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La guerra dei trent’anni con il fisco per un rimborso

La guerra dei trent’anni con il fisco per un rimborso

Vittorio Da Rold – Il Sole 24 Ore

Facciamo un salto nel passato fino al 1984 quando non c’erano ancora i telefoni cellulari e Internet muoveva i primi passi ma iniziava un contenzioso con il fisco italiano che forse finirà nel 2014, una sorta di guerra dei trent’anni con il Fisco. Sembra incredibile, ma purtroppo vero. Ripercorriamo la vicenda.

Nell’aprile 1984 il contribuente S.L. subisce un’indebita ritenuta Irpef al momento dell’erogazione di un acconto sul Tfr, l’indennità di fine rapporto. Poco male – pensa il nostro malcapitato – ma non sarà così. Il 7 novembre 1984 il contribuente presenta all’Intendente di Finanza di Milano una richiesta di rimborso, ottenendo il cosiddetto silenzio-rifiuto (un no senza motivazioni). Il 30 marzo 1985 il contribuente presenta ricorso alla Commissione provinciale di Milan, che con sentenza del 17 giugno 1987 accoglie il ricorso. Ma il Fisco non si arrende e l’Ufficio presenta appello. Il primo ottobre 1992 (e sono già trascorsi sei anni) la Commissione tributaria regionale conferma la sentenza di primo grado, dando nuovamente ragione al contribuente. Ma il Fisco non demorde e il 9 luglio 1993 l’Intendenza di Finanza di Milano presenta ricorso alla Commissione tributaria centrale. Il calvario giudiziario continua. Il 19 dicembre 2008 (e sono già trascorsi 24 anni), nonostante le precedenti condanne, l’Agenzia delle Entrate deposita alla Commissione tributaria centrale (soppressa da anni ma ancora in funzione per smaltire l’arretrato!) dichiarazione di persistenza dell’interesse alla definizione del giudizio. Così si va avanti nella contesa. Il 28 novembre 2011 la Commissione tributaria centrale condanna definitivamente l’Agenzia delle Entrate. La vicenda è finita? Non ancora. Il dispositivo della sentenza viene notificato per raccomandata a.r nel dicembre 2011 al domicilio eletto, 27 anni prima, presso lo studio dell’avvocato che allora assistette il contribuente e che ora è difficilmente reperibile per motivi di età. Il contribuente, quindi, ancora non sa delle definitiva vittoria. Solo nel marzo di quest’anno il contribuente riceve una comunicazione, datata 6 febbraio 2014, con la quale il Team Rimborsi chiede al contribuente di esibire il “Modello 102”, documento oggi sconosciuto e che forse fu rilasciato nel 1984 dal datore di lavoro (una società oggi in Italia estinta) per poter procedere al rimborso. A questo punto il contribuente (ormai settantaduenne ma ancora tenace e combattivo) si affida alla Consilium (www.consilium.mi.it) nella persona del commercialista Franco Formenti. Il professionista, dopo lo concerto iniziale (che sarà il “Modello 102”?), cerca di prendere contatto con il funzionario responsabile del Team Rimborsi per far presente che tutta la documentazione di supporto del credito è già a loro disposizione, essendo stata depositata nel fascicolo della causa che loro ovviamente ben conoscono; si vorrebbe evitare di dover avviare il giudizio di ottemperanza (nuovo ricorso e altri costi). Ma si scopre che il numero di telefono indicato in calce alla comunicazione dell’Agenzia è inaccessibile e il numero di fax, anch’esso indicato in calce alla medesima comunicazione, non riceve i messaggi. Situazione kafkiana.

A oggi il contribuente è in attesa di ricevere risposta al messaggio e-mail inviato al Team Rimborsi (per via normale perché i singoli Uffici non hanno un indirizzo d posta certificata) e all’indirizzo Pec della Direzione provinciale II di Milano. Il contribuente attende, sperando di ricevere i suoi 12.269,55 euro oltre gli interessi maturati in trent’anni avendo rinunciato al rimborso delle spese. Nel frattempo il cittadino ha venduto dei titoli per pagare l’Imu e la Tasi che naturalmente sono scadenze che non aspettano.

Follie della burocrazia: l’imposta sui volontari del soccorso alpino

Follie della burocrazia: l’imposta sui volontari del soccorso alpino

Maurizio Caverzan – Il Giornale

L’ultimo colpo di zelo della burocrazia italiota l’ha scoperto Roger De Menech, parlamentare bellunese del Pd. Riguarda l’attività dei volontari del Soccorso alpino e consiste in una nuova tassa camuffata da pagare per chiedere il rimborso della giornata lavorativa al proprio datore di lavoro quando si è chiamati a un intervento di soccorso. Trentadue euro, non pochi centesimi, in marche da bollo da apporre alla domanda. Nell’Italia del canone speciale preteso dalla Rai dai titolari di partita Iva possessori di pc che potrebbero guardare la tv in azienda e delle tasse per i diritti d’autore chiesti ai possessori di tablet e smartphone che potrebbero scaricare film o musica, può succedere anche questo. In fondo, lo scarso stupore di fronte a queste notizie è la spia della deriva e della rassegnazione. «Voglio sapere chi è il geniale burocrate che ha fatto questa pensata», ha dichiarato De Menech rifiutando di rassegnarsi e annunciando un’interrogazione urgente una volta appresa la nuova prassi introdotta dal ministero del Lavoro. A segnalare il caso è stato il responsabile del Soccorso Alpino bellunese Fabio Bistrot. Ma non è escluso che la nuova, fantasiosa gabella riguardi anche volontari in servizio in altre aree geografiche e per altri tipi di interventi. È esattamente ciò che De Menech, segretario regionale del Pd veneto considerato vicino a Matteo Renzi, vuole sapere. E non a caso il deputato bellunese cita il premier: «Dobbiamo lavorare per uno Stato che sia amico dei cittadini e non ostile, come dice Renzi» sottolinea.

La normativa in questione riguarda i cosiddetti “volontari comandati”. Ovvero quei soccorritori che dipendono dalla Protezione civile,richiesti da un ufficiale dello Stato, solitamente il sindaco o il prefetto, di prestare servizio in caso di calamità o di interventi di soccorso. Finora la domanda in duplice copia per il rimborso dell’assenza dalla giornata lavorativa richiedeva una marca da bollo da due euro. Improvvidamente, per decisione autonoma di alcuni uffici provinciali del Lavoro, il costo della marca è passato da due a 16 euro. «Non c’è una legge che stabilisca di quanto dev’essere il bollo per le domande», precisa De Menech. «Tutto avviene in modo arbitrario. È incredibile che qualcuno voglia spremere soldi dai volontari». In questo modo «lo Stato ne aggredisce la dignità e mina il principio di sussidiarietà». La faccenda risulta ancor più antipatica proprio mentre entra nel vivo la stagione turistica nelle zone alpine e appenniniche dove il servizio dei volontari per garantire la presenza dello Stato e fornire il supporto di prevenzione e sicurezza in questi ambienti è quanto mai indispensabile. «Il risultato inevitabile sarà che, dovendo sborsare 32 euro per ottenere il rimborso, i volontari verranno meno al loro impegno e il soccorso alpino rimarrà sguarnito» prevede De Menech. Che sull’argomento annuncia un incontro in settimana con i rappresentanti del governo. «Questo increscioso episodio – prosegue il deputato bellunese – conferma l’urgenza non solo di riformare la pubblica amministrazione ma anche di quanto sia necessario e indispensabile il ricambio di personale all’interno della burocrazia italiana. L’attuale burocrazia è ostile ai cittadini e ai contribuenti, e interpreta il proprio ruolo non al servizio degli italiani ma come potere d usare contro i cittadini».

Tutti i numeri dello stato famelico

Tutti i numeri dello stato famelico

Pierluigi Battista – Corriere della Sera

Sì, certo, avere speranza, l’Italia può uscire dalla palude, uno sforzo tutti insieme, e va bene. Ma poi i numeri di un’invadenza statale asfissiante e senza limiti uccidono senza speranza. E allineare le cifre dell’oppressione statalista raccontate da Paolo Bracalini nella “Repubblica dei mandarini” pubblicata da Marsilio toglie il fiato. Non per le tante bizzarrie surreal-burocratiche che fanno dell’Italia un Paese bellissimo, un Paese ridicolo. Ma per la scientifica e pervicace volontà di mortificare, di soffocare gli spiriti animali del mercato, ogni desiderio di fare, ogni audacia, ogni energia imprenditoriale, ogni voglia di uscire dal pantano.

«Lo Stato parassita è vorace quando deve incassare, ma lentissimo quando deve pagare». Se sei in credito con lo Stato, mettiti in fila e aspetta 450 giorni, la media del tempo che ci vuole per farsi restituire i propri soldi. Se invece paghi in ritardo anche di un solo giorno, il Moloch pubblico, l’aguzzino fiscale ti sequestra i beni, guadagna indebitamente sull’«aggio» e sbaglia addirittura nel 48,3 per cento delle volte in cui i tartassati fanno ricorso. Il giurista Sabino Cassese calcolò in circa 150mila leggi l’abnorme carico di regole che paralizzano l’Italia, contro le circa 10mila di Francia e Germania: e ogni volta si chiedono in aggiunta «nuove regole». Per aprire un negozio devi adempiere per legge a 118 procedure. Una nuova manifattura, tra autorizzazioni, concessioni, «subingressi», comunicazioni richiede soltanto 84 obblighi di legge da rispettare. Nella giustizia civile bisogna attendere in media 1.210 giorni per recuperare un credito. Le imprese sono costrette a 15 pagamenti annui che richiedono mediamente 269 ore l’anno per «inghiottire», annota Bracalini, il 65,8 per cento dei profitti. Per complicarci ancora più la vota dal 2008 al 2013 «sono state approvate ben 491 norme fiscali, di cui 288 con impatto burocratico sulle imprese». Per gli adempimenti tributari è necessario ogni anno un tempo pari a 36 giorni lavorativi.

A Firenze un mercato dell’Esselunga ci ha messo 44 anni per aprire. Il titolare dell’omonimo pastificio, Giovanni Rana, ha raccontato che per aprire uno stabilimento a Chicago ci ha messo un settimo del tempo impiegato in Italia, sette anni, per dare lavoro a centinaia di persone. La British Gas, dopo undici anni di paralisi e di attese inconcludenti, ha rinunciato al progetto di rigassificatore di Brindisi: 125 milioni di euro buttati, un migliaio di posti di lavoro anch’essi buttati. Con le tasse occulte la pressione fiscale raggiunge quasi l’80 per cento: leggete bene le bollette e ve ne accorgerete. E vi accorgerete che catastrofe è stato il discredito verso un’espressione ormai sputtanata, «rivoluzione liberale», ma che era l’unica speranza di mettere a dieta uno Stato prepotente e oppressivo, l’unica speranza di ripartire davvero, l’unico modo per uscire dal pantano. Chissà come, oramai. Chissà quando.