La strada difficile della ripresa

Mario Deaglio – La Stampa

Moltissimi italiani sono vittime di un terribile equivoco: si illudono che un «buon» governo, non importa se l’attuale o un altro, sia in grado di scaricare sulla loro porta di casa una splendida ripresa già bell’e confezionata, possibilmente senza creare loro alcun incomodo. Così si spiegano le critiche «quantitative» ai provvedimenti del governo, già adottati o di prossima messa a punto, secondo le quali «le risorse non bastano». Come ha detto il presidente dell’Ance, Paolo Buzzetti, «se non ci mettiamo i soldi… i problemi restano tutti lì». E siccome qualche soldo c’è, ma non basta (e questo lo sanno tutti), e non è possibile stamparne tranquillamente degli altri, si direbbe che i problemi sono destinati a rimanere tutti lì, magari per molto tempo. La ripresa che piacerebbe a milioni di italiani consiste nel «riprendere››, appunto, ritmi, modalità di vita e produzione degli anni precedenti la crisi.

Più che una ripresa sarebbe un recupero e una conservazione di valori, da quelli monetari a quelli culturali. E questa ripresa si potrebbe realizzare semplicemente ritoccando qualche legge – possibilmente senza conseguenze scomode per i diretti interessati – e affidandosi al «buon senso». Sarebbe molto bello, soprattutto per un paese in cui gli anziani sono una componente sempre più importante, se la ripresa fosse effettivamente così. Purtroppo le cose stanno andando diversamente. 

Quella che stiamo vivendo a livello globale è una «distruzione creatrice», come l’aveva definita l’economista austriaco Joseph Schumpeter all’incirca settant’anni fa: uno «sciame» di innovazioni irrompe sulla scena economica, altera la struttura dei costi, si presenta di prepotenza con nuovi prodotti, cambia di fatto il nostro modo di vivere e ne instaura un altro, si inventa nuovi mercati e nuovi modi di produrre. 

Lo si vede benissimo osservando con attenzione la nostra vita quotidiana: dopo trent’anni in cui si è limitata a renderci le cose più facili, l’elettronica sta rendendo la nostra esistenza sensibilmente diversa. Iphone e Ipad cambiano i nostri ritmi di vita e di lavoro: con il telefonino (che è sempre meno «cellulare» in quanto passa sempre più da Internet) possiamo acquistare un biglietto ferroviario 0 aereo, effettuare un bonifico bancario, pagare in diretta il posteggio dell’auto. Sempre con questo o altri simili mezzi elettronici potremo «scaricare» e seguire a nostro piacimento interi corsi universitari, tenere la nostra salute sotto controllo, acquistare un numero crescente di oggetti senza passare dal negozio dai supermercati. 

Possiamo legittimamente pensare che tutto ciò sia un bene o sia un male. In ogni caso siamo costretti a muoverci in questa direzione perché gli altri Paesi lo stanno facendo e perché dobbiamo vendere all’estero i nostri prodotti per pagarci l’energia e le materie prime di cui abbiamo bisogno (sempre che non prevalgano i venti di guerra che soffiano sull’Ucraina e sul Medio Oriente, con qualche sinistra somiglianza con quelli di cent’anni fa). La ripresa, insomma, non sarà per niente comoda e rassicurante, sarà scomoda e incerta; offrirà delle opportunità, non garantirà a nessuno di raggiungere i risultati sperati. 

Nessun governo, in nessun Paese, potrà fare meraviglie, tutti i governi e tutti i Parlamenti dovranno mettere i loro cittadini nelle condizioni di “fare”, di rischiare al meglio, di elaborare un progetto di vita che non sia bloccato da ostacoli legislativi antiquati. Le leggi non creeranno ripresa, metteranno i cittadini nelle condizioni di crearla. Per questo sono necessari i «piccoli miracoli individuali» di cui ho parlato in un precedente articolo, un’affermazione alla quale alcuni lettori hanno reagito con fastidio sostenendo che i miracoli li devono fare i governi. 

Per la verità, i giovani italiani stanno cominciando a muoversi in questa direzione. Sono diverse decine di migliaia quelli che, dopo aver conseguito buone lauree in Italia si vedono proporre spezzoni di lavoro, stage non pagati, contratti di pochi euro e senza futuro o al massimo lunghe carriere per arrivare a posizioni di rilievo all’età della pensione; al di là delle Alpi, da Monaco a Londra, ricevono spesso offerte di posti (e salari) adeguati alla loro professionalità da imprese spesso dirette da trentenni o quarantenni. 

I rimedi alla brutta crisi italiana, in sostanza sono solo in piccola parte quantitativi e soprattutto qualitativi; e possono richiamare in un circuito produttivo un po’ di ricchezza finanziaria netta delle famiglie che, secondo la più recente indagine della Banca d’Italia, è pari a circa 8 volte il reddito disponibile lordo delle famiglie italiane, in linea con Regno Unito, Francia e Giappone e sensibilmente superiore a quella di Stati Uniti, Canada e Germania. Se le famiglie italiane non useranno almeno una parte di questa ricchezza (le sole attività finanziarie valgono più del doppio del prodotto interno lordo) è possibile che finiscano con il perderla. E perderemo tutti una parte delle speranze del Paese.