito la stagnazione europea non dà segni di movimento e la stessa Germania comincia a mostrare qualche segno di affaticamento. È in questa cornice che la Commissione europea – quella uscente presieduta da Barroso, che ha già spiegato come sia difficile fare sconti, e la nuova guidata da Juncker, con cui Renzi ha avuto una telefonata non del tutto rasserenante martedì – deve decidere se promuovere l’Italia e la manovra varata da Palazzo Chigi, accettando l’ottimismo della volontà di Renzi, o se rimandarla o addirittura bocciarla, abbandonandosi al pessimismo della ragione.