bruno villois

Scacco ai burocrati

Scacco ai burocrati

Bruno Villois – La Nazione

Capita a tutti di dover avere bisogno di un elettricista, idraulico, meccanico e decine di altre figure indispensabili alla vita quotidiana di tutti noi. Ebbene, questi professionisti vi racconteranno che il loro impenetrabile e insuperabile nemico è la burocrazia. In media gli artigiani e i commercianti, dedicano un quinto della giornata a risolvere le infinite pastoie burocratiche, e altrettanto ne perdono per la parte contabile e fiscale. Su una media di 50 ore settimanali, 15-20 volano via per far fronte alla burocrazia, finora inossidabile e inattaccabile da ogni governo. Oltre al 30-40% del tempo per gli adempimenti, ci sono oneri finanziari, bolli, raccomandate, consulenti amministrativi e contabili. Eppure sono decenni che ogni politico, nazionale o locale, mette al primo posto il problema burocrazia per poi dimenticarsene in corso di mandato. Risolvere il problema con le ‘lenzuolate’ di liberalizzazioni o pseudo tali, non fa null’altro che aumentare il peso della burocrazia fissando, in nome e per conto delle liberalizzazioni, nuove astruse e complicate regole che nessuno è in grado di interpretare e che invece impongono più scartoffie e oneri consulenziali.

Il Governo pensa ad eliminare o a ridurre pesantemente il ruolo delle Camere di Commercio e dei corpi intermedi, che sono gli unici supporter dei piccoli imprenditori. Il loro indebolimento produrrà importanti problemi alle partite Iva, che vedranno ridursi i servizi, e rafforzerà la burocrazia. Chi rischia e lavora in proprio e dispone di risorse finanziarie limitate, da anni guadagna sempre meno e rischia sempre di più: togliergli i corpi intermedi significa abbandonarlo a se stesso. Renzi e il suo governo si dichiarano paladini della modernizzazione: se è vero, invece di abbattere i corpi intermedi, annientino la burocrazia. L ‘informatica e Internet sono un caposaldo per riuscirci; la riduzione del numero degli adempimenti e delle scadenze, da concentrarsi in un massimo di 2 o 3, è un secondo, punto fermo; l’abolizione dei doppioni, Stato, Regioni, Comuni, enti vari, che impongono, moltiplicandoli, gli stessi adempimenti, è il terzo perno. Così si modernizza il paese e si evita di far disperdere tempo e risorse a e piccole imprese.

Produzione in fuga

Produzione in fuga

Bruno Villois – La Nazione

In fatto di record, il governo Renzi è secondo a pochi. Quello della disoccupazione femminile gli appartiene, con le oltre 140 mila nuove senza lavoro, e più in generale solo il governo Monti ha saputo fare peggio, con i suoi oltre 500mila disoccupati, contro i 200mila di Renzi e i 160mila di Letta. I numeri parlano da soli ma l’aggravarsi della disoccupazione è dovuto ad alcuni fattori che, purtroppo, rischiano di peggiorare, anche se ci fosse una ripresa. Tra questi spicca lo spostamento di molti siti produttivi dall’Italia verso Paesi che offrono molte facilitazioni agli insediamenti e con burocrazia e pressione fiscale nettamente migliori delle nostre.

Il sistema produttivo italiano di grandi e a volte medie dimensioni, per migliorare le performance ha puntato ad espandersi nel mondo, sia per conquistare nuovi mercati, sia per ottenere migliori condizioni generali. Soltanto chi ha come scenario il mondo può crescere e ottenere soddisfazione dagli investimenti, è quindi naturale che il calo dei siti produttivi persista e con esso diminuisca l’occupazione. Ci sono però comparti, come le costruzioni o l’agroalimentare di alta qualità, il design e l’arredo o ancora l’automotive di alta gamma e la componentistica di alta precisione, per i quali produrre in Italia è o indispensabile, come l’edilizia, o rafforzante, per la qualità della materia prima o la manodopera altamente specializzata che solo da noi esistono. Purtroppo il Governo non sta puntando su una politica industriale mirata a sostenere il sistema industriale e soprattutto i comparti produttivi che possono fare la differenza, sia in termini di occupazione qualificata, che di redditività e quindi di pagamento di tasse e contributi.

Il settore chimico-farmaceutico è forse quello che ha saputo, meglio di ogni altro, tenere alto il valore dell’italianità, pur espandendosi molto all’estero e nonostante sia stato sovente vessato da norme sfavorevoli, ha mantenuto saldamente entro confine siti produttivi e ricerca. Menarini, Chiesi, Italfarmaco e Recordati sono modelli vincenti sotto ogni aspetto, che per essere clonati in altri settori necessitano di ben altro tipo di politica industriale governativa. È fondamentale puntare sulle imprese e stimolarle a rimanere entro confine, ulteriori delocalizzazioni aggraverebbero pesantemente la disoccupazione.

L’impresa al centro

L’impresa al centro

Bruno Villois – La Nazione

Il Centro Studi di Confindustria azzarda una previsione di Pil lievemente positivo per il 2015, con un +0,5%. Stessa ipotesi di ripresa, però, era stata fatta per l’anno in corso e per il precedente. L’analisi parla anche di consumi che risalgono, dono sei anni di crisi, recuperando un mezzo punto percentuale. A breve uscirà anche la previsione di Confcommercio e si vedrà se va anch’essa verso un orizzonte economico con mini squarci di sereno. Di certo qualche segnale di miglioramento è già arrivato quest’anno dalle vendita delle auto con un + 5%, dal calo della cassa integrazione, positivo però solo dal trimestre in corso, e infine dalla ripresa delle trattazioni immobiliari, anche per i livelli medi. Quindi la previsione di Confindustria, che ha nei suoi capisaldi anche gli ordini dell’industria e la fiducia degli imprenditori, potrebbe avere piu fondamenta degli anni precedenti. Con una ripresa di 0,5% succederà ben poco dal punto di vista reale e la disoccupazione continuerà a crescere, sfondando i record attuali. La disoccupazione rappresenta il primo effetto della crisi del nostro sistema imprenditoriale, schiacciato dalla crisi globale e da una debolezza dovuta ad imprese troppo piccole, fortemente indebitate e con serie difficoltà ad investire in modernizzazione e quindi innovazione, ricerca, formazione permanente.

Correggere e migliorare il sistema imprenditoriale nostrano sarà opera complessa. Il governo dovrebbe mettere al centro della sua agenda l’impresa e come sostenerne, attraverso una politica industriale ancor oggi inesistente, il rafforzamento, facilitando fusioni, incorporazioni, quotazioni in Borsa. In assenza di un progetto complessivo che contenga la riduzione delle pressione fiscale, il ridimensionamento e lo snellimento della burocrazia, l’accesso al credito, almeno parzialmente, garantito da Cassa Depositi e Prestiti, sarà molto difficile se non impossibile ridare smalto al nostro Pil. Senza un ‘impresa più forte e quindi maggiormente in grado di competere in ogni dove, non si può realizzare una consistente e duratura ripresa, con un’occupazione stabile e una adeguata redditività in modo da ottenere flussi di cassa fondamentali per poter investire e quindi modernizzarsi e crescere.

Incentiviamo chi investe

Incentiviamo chi investe

Bruno Villois – La Nazione

No patrimonio, no credito bancario, parafrasando una nota pubblicità televisiva. Questa è la sintesi della diminuzione dell’erogazione dei prestiti bancari. Il sistema creditizio è stato obbligato ad accantonare miliardi di euro, per crediti inesigibili, imputabili per oltre i due terzi alle piccole imprese, le quali a causa della crisi e in non pochi casi al mancato pagamento da parte delle PA di forniture e servizi, stanno vivendo la loro peggior stagione.

L’inadeguata patrimonializzazione e l’insufficiente ricorso al capitale di rischio, da parte della stragrande maggioranza delle piccole aziende, è all’origine del costante aumento della contrazione dell’erogazione dei prestiti. Per rianimare i processi espansivi della nostra economia e fondamentale alimentare una dose massiccia di investimenti. Le norme fiscali hanno sempre favorito l’indebitamento bancario consentendo la detrazione degli interessi passivi dalle tasse, nessuna agevolazione, né incentivo, sono stati concessi a favore del conferimento di capitale di rischio, con il risultato di allontanare il versamento di capitale proprio degli imprenditori. La crisi ha fatto emergere la debolezza patrimoniale della maggioranza delle nostre imprese, il ridotto accesso al credito ne è stata la conseguenza naturale.

Per riattivare un flusso importante di prestiti è indispensabile che le imprese si patrimonializzino, così da poter garantire, in misura appropriata, quanto loro concesso dalle banche. Un’importante ondata di nuovi prestiti creerebbe le condizioni per rilanciare gli investimenti in modernizzazione, innovazione, ricerca e formazione, tutte componenti indispensabili per consentire alle imprese di poter competere a livello internazionale. Il governo insiste ad operare su linee strategiche che non tengono conto della reale situazione del sistema imprenditoriale nostrano, perché non pone in atto politiche a sostegno delle imprese. Le banche non possono caricarsi il fardello di ulteriori crediti inesigibili, servono politiche fiscali che favoriscano la patrimonializzazione delle imprese, premiando i soci che conferiscono capitale, come accade in molti altri Paesi, con la detrazione dai loro redditi di quanto versato. Per aiutare la ripresa bisogna rilanciare il sistema imprenditoriale, favorirne la crescita è una condizione essenziale.

Per dare ossigeno ai negozi servono incentivi ai consumi

Per dare ossigeno ai negozi servono incentivi ai consumi

Bruno Villois – Libero

La stagione più difficile per il commercio e i servizi non accenna a modificarsi, ogni azione messa in atto dai vari governi degli ultimi 2 anni, non ha prodotto nulla, anzi si sono innescare illusioni, come quella degli 80 euro che si sono sgonfiate in un batter d’occhio.

Il presidente di Confcommercio, Sangalli, ha lanciato continui inviti ad attivare iniziative pro consumi, che sono stati totalmente inascoltati dalla politica. Le piccole partite Iva sono oltre 5 milioni, commercio e servizi ne raccolgono poco meno della metà, insieme all’artigianato (che al suo interno ha anche la grande maggioranza degli edili) e all’agricoltura costituiscono oltre il 90% del totale. Numeri fondamentali per l’economia reale, che purtroppo, per il mondo politico, contano solo con l’approssimarsi delle scadenze elettorali, superate le quali, vengono totalmente dimenticati, mentre la grande industria, grazie al suo peso economico e al rapporto con i sindacati, ottiene dalla politica ben più attenzioni e sovente favori, le diminuzioni dell’Irap, e del costo dell’energia, sono prettamente di interesse della grande impresa e non certo del commercio, servizi e artigianato, nonostante che i tre settori, tra titolari e lavoratori, rappresentino un numero maggiore di cittadini di quelli espressi dall’industria. Il manifatturiero resta il perno della nostra economia, la grande maggioranza di tali produzioni è esclusivamente indirizzata al mercato interno, purtroppo i nostri consumi, di ogni tipo sono tornati ai livelli di trent’anni fa.

Industria e commercio sono collegati in maniera indissolubile, inutile favorirne la prima se non si sostiene il secondo. Da inizio crisi le chiusure di esercizi commerciali, artigianali e di servizi hanno sfiorato il 20% del totale, oltre 400 mila esercizi, altrettanti sono in sofferenza, in tutti i settori, ma soprattutto abbigliamento, arredi ed elettrodomestici ne sono le vittime principali. Discorso a parte merita l’alimentare, in cui piccoli esercizi hanno cominciato a scomparire, ben prima di inizio crisi e adesso sono rimaste solo vere boutique del cibo collocate nei centri delle grandi città. La grande distribuzione ha fatto piazza pulita, stessa situazione ha riguardato gli ambulanti dei mercati rionali.

A fronte di una così sconvolgente Caporetto del commercio e dei servizi, la politica non ha messo in atto nessuna vera azione a sostegno di un comparto essenziale sia per i cittadini che per i produttori. La pressione fiscale per le Pmi è cresciuta soprattutto a livello locale, con Imu, tassa rifiuti e acqua a tirare la volata, stessa cosa è avvenuta per i contributi previdenziali, in continuo aumento, mentre il lavoro nei migliori casi si è bloccato, nei tanti peggiori, è crollato.

Per ridare ossigeno al commercio servirebbe una incisiva azione a favore dei consumi, uno stimolo a spendere favorito da bonus fiscali concessi ad ogni contribuente sarebbe una manna del cielo. Oggi chi potrebbe fare acquisti, avendo reddito e certezza di occupazione, lo fa sempre meno, perché è disincentivato, grazie a strumenti come lo Spesometro, che fa scattare controlli fiscali a chi intende mettere mano al portafoglio. Una situazione che dovrebbe essere impensabile per uno stato dove il rapporto fiduciario tra cittadino e amministrazione dovrebbe essere alla base del sistema Paese, ma purtroppo così non è.

La deflazione è figlia del crollo dei consumi, il ricorso a continui sconti, saldi, 3×2, sono emergenze a cui ricorrono i commercianti per non essere sopraffatti dall’enormità delle incombenze, di ogni genere, a cui sono soggetti. Il governo per rianimare realisticamente i consumi, ed evitare il definitivo tracollo del commercio e dei servizi, ha solo più l’arma degli incentivi fiscali, un’arma che più passa il tempo e più diminuisce la fiducia per il futuro, rischia anch’essa di diventare spuntata. Agire subito è indispensabile, ogni ulteriore ritardo produrrà altri danni, forse irrecuperabili, al più bel paese del Mondo, che è il nostro.

Gli imprenditori si coalizzino per cambiare l’agenda di Renzi

Gli imprenditori si coalizzino per cambiare l’agenda di Renzi

Bruno Villois – Libero

I 1.000 ipotetici futuri giorni dell’agenda del governo sono l’ultima trovata di Matteo Renzi. Il premier non passa giorno che non si inventi qualcosa per allungare la vita dell’esecutivo, avendo in mente chissà quali illtuninate idee in grado di modificare una situazione economica che non promette nulla di buono per il nostro paese. Le previsioni per i prossimi due anni per la salute della nostra economia sono tutt’altro che rosee, i più ottimisti si espongono per un complessivo aumento del Pil di 2,5 punti, gli obiettivi per meno di 2 punti e i pessimisti limitano la crescita ad un punto e poco più.

A fronte della limitata e adeguata crescita del Pil, si può prevedere un debito pubblico vicino o leggermente superiore ai 2.200 miliardi (+3% sull’attuale), gravato di interessi annui di almeno 50 miliardi di euro (qualcosina in meno se Draghi fa partire misure straordinarie a favore della ripresa). Anche dal punto di vista industriale non ci si può attendere gran che. Le principali 1.000 imprese italiane hanno ormai portato le loro produzioni entro confine, ma ben sotto il 50%, mentre Fiat, dopo la fusione con Chrysler, produrrà da noi meno del 10%, il tutto aggravato dal fatto che l’azienda pagherà le tasse non più in italia, avendo spostato la sede all’estero, esempio che sta riscuotendo, per ora, manifestazioni di interesse da parte di diversi maxi gruppi nostrani, stanche di pagare una tassazione che sfiora il 45%, interesse che potrebbe tradursi in fatti concreti già dal 2015.

Le altre principali aziende italiane di medie dimensioni, la cui attività è agganciata a forniture per Germania e Stati Uniti, potrebbero veder aumentare il rallentamento degli ordini dovuto ad un calo di domanda da parte dei due maggiori importatori di prodotti italiani. Se così fosse, ne seguirebbe una diminuzione dei tributi da parte dello Stato con significativa incidenza per i conti pubblici. Le piccole partite Iva, oltre 5 milioni, totalmente dipendenti dalla domanda di consumi interni, in assenza di politiche continuative di stimolo agli acquisti nel prossimo biennio continueranno a subire una costante diminuzione di redditività dovuta proprio alla deflazione che si è affacciata nell’ultimo mese rilevato da Istat. Senza dimenticare che la parte più debole delle Pmi, da stimarsi in circa 1/5 dei 5 milioni prima citati di partite Iva, è a totale rischio di sopravvivenza, in assenza di un deciso rilancio dei consumi.

Anche dal punto di vista bancario, nonostante le declamate attese renziane, per utilizzare i 200 miliardi di euro forniti, pro famiglie e soprattutto piccole imprese, ci si deve aspettare ben poco, per almeno due motivi: le restrittive disposizioni delle varie Basilea impediscono alle banche di concedere prestiti ad aziende che non hanno i fondamentali finanziari adeguati alla tipologia del prestito, inoltre dopo gli accantonamenti di oltre 150 miliardi di euro dovuti a perdite per crediti inesigibili, le banche italiane non andranno certo a rischiare sulla loro pelle, anche se le risorse arrivano dalla Bce. In sintesi non esistono motivi validi, a livello economico-finanziario, per tirare avanti altri mille giorni con l’attuale esecutivo.

L’unica possibilità per allungare la vita del governo è quella di concentrare ogni sforzo, sia economico-finanziario che di progettazione e programmazione, sulla realizzazione di una politica industriale e commerciale, definita nei particolari e scadenzata nei tempi, in grado di identificare i comparti e settori su cui puntare gli investimenti pubblici e attrarre quelli privati, mettendo a disposizione agevolazioni concrete per gli insediamenti e defiscalizzando i conferimenti di capitale o patrimoniale destinati alla crescita delle imprese e alla loro patrimonializzaizione, in modo da poter ottenere adeguati prestiti da parte del sistema bancario. Renzi e suoi ministri hanno rinviato a fine settembre i contenuti del programma dei mille giomi, giusto aspettare i contenuti prima di giudicare, nel frattempo le categorie economiche dovrebbero, a mio parere, coalizzarsi per chiedere di puntare su una vera e nuova politica industriale e commerciale, quale primo obiettivo del Governo.