alessandro merli

Sempre meno banche in Europa

Sempre meno banche in Europa

Alessandro Merli – Il Sole 24 Ore

Il settore bancario dell’eurozona si presenta all’appuntamento della fine dell’esame da parte della Banca centrale europea, fra meno di due settimane, con meno banche e un attivo ridotto, ma con una redditività tuttora modesta, secondo uno studio della stessa Bce pubblicato ieri. Un rapporto dell’agenzia di rating Fitch nota che la conclusione dell’esame delle banche condotto dalla Bce è solo il primo passo per uniformare l’accesso ai fondi privati e la capacità di aumentare il credito. Fitch osserva che i livelli di crediti problematici non coperti da accantonamenti resta alto nei Paesi maggiormente investiti dalla crisi, come Italia, Spagna, Grecia e Irlanda, rendendo alcune banche ancora vulnerabili. Solo un piccolo numero di banche, secondo l’agenzia, fallirà il test della Bce.

Il consolidamento del settore è continuato nel 2013, l’anno cui lo studio Bce si riferisce, portando il numero degli istituti sotto quota 6mila, a 5.948. Nel 2008, prima dello scoppio della crisi finanziaria, erano 6.690. L’attivo totale si è contratto a 26.800 miliardi di euro da 33.500 prima della crisi, soprattutto per effetto dell’azione delle grandi banche: metà della riduzione è dovuto alla chiusura di posizioni sui derivati. «Il deleveraging delle banche europee continua – ha detto il vicepresidente della Bce, Vitor Constancio, nel presentare il rapporto -. Questo è stato compensato da un significativo aumento dell’attività del settore bancario “ombra”, che dev’essere osservata da vicino». Le preoccupazioni sull’evoluzione dell’attività creditizia da parte di entità fuori dal perimetro della regolamentazione bancaria sono state al centro della discussione anche nei giorni scorsi a Washington alle riunioni dell’Fmi.

Il processo di razionalizzazione del settore, sostiene la Bce, suggerisce che l’efficienza complessiva del sistema continua a migliorare. Tuttavia i risultati di bilancio e la redditività restano bassi, anche se in nessun Paese dell’eurozona il sistema bancario nel suo complesso ha accusato una perdita operativa nel 2013. La redditività continua a subire l’impatto negativo dei tassi d’interesse molto bassi, il continuo peggioramento della qualità dell’attivo, i costi di ristrutturazione e di procedimenti giudiziari e cause legali. La scarsa redditività delle banche europee è stata sottolineata la settimana scorsa anche dal Fondo monetario, che ha sollevato dei dubbi sulla loro capacità di finanziare la ripresa.

Le banche europee hanno anche ridotto la loro dipendenza dai mercati dei capitali, affidandosi maggiormente alla raccolta da clientela, e dalla Bce, con il rimborso di buona parte dei prestiti Ltro concessi dall’Eurotower nel 2011-2012. Il valore mediano del capitale tier è aumentato da 12,1 nel 2012 a 13% a fine 2013. Fitch sostiene che la capitalizzazione delle 130 banche all’esame della Bce si è rafforzata notevolmente dall’ultimo stress test del 2011, continuando nel 2014. Secondo l’agenzia, le banche hanno raccolto capitale per 65 miliardi di euro nella prima metà del 2014. Fitch prevede che ulteriori aumenti di capitale e ristrutturazioni, soprattutto da parte delle banche più deboli, seguiranno la pubblicazione dei risultati della valutazione appronfondita della Bce. Questa avverrà il 26 ottobre prossimo. Le banche hanno poi due settimane di tempo per presentare i propri piani su come far fronte alle carenze di capitale. Secondo Fitch, questo riguarderà solo un piccolo numero di banche. Il quotidiano tedesco Handelsblatt riferiva ieri che in Germania solo la landesbankdi Amburgo, Hsh, fortemente esposta al settore in crisi del trasporto marittimo fallirebbe il test.

Una “spirale velenosa” s’aggira per l’Eurozona

Una “spirale velenosa” s’aggira per l’Eurozona

Alessandro Merli – Il Sole 24 Ore

Sepolta sotto una montagna di debito che, invece di diminuire, aumenta, l’economia mondiale rischia una nuova crisi dopo quella gravissima della fine del decennio passato. C’è una «spirale velenosa» fra l’alto livello del debito pubblico e privato e la bassa crescita nominale, avverte l’ultimo Rapporto di Ginevra, pubblicato ieri dal Centro internazionale di studi bancari e monetari. Fra gli autori, Lucrezia Reichlin, della London Business School e già capo della ricerca della Banca centrale europea, e Luigi Buttiglione, ex Banca d’Italia ed economista di uno dei più grandi hedge fund macro, Brevan Howard. Il circolo vizioso fra alto debito e bassa crescita, spiega Buttiglione, è evidente nell’eurozona più che altrove e, all’interno dell’eurozona, nel caso dell’Italia.

Il Rapporto smentisce anzi tutto la convinzione che il mondo stia attraversando una fase di deleveraging dopo la crisi del 2008-2009: anzi, il debito pubblico e privato (con l’esclusione di quello del settore finanziario), che era attorno al 60% del prodotto interno lordo all’inizio del decennio passato, è balzato al 200% nel 2009, dopo lo scoppio della crisi, e ha toccato il 212% nel 2013. Con una differenza fondamentale, che prima della crisi l’accumulazione di debito è avvenuta soprattutto nei Paesi avanzati, dove si è ora stabilizzato più o meno ai livelli del 2009. Dopo la crisi, invece, si assiste a un balzo del debito soprattutto nei Paesi emergenti, in particolare in Cina, il punto più fragile assieme all’eurozona, dove le autorità dovranno scegliere fra un rallentamento della crescita per frenare l’aumento del debito totale (che si è impennato dal 140% del pil del 2001 al 240% attuale) o un pericoloso aumento continuo del debito per continuare ad alimentare la crescita su ritmi vicini a quelli degli anni scorsi. Il rischio di una prossima crisi è reale, secondo il Rapporto, ed è particolarmente vivo in quei Paesi che non hanno fatto i conti del tutto con quella precedente, come quelli della periferia dell’eurozona, fra cui l’Italia.

La risposta della politica economica è decisiva. Il Rapporto di Ginevra mette a confronto quella delle autorità di Stati Uniti e Gran Bretagna con quella europea. Nel primo caso, si è scelta la strada di una forte espansione del bilancio della banca centrale (soprattutto da parte della Federal Reserve) attraverso il quantitative easing. Al deleveraging del settore privato e in particolare del sistema finanziario, ha corrisposto un aumento dell’indebitamento pubblico. L’uscita è in corso adesso, con la cessazione del Qe, e dovrà avvenire in modo graduale per non produrre nuovi sconquassi, ma ha evitato, dopo la crisi, una ricaduta nella recessione e una paralisi del credito. Cosa che è avvenuta invece in Europa, dove un possibile Qe è ancora oggetto di discussione e di forte opposizione e i vincoli anche politici dell’unione monetaria, dove ogni intervento diventa anche un trasferimento da un Paese all’altro, hanno frenato la risposta nei tempi e nei modi, anche se è stato evitato il collasso, grazie all’azione della Banca centrale europea.

L’Europa ha puntato sulla riduzione prima del debito pubblico, attraverso l’austerità fiscale e non ha ricapitalizzato il settore bancario. A differenza che negli Stati Uniti, il debito totale dell’eurozona resta oggi una percentuale più alta del pil rispetto a prima della crisi, mentre la perdita di reddito è del 5% circa negli Stati Uniti e quasi il doppio per l’eurozona. La revisione ormai ultimata dei bilanci delle banche europee, bassi tassi d’interesse e il possibile varo del Qe (che il Rapporto suggerisce) possono essere d’aiuto, ma il «veleno» del mix di alto debito e bassa crescita nominale appare più pericoloso nell’eurozona che altrove.

Allarme Bce sui conti italiani

Allarme Bce sui conti italiani

Alessandro Merli – Il Sole 24 Ore

A rischio l’obiettivo del Governo italiano sui conti pubblici per il 2014. Lo scrive la Banca centrale europea nel bollettino mensile diffuso ieri, in un’analisi dei bilanci dei Paesi dell’area euro. Secondo la Bce, il pericolo del mancato raggiungimento del target ufficiale (un deficit pari al 2,6% del prodotto interno lordo) deriva dall’evoluzione dell’economia, che sta andando peggio del previsto. Nel secondo trimestre, l’economia italiana ha accusato una contrazione dello 0,2%. La Bce sollecita quindi il Governo a «rafforzare ulteriormente» la politica di bilancio in modo da assicurare il rispetto del Patto di stabilità, soprattutto per quanto riguarda la riduzione del rapporto debito/Pil. Un’osservazione destinata a provocare una discussione sulla necessità di una manovra correttiva per l’anno in corso.

Il bollettino mensile della Bce nota che nei primi tre mesi dell’anno il deficit italiano ha registrato un miglioramento rispetto allo stesso periodo del 2013 (dall’1,8% del Pil all’1,6), in seguito alla minor spesa pubblica, soprattutto per investimenti, mentre le entrate sono rimaste più o meno costanti. Nel primo semestre, c’è stato un lieve calo (pari allo 0,1% del Pil) delle entrate fiscali, ma questo, osserva la Bce, è da attribuirsi a un diverso calendario dei pagamenti delle imposte rispetto all’anno scorso. Il documento elaborato dagli economisti dell’Eurotower nota che, in base al Patto di stabilità, l’Italia si è impegnata a un aggiustamento strutturale dei conti pubblici (depurato quindi dagli effetti del ciclo economico) pari allo 0,7% sia quest’anno sia il prossimo, ma che le previsioni di primavera della Commissione europea indicano un risultato dello 0,1% in ciascuno dei due anni. Il bollettino ricorda il mancato rispetto da parte dell’Italia del valore di riferimento per la riduzione della spesa pubblica e del rapporto debito/Pil.

Il tema della politica fiscale è stato recentemente al centro del dibattito europeo, con Italia e Francia (che ha appena annunciato che rinvierà la riduzione del deficit al 3% al 2017) che premono per un allentamento dell’austerità e la Germania sul fronte opposto. Sulla questione è intervenuto di recente anche il presidente della Bce, Mario Draghi, sostenendo che, pur nel rispetto delle regole attuali, possono essere utilizzati tutti i margini di flessibilità esistenti e che i Paesi che hanno margini di manovra (un riferimento implicito alla Germania) possono utilizzare la leva di bilancio per stimolare l’economia. Il bollettino mensile dell’Eurotower rileva che nei primi sei mesi del 2014 il bilancio tedesco ha registrato un attivo dello 0,6% del Pil, e che sia questo, sia gli obiettivi del Governo per questo e i prossimi anni, vanno al di là di quanto fissato sia nella legge costituzionale sul “freno” al debito pubblico, sia negli accordi europei. Analoghe pressioni su Berlino, in modo più esplicito di quanto ha fatto Draghi, sono venute in questi giorni dal direttore del Fondo monetario, Christine Lagarde, con una sottolineatura sulla necessità di investimenti in infrastrutture. Sono state però già respinte in modo piuttosto netto dal Governo tedesco, che nel progetto di bilancio presentato al Bundestag questa settimana ha confermato l’obiettivo del pareggio per il 2015 e per gli anni successivi.

La questione della politica fiscale, insieme a proposte per il rilancio degli investimenti nell’area euro, verrà discussa alle riunioni dell’Eurogruppo e dell’Ecofin in programma oggi e domani a Milano, sotto presidenza italiana. A Milano la discussione sarà presumibilmente inasprita dall’annuncio di Parigi che il deficit pubblico di quest’anno salirà al 4,4% del Pil, contro un target del 3,8%, e che l’obiettivo del 3%, che avrebbe dovuto esser raggiunto originariamente nel 2015, è spostato al 2017, anche in questo caso a causa di una crescita inferiore al previsto. L’irrigidimento di Berlino nel dibattito europeo sulla politica di bilancio viene giustificato in ambienti governativi anche con la scarsa affidabilità di Francia e Italia sul rispetto degli impegni assunti.