Quel che l’Italia non capisce di Berlino

Franco Tatò – Corriere della Sera

Nella confusione delle diatribe tra diverse parti politiche in merito alle riforme, si stanno forse trascurando alcuni rapporti di politica estera, e in particolare quello, complesso ma imprescindibile, con la Germania. L’artificiosa polemica tra rigore e flessibilità ha infatti nutrito una deleteria esplosione di antigermanesimo nel nostro Paese. Ostilità che i tedeschi non riescono a spiegarsi, quando è evidente che le difficoltà dell’Italia, testimoniate dalla prolungata assenza di crescita, richiederebbero interventi coordinati a livello europeo e quindi un rapporto collaborativo con la maggiore potenza economica del continente, oltre che nostro principale mercato di esportazione.

L’animosità con la quale vengono avanzate da parte italiana generiche esigenze di flessibilità, cioè richieste di autorizzazioni in bianco di sforare i parametri di bilancio previsti dal trattato di Maastricht, in nome di un orgoglio nazionale che dovrebbe francamente esprimersi con altre modalità, è incomprensibile se non come espressione di un represso complesso di inferiorità. Simili sentimenti antigermanici sono esplosi anche in Grecia, e sfociati nella sorprendente presentazione in Italia di un’imbarazzante lista di candidati alle elezioni europee capeggiata dal capo dell’opposizione di sinistra estrema greca. Nessuno sembra notare che i drastici interventi di risanamento operati da Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda hanno portato, ovviamente con sacrifici, al risanamento dell’economia e a una ripresa della crescita. L’Italia appare invece meno disponibile ad affrontare i sacrifici richiesti per una rapida ripresa, pur essendo i nostri margini di miglioramento molto più ampi di quelli degli altri Paesi citati.

Per valutare l`impatto sull’opinione pubblica europea delle rivendicazioni di una via italiana al risanamento che richiede tempi lunghi e livelli di spesa insindacabili, si deve considerare che proprio i Paesi che negli ultimi anni hanno effettuato ampie riforme e consolidato i loro conti ora chiedono che anche Stati più grandi si attengano alle regole. Quindi non è solo la Germania, come ha detto il Presidente della Bundesbank Jens Weidmann in un’intervista a Der Spiegel, a richie- dere il rispetto dei parametri di bilancio necessari per far parte della comunità europea. Weidmann dice anche che «crescita e lavoro nascono dalle imprese private: queste devono investire, mentre la funzione pubblica deve creare le condizioni giuste, attraverso un miglioramento delle strutture amministrative che è molto più importante della costruzione di nuovi ponti o strade». Alle disquisizioni sulla irragionevolezza della politica del rigore sarebbe stato preferibile un elenco delle misure in trodotte in Spagna e Portogallo e una spiegazione dei motivi per cui misure simili non sono state possibili in Italia.

Non abbiamo molto tempo: recentemente Standard&Poor’s ha infatti emesso un segnale d’allarme sul credito dell’eurozona mettendo in guardia sulla crescita dei consensi elettorali per un nuovo movimento tedesco, l’AfD (Alternative für Deutschland), di ispirazione antieuropeista e che potrebbe portare a un ulteriore irrigidiinento del governo tedesco nei confronti dei provvedimenti di stimolo della Banca centrale europea. Questo movimento è guidato da Bernd Lucke, stimato professore di economia, assistito da Hans-Olaf Henkel, ex presidente della Confindustria tedesca, e si presenta come una potenziale forza di governo. Questa situazione apre interessanti possibilità per l’Italia: l’attuale governo tedesco, per contrastare l’AfD, sarà portato a cercate alleati per un rilancio della cooperazione europea. Potrà quindi essere una buona opportunità, a patto però di fare anche noi i «compiti a casa».