Rottamare Cernobbio

Enrico Cisnetto – Il Foglio

C’è una relazione, e quale, tra il benservito di Marchionne a Montezemolo e quello di Del Vecchio a Guerra, con l’ostentato distacco di Renzi dai cosiddetti “poteri forti”, manifestato platealmente attraverso la scelta di non calcare le scene di Cernobbio, e dalle organizzazioni di rappresentanza degli interessi, sindacati e Confindustria in testa? Direttamente no. La vicenda Ferrari è un regolamento di conti personali, in sospeso da molto tempo. Quello che si è svolto in casa Luxottica appartiene a un fenomeno in atto da qualche tempo nel capitalismo italiano e che potremmo definire la rivincita dei padroni sui manager, i primi stanchi di non comandare più come un tempo e i secondi rei di aver esagerato, nell’esercizio del potere aziendale, nell’esposizione mediatica e nel darsi gli emolumenti. Mentre quella di Renzi è una scelta politica con finalità di comunicazione punto e basta. Insomma, si tratta di episodi non solo slegati tra loro, ma pure di bassa cucina, privi di una cornice strategica in cui collocarli.

In realtà un sottile filo rosso che li lega c’è. Si tratta, infatti, di convergenti segnali del disfacimento del vecchio sistema paese, quell’insieme di ruoli, uomini, prassi, relazioni e abitudini, che hanno costituito l’intelaiatura su cui in Italia si è retta l’organizzazione della politica, dell’economia e della stessa società. Quando si dice che si è “chiusa un’epoca” parlando dei tanti anni in cui Montezemolo è stato a vario titolo un protagonista della galassia Fiat, in realtà si indica la “fine di un mondo” in un’accezione ben più larga del perimetro, pur significativo, dell’impero Agnelli. Qualcuno, addirittura, dice che è la “fine del mondo”: chi in chiave pessimistico-nostalgica, chi al contrario in chiave positiva, aggiungendoci un “finalmente”. In tutti i casi, si tratta di segnali inequivocabili del fatto che nulla sarà più come prima.

Chi legge da tempo le mie considerazioni, ora starà probabilmente pensando che sto per produrmi in un veemente j’accuse sul declino italiano, magari accompagnato da un bel “ve l’avevo detto”. Spiace deludere (forse anche me stesso), ma non è così. Sia chiaro: l’ltalia non solo è in pieno e prolungato declino, ma è entrata in una pericolosa fase di decadenza. Quella che con un ottimo articolo Fausto Bertinotti ha descritto ieri sul Garantista. Solo che io aggiungo: del vecchio sistema, ormai consunto, abbiamo comunque bisogno di liberarci. Non ha torto Renzi quando dice che la classe dirigente del paese ha la responsabilità di averlo portato al disastro, e che prima ce ne liberiamo e prima possiamo tentare di invertire la rotta. Sbaglia a delinirla “quella della Prima Repubblica”, e tanto più sbaglierebbe se intendesse riferirsi al più longevo di quella generazione, ancora in attività. La colpa è principalmente, se non unicamente, di quelli che hanno popolato i vent’anni della Seconda Repubblica, che sono appunto stati gli anni del progressivo e crescente declino. Nella politica come nell’economia, e nella vita civile c culturale. Ma al netto di questo errore, il fatto che Renzi abbia messo in moto la macchina della rottamazione è cosa buona e giusta.

Non è andato a Cernobbio? Ha fatto bene due volte: primo perché è un segnale che va nella direzione del cambiamento, e secondo perché da quel consesso non è mai uscito uno straccio d’idea utile al paese. Il problema, semmai, è un altro, per Renzi come per il capitalismo made in Italy: avere in testa come ricostruire. Non basta buttarsi alle spalle passato e presente, bisogna avere idea di come costruire il futuro. Altrimenti rimangono solo le macerie.

Per esempio: se, giusto o sbagliato che sia, i salotti (o tinelli) buoni, patti di sindacato e i tanti altri strumenti del cosiddetto capitalismo relazionale sono superati e desueti, è inutile accanirsi a difendere quel che ne rimane o versare lacrime di rimpianto auspicando che tornino; serve, invece, prenderne atto e però, nello stesso tempo, rendersi conto che un sistema industriale complesso non può essere semplicemente la somma delle imprese esistenti ma ha bisogno di fare sistema. Sarà un sistema diverso da quello del passato – ormai ridotto a un pollaio di galli spennacchiati che si beccano – ma pur sempre sistema il capitalismo deve fare.

Lo stesso discorso vale per la politica e le istituzioni, come ho scritto in questo spazio venerdì scorso: bene la parte destruens se contemporaneamente c’è quella construens, altrimenti resti sepolto sotto i detriti. Renzi fa bene a non andare a Cernobbio, ma non può cavarsela facendo visita a una fabbrica. Quello è populismo. Deve, invece, auspicare che la nuova classe dirigente di cui c’è bisogno – e quando dico “nuova” non mi riferisco solo all’anagrafe – costruisca delle Cernobbio capaci di far circolare idee, produrre progetti, selezionare persone. C’è bisogno di riprogettare tutto: il sistema politico e istituzionale, le imprese e le loro relazioni, la rappresentanza degli interessi, le dinamiche della vita sociale, la mentalità collettiva. Una sfida immane. Che non può ridursi a un regolamento di conti, per quanto sia necessario e opportuno regolarli.