Vendere, non dilapidare

Davide Giacalone – Libero

I nostri cattivi sospetti hanno trovato conferma. Ma c’è di peggio, perché il presidente del Consiglio ritiene che sia esemplare quella che, invece, a me sembra una pessima pratica. Il sospetto era che si quotasse RaiWay allo scopo di far cassa e alimentare la spesa corrente. Siamo stati i soli ad avvertire che questo era il pericolo. La macchina non si è fermata e si sono chiamati investitori esteri facendo passare per un gran successo di mercato quel che è un trasferimento di ricchezza dalle casse della Rai a quelle dei fondi acquirenti. Il cliente di Rai Way, infatti, è il proprietario. E ora sentite cosa dice il direttore generale della Rai, Luigi Gubitosi: «Dei 240-280 milioni di euro che entrano in cassa, 150 ci consentono di compensare il prelievo deciso dal governo». Esattamente quel che non sarebbe dovuto succedere: usano la vendita di patrimonio per alimentare la spesa corrente. Due terzi dell’incasso se ne vanno per finanziare un solo anno, mentre il patrimonio se ne va per sempre. Il rimanente terzo è destinato, bontà loro, a investimenti. Ma sapete in che consistono? La bonifica degli uffici di Viale Mazzini. E questo sarebbe un investimento?

Dice Matteo Renzi: «Avercene privatizzazioni come Rai Way. Era stata stimata per 150 milioni e ne abbiamo incassati 250. E c’è qualcuno che protesta pure». Esatto, protesto. Intanto perché il governo non incassa un solo centesimo, visto che i soldi finiscono nella fornace Rai. Poi perché se si procede a quel modo l’Italia si troverà sempre meno dotata di patrimonio e sempre più indebitata. Ricetta assassina. Dopo di che non basterebbe certo uscire (essere cacciati) dall’euro, si dovrebbe uscire dalla ragioneria e dal pianeta. Fatta la schifezza di questa quotazione c’è solo una cosa che possa aggravarla: considerarla esemplare.

Il 2015 vedrà sul piatto la vendita di quote Eni ed Enel, oltre che la corsa perla quotazione di Ferrovie e Poste. Il problema non è solo stabilire cosa si vende e quando, decisioni da prendersi puntando al migliore incasso, ma anche fissare inderogabilmente la destinazione dei proventi. Che devono andare al Fondo ammortamento del debito pubblico, istituito nel 1993 per ritirare dal mercato quote del nostro debito, e agli investimenti veri, che non consistono nel rifare gli uffici della dirigenza ma neanche nel finanziare la spesa sociale bensì nel mettere benzina nel motore dei lavori pubblici. Più alla prima che alla seconda destinazione, comunque non alla spesa corrente.

Tutta la gnagnera della riforma elettorale e dei grandi cambiamenti nella legislazione del lavoro s’annuncia tale da lasciare le cose in grande parte come stanno. Palestre d’eloquio per politici verbosi e sbandieratori inconcludenti. Mentre le vendite sul modello Rai Way sono operazioni che vanno in ogni modo impedite. E guardate cosa tocca scrivere a chi si batte per le privatizzazioni e la dismissione di patrimonio pubblico. Il fatto è che una cosa sono le vendite e le dismissioni, tutt’altra le dissennatezze e gli sprechi, destinati a far quadrare bilanci che restano compromessi dai debiti. L’anello della nonna si vende una sola volta, quella successiva ci si vende la casa e al terzo giro si va sotto ai ponti, se i soldi precedentemente incassati li si spende per comprare la moto cromata e pagare il prezzo di una vita d’inutili vizi e smisurata incoscienza.