Il ritardo sulle liberalizzazioni

Alessandro De Nicola – La Repubblica

Ormai da qualche settimana è stato pubblicato l’Indice delle liberalizzazioni curato dall’Istituto Bruno Leoni. Si tratta di un lavoro utile perché dà la percezione di dove potrebbe essere l’economia italiana e di quali benefici potrebbero godere i consumatori se solo il nostro Paese imitasse non Hong Kong o il Texas, ma alcuni Paesi europei di dimensioni paragonabili al nostro. Lo studio mette a confronto le economie dei 15 ‘vecchi’ Paesi Ue assegnando un punteggio di 100 alla nazione più liberalizzata nei 10 settori presi in considerazione (poste, ferrovie, trasporto aereo, mercato elettrico, telecomunicazioni, lavoro, televisione, carburanti, gas naturale, assicurazioni) e uno inferiore alle altre a seconda della distanza dalla prima. 100 non rappresenta un mercato ‘ideale’ , semplicemente il più concorrenziale tra i 15, fornendo così parametri concreti.

Come se la cava l’Italia? Malino, siamo i terzultimi davanti al Lussemburgo (che in realtà è un’economia aperta salvo per i servizi a rete, viste le dimensioni del Paese, e per trasporto aereo e ferroviario) e alla solita Grecia. Primo in classifica è da anni il Regno Unito con punteggio di 94 e il gruppetto di testa comprende Olanda, Spagna e Svezia seconde a pari merito con 79. La Francia condivide con noi il terzultimo posto col 66. Quali sono le caratteristiche di un mercato liberalizzato? L’Indice adotta una metodologia classica e sensata: rappresentano impedimenti alla concorrenza tutti gli ostacoli normativi, regolamentari, fiscali o parafiscali che limitino la libertà di ingresso di nuovi concorrenti (licenze o numeri chiusi), l’esercizio dell’attività imprenditoriale (basti pensare ad una rigida normativa giuslavoristca) e l’uscita dal mercato (ad esempio il salvataggio di carrozzoni decotti che si configura come concorrenza sleale nei confronti degli altri attori).

Dov’è più debole l’Italia? Purtroppo non eccelliamo in nessun settore, ma siamo particolarmente scarsi in termini assoluti nella distribuzione dei carburanti, poste e ferrovie e in termini relativi nel mercato della televisione (ultimi) e del lavoro (penultimi davanti ai poveri ellenici). Prevedibilmente, per la scarsa competitività del settore carburanti la colpa è dell’alta pressione fiscale e delle normative che richiedono ai nuovi entranti servizi obbligatori (tipo le pompe per l’idrogeno) per poter aprire. Lo Stato protegge gli incumbent.

Interessanti i casi di ferrovie e poste. Per il trasporto su rotaia, che pure è migliorato grazie a un concorrente nell’Alta Velocità, uno degli elementi che favoriscono l’apertura del mercato è la separazione tra la società dei trasporti e quella proprietaria della rete. Inoltre, più in generale, le imprese che gestiscono infrastrutture o reti quando sono possedute dallo Stato godono di vantaggi sia nell’erogazione di fondi che nei rapporti col regolatore. Questo dovrebbe far riflettere il governo che sembra invece intenzionato a privatizzare parzialmente FS, mantenendone il controllo, e tenendo unite Trenitalia e Rfi: due mosse contrarie ad una politica liberalizzatrice. Diversa la situazione delle Poste che godono di un limitato monopolio nella notificazione di atti giudiziari e multe (chissà perché). Elementi distorsivi sono anche la modalità di compensazione dell’onere di servizio universale, il regime dei titoli abilitativi e la probabile esistenza di sussidi incrociati con i servizi bancari ed assicurativi.

Sfortunatamente, i piani di privatizzazione di cui si discute non sembrano occuparsi di tutto questo. Il ministro Guidi, quando ha presentato l’Indice, ha ricordato che grazie alle liberalizzazioni il Pil italiano potrebbe aumentare del 4% in cinque anni e dell’8% nel lungo termine. Ha promesso inoltre l’approvazione del disegno di legge sulla concorrenza. Bene, sembra che nel governo ci sia dunque consapevolezza del problema che comprende anche gli ostacoli normativi e regolamentari che favoriscono le imprese di proprietà statale.

Intervenire su questi snodi sarebbe un segno che qualcosa sta cambiando: purtroppo qualche giorno dopo la pubblicazione dell’Indice il ministro dell’Economia Padoan ha frenato sul processo di privatizzazione delle proprietà pubbliche menzionando in modo sibillino il fatto che rendere efficienti le aziende statali potrebbe avere conseguenze sull’occupazione. Il problema è che non risanandole, si dilaziona lo scioglimento dei nodi fino a farli diventare inestricabili. Poi si è sentito dire che il governo si appresterebbe a varare il decreto per la valorizzazione e la successiva quotazione delle Ferrovie. Sarà. Per ora atti concreti non se ne vedono e la legge sulla concorrenza è ancora in corsia di attesa: non un bel vedere per il “governo delle riforme”.