Se l’incertezza diventa la regola

Enrico De Mita – Il Sole 24 Ore

Il 20 febbraio il Consiglio dei ministri esaminerà un pacchetto di provvedimenti attuativi della delega fiscale. Il tema della certezza del diritto è destinato, dunque, a rimanere all’ordine del giorno. Non stupisce, dunque, che il Consiglio nazionale dei commercialisti, nei giorni scorsi, sia intervenuto stigmatizzando «il susseguirsi di riforme che pongono la professione davanti a situazioni nelle quali incertezza interpretativa e stretti tempi di attuazione delle norme, spesso addirittura retroattive, rendono difficile l’attività di consulenza». Questa è una delle cause della incertezza che caratterizza il sistema tributario.

Ma il quadro delle incertezze (come condizionamento esterno della legislazione) è molto più ampio. Lo ha tracciato Antonio Berliri, uno studioso attento alla pratica. Ricorso eccessivo alla decretazione d’urgenza, anche quando manchi l’urgenza. Susseguirsi a breve distanza di norme che modificano le precedenti. Il contribuente ha tempo per conoscere la nuova legge. Scadente tecnica legislativa, con leggi che poi vengono precisate nelle circolari. Esempio di questa tecnica è il richiamo, vietato nello Statuto del contribuente, a leggi precedenti mediante numeri e date dai quali è difficile ricostruire la nuova normativa. Mancato coordinamento fra norme, quindi contraddizioni e incertezze che regolarmente vengono riempite dalle circolari. Norme restrittive e interpretazione autentica di leggi tributarie. Vi sono sentenze della Consulta nelle quali si afferma che l’interpretazione autentica non può violare il principio di affidamento.

Eccessivo numero delle circolari. È pur vero che la Cassazione sostiene che le circolari non hanno efficacia legislativa e che quindi non vincolano nessuno, neppure la stessa amministrazione. Questo in teoria, ma in pratica il diritto vivente lo fanno le circolari. Davanti al giudice si discute la legge interpretata dalle circolari. E quando dall’inosservanza di un obbligo viene fatta discendere una sanzione penale il contribuente preferisce pagare per evitare il processo penale e propone domanda di rimborso: rivive la regola del solve e repete. Bisognerebbe, come ha proposto Capaccioli, che l’emanazione di una circolare puntualizzi l’interesse a ricorrere con l’accertamento negativo da parte del giudice tributario. Ma l’incertezza più rilevante introdotta dalle circolari si ha quando l’amministrazione cambia opinione su una legge, proponendo la tassazione che in un primo momento aveva escluso. Qui viene in discussione il principio di buona fede.

Impossibilità per contribuenti e amministrazione di assicurare il tempo necessario per assimilare le disposizioni che sono chiamati ad applicare. Imperfetto coordinamento fra Governo e Parlamento che non presenta emendamenti migliorativi ma solo dilatazione della legge per interessi corporativi. Scarsa efficienza dell’amministrazione. È un punto rilevato fin dalla riforma del 1971. In sintesi, c’è confusione fra Governo e amministrazione. Il Governo come guida della legislazione non esiste, perché non esiste una politica tributaria. Poche cose vengono proposte dal Governo, alcune sacrosante perché attendono alle grandi linee della politica tributaria. Ma la legislazione ordinaria, quella diretta a combattere l’evasione, viene fatta dall’amministrazione con leggi che sono per lo più inasprimento della tassazione. Ma il vizio principale dell’amministrazione è culturale, quel vizio di interpretare solo in un senso la legge, l’ostinazione fiscale anche in presenza di una legge non favorevole al fisco. Il Governo si limita a interventi propagandistici come gli 80 euro e la dichiarazione precompilata che non sarebbe stata approvata da Vanoni per la responsabilità che il contribuente deve assumere di fronte allo Stato.