cgia di mestre

Fisco amaro: per pagare tutte le tasse servono 173 (lunghi) giorni di lavoro

Fisco amaro: per pagare tutte le tasse servono 173 (lunghi) giorni di lavoro

Massimo Fracaro e Andrea Vavolo – Corriere Economia

Nel 1990 Google non era ancora nata. Internet, in pratica, non esisteva. Uno dei primi «portatili» di Nokia pesava 800 grammi. consentiva di telefonare per poco tempo e costava migliaia di euro. Giuseppe Tornatore vinceva l’Oscar con «Nuovo cinema Paradiso». A capo del governo c’era Giulio Andreotti. Il rapporto debito pubblico/Pil era a una quota tranquillizzante: il 95%. Nostalgia per quei tempi? Sì e no, probabilmente. Ma se si guarda al fattore T, le tasse, la risposta non può che essere un sì convinto. Allora il Tax Freedom Day – il giorno della liberazione fiscale, vale a dire quello nel quale si finisce di lavorare per pagare tasse e contributi, dopo di che i guadagni sono destinati al proprio sostentamento – si festeggiava l’8 giugno. Nel 2015, invece, il contribuente tipo – un quadro con un reddito di 49.228 euro, una moglie e un figlio – dovrà lavorare, secondo l’elaborazione realizzata in collaborazione con l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, 173 giorni per sfamare l’appetito del Fisco e degli enti locali. E si libererà dal giogo tributario solo il 23 giugno. In 25 anni – da quando il Corriere ha cominciato a determinare il Tax Freeedom Day – l’Erario si è divorato più di due settimane della nostra vita. E suscita davvero sconforto notare che nello stesso periodo, nonostante questo fortissimo aumento della pressione tributaria, il rapporto tra debito pubblico e Pil è salito dal 94,7% al 133,1%. Nel 1990 il debito ammontava a 663 miliardi. Ora supera i 2.000 miliardi.

Dal 2014 al 2015
Il giorno di liberazione fiscale resta invariato, anche se si e verificato un ulteriore, sia pure minimo, aumento della pressione tributaria: dal 47,3% al 47,5%. Va notato, però, che l’anno scorso. a gennaio 2014, avevamo stimato che sarebbero bastati 172 giorni per saldare il conto dell’Erario. Invece ne sono serviti 173 per colpa di imposte locali più salate del previsto. Il pareggio rispetto al 2014, quindi, e un po’ stentato. Va meglio. invece, all’altro contribuente – un operaio con moglie e figlio a carico e un reddito di 24.656 euro – che quest’anno si libererà dalla corvee fiscale con un giorno di anticipo: il 13 maggio invece del 14 e dopo 132 giorni di lavoro. La liberazione anticipata è dovuta al bonus Renzi, gli 80 euro in busta paga che spettano a chi ha un reddito non superiore a 24.000 euro. Il bonus quest’anno vale 960 euro, invece dei 640 del 2014 perché l’anno scorso è stato pagato solo da maggio in poi. Per entrambi i contribuenti un altro fattore positivo è dato dalla diminuzione delle accise sui carburanti. Mentre inciderà negativamente, soprattutto per il quadro, l’aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie, passata dal primo luglio 2014 dal 20% al 26% (con esclusione dei titoli di Stato, ancora tassati al 12,5%)

L’identikit
I contribuenti tipo utilizzati per i calcoli sono i medesimi degli anni precedenti: il reddito è stato incrementato dell’1,2% rispetto a quello del 2014 sulla base della variazione degli indici di rivalutazione contrattuali Istat. La stima dell’Iva a carico del contribuente si basa sul presupposto che questi, nelle sue abitudini di spesa, rifletta quelle medie delle famiglie italiane di tre componenti come rilevate dall’Istat nell’indagine annuale sui consumi. L’operaio, con moglie e un figlio a carico, abita in una casa di sua proprietà di 90 metri quadrati con rendita catastale di 446 euro. In conto corrente ha circa 6.000 euro. Stesso nucleo familiare per il quadro che abita in una casa di sua proprietà di 150 metri quadrati con rendita catastale di 1.100 euro. I suoi risparmi ammontano a 40.000 euro di cui 12.160 in conto corrente e 27.840 in titoli e fondi.

Motivazioni
Ma perché il giorno di liberazione fiscale si sposta sempre più in avanti? Lo slittamento è inevitabile in un sistema fortemente progressivo come il nostro. Soprattutto se si considera che gli scaglioni Irpef sono invariati dal 2007 e non hanno tenuto il passo con l’inflazione. In questo periodo sono state aumentate solo le detrazioni a favore dei redditi più bassi. Ad esempio: il nostro quadro vede crescere il suo reddito imponibile da 48.644 a 49.228 euro, ma di questi 584 incassati in più, ben 321 svaniscono tra Irpef, contributi e addizionali locali. E l’appetito del Fisco di periferia continua a crescere: nel 2015 presenterà un conto di 1.836 euro. Solo due anni fa si accontentava di 1.501 euro. E ora servono 18 minuti al giorno di lavoro per saldare il conto. E proprio qui si annidano le maggiori insidie per i contribuenti. Nei nostri calcoli sono state riproposte le aliquote utilizzate per il 2014, mancando al momento informazioni più complete. È vero che per la Tasi è stata prevista una clausola di salvaguardia, ma molti Comuni hanno ancora margini di manovra, anche sul fronte dell’addizionale Irpef. Stesso discorso può essere fatto per le Regioni. Insomma, accontentiamoci di non faticare un giorno in più per pagare le tasse. E incrociamo le dita.

Tasi, sarà stangata record. È il regalo delle giunte rosse

Tasi, sarà stangata record. È il regalo delle giunte rosse

Cinzia Meoni – Il Giornale

A pochi giorni dalla scadenza, il 16 ottobre, del versamento della prima rata della Tasi (il tributo sui servizi indivisibili, vero e proprio rebus per i contribuenti italiani), la Cgia di Mestre si prende la briga si spulciare tutte le delibere approvata dai capoluoghi di regione italiani su Tasi, Tari (la nuova tassa sui rifiuti) e addizionale Irpef per stabilire che il non proprio invidiabile primato di assoggettare i propri cittadini alle tasse comunali complessivamente più elevate di tutta la Penisola è detenuto da Bologna, Roma e Bari. La classifica, redatta dall’ufficio studi della Cgia calcolando il prelievo subito da una famiglia tipo di 3 persone, mette in luce divergenze abissali tra città e città. Nel caso di un’abitazione di tipo civile A2, ad esempio, a Bologna la stangata ammonta a 1.610 euro, a Genova a 1.488 euro, a Bari a 1.414 euro e Milano, a 1.379 euro. Meglio forse, potendo, trasferirsi ad Aosta dove si pagano in tutto «solo» 551 euro.

Più in dettaglio l’addizionale Irpef quasi dovunque raggiunge l’aliquota massima dello 0,8%. La Tari, invece, colpisce soprattutto a Sud: considerando sempre un’abitazione di tipo civile A2 abitata da tre persone, a Cagliari si pagheranno 653 euro, a Napoli 522 euro mentre a Firenze 217. Per la Tasi infine, solo Aosta, tra i capoluoghi di regione, ha applicato l’aliquota base dell’1 per mille. Ben nove capoluoghi (su 18) hanno deciso direttamente di applicare il valore massimo consentito per le abitazioni principali (3,3 per mille). Veri e propri salassi per i cittadini che, negli ultimi anni, hanno visto crescere esponenzialmente le imposte comunali nonostante servizi non esattamente impeccabili. Tutta colpa, a giudizio di Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, «dei pesantissimi tagli ai trasferimenti che lo Stato centrale ha praticato nei confronti degli enti locali». Negli ultimi cinque anni, come segnala la Cgia, a Roma sono arrivati 667 milioni in meno, a Milano 317,7, a Napoli 199,6, Torino 158,9 e a Genova 110,8.

I contribuenti intanto si preparano ad affrontare il rompicapo della Tasi, l’unica imposta sul valore dell’immobile che si paga a livello locale e forse le tasse più odiate per la poca chiarezza sui termini di pagamento. Per la stragrande maggioranza degli italiani mancano, infatti, pochi giorni alla scadenza prevista per legge per il versamento della prima rata della Tasi (50% del dovuto su base annua). Eppure non tutti i dubbi sono stati risolti. Entro giovedì 16 ottobre dovranno pagare l’acconto sulla Tasi tutti coloro che hanno in proprietà o possiedono a qualunque titolo immobili e aree edificabili nei comuni che hanno deliberato le aliquote entro il 10 settembre (in caso di mancato invio delle deliberazioni entro il termine previsto, il versamento della Tasi è effettuato in un’unica soluzione entro il 16 dicembre 2014, data di scadenza anche per la seconda rata dell’imposta, con l’aliquota minima dell’1 per mille). Il provvedimento riguarda tra l’altro Roma, Milano, Verona, Bari, Firenze e Palermo, ma fortunatamente sul web si può trovare l’elenco completo. Il tributo varia da città a città. La base imponibile è la rendita catastale, rivalutata del 5%, a cui si applicano i moltiplicatori a seconda della tipologia immobile. Le aliquote tuttavia sono stabilite a livello locale entro tetto massimo fissato dalla legge. Il risultato? Iniquo. Per Guglielmo Loy, segretario confederale Uil, con la Tasi, prevista dalla Legge di Stabilità 2014, «pagherà un po’ di più chi prima era esente o pagava cifre basse e pagheranno molto meno i proprietari di quelle abitazioni con rendite catastali elevate».

Burocrazia ammazza imprese: 12mila euro l’anno in scartoffie

Burocrazia ammazza imprese: 12mila euro l’anno in scartoffie

Fabrizio Ravoni – Il Giornale

Un mese di lavoro per correre dietro alle scartoffie. Per rispettare gli impegni burocratici e fiscali, una piccola e media impresa dedica 30 giorni lavorativi all’anno. Ed una spesa media che oscilla fra i 7mila e i 12mila euro. E chi paga di più sono proprio le aziende di più piccole dimensioni: quelle sotto i 50 dipendenti. Per questo tipo di aziende il costo è cresciuto del 19% negli ultimi 7 anni. Per quelle con meno di 250 occupati la spesa stimata è di 7mila euro. Nel complesso, la “mano morta” della burocrazia comporta un costo complessivo a carico delle piccole e medie imprese calcolato in 31 miliardi di euro. Rispetto al 2007 la crescita del tempo dedicato a sbrigare il carico burocratico è aumentato del 26,4%. Le stime vengono dalla Cgia di Mestre. «Si pensi – spiega Giuseppe Bortolussi – che, secondo l’indagine annuale Promo Pa Fondazione, l’81% delle imprese con meno di 50 addetti è costretto a rincorrere a consulenti esterni per fronteggiare questo nemico invisibile: ovvero la cattiva burocrazia». Il 70% delle imprese deve ricorrere a professionalità esterne ad integrazione degli uffici amministrativi, e l’11% affida a terzi tutte le incombenze. «È evidente – commenta il presidente della Cgia di Mestre – che se non si mette immediatamente mano a quel labirinto di leggi, decreti e circolari varie che rendono la vita impossibile a milioni di piccoli imprenditori, corriamo il pericolo di soffocare la parte più importante della nostra economia».

La burocrazia, comunque, non colpisce soltanto le aziende ma anche i cittadini che, quotidianamente devono affrontare la fila allo sportello. Sempre la Cgia di Mestre segnala che negli ultimi 10 anni il numero di persone che attendono più di 20 minuti agli sportelli dell’ufficio anagrafe è cresciuto del 43,7%. Infatti, nel 2003 12,6 persone su 100 lamentavano tempi di attesa superiori ai 20 minuti: 10 anni dopo la coda all’anagrafe è arrivata a durare più di 20 minuti per ben 18,1 persone su 100. La soglia dei venti minuti, poi, colpisce anche il pianeta della Sanità. Se nel 2003 ben 41 persone su 100 avevano riscontrato un’attesa allo sportello dell’Asl superiore ai venti minuti, dieci anni dopo la fila si è idealmente “allungata” di 8 persone. In altre persone, nel 2013 ben 49,7 persone su 100 hanno denunciato di aver atteso più di 20 minuti di fronte agli sportelli delle aziende sanitarie locali. Condizione drammatica nel Centro Sud. La Calabria guida la graduatoria dei cittadini che restano più tempo davanti a uno sportello della Asl. Il 70% dichiara di aver atteso oltre i 20 minuti. Così come il 66,6 per cento dei siciliani e il 62,5 per cento degli abitanti del Lazio. Per le code all’anagrafe, invece, la graduatoria si ribalta. E i laziali guidano la non certo invidiabile classifica. Il 38,5% dichiara di aver atteso più di 20 minuti per un certificato. Seguono i toscani con il 22,3%. Al terzo posto i sardi. Negli ultimi dieci anni la situazione, ancorché migliorare (grazie a una più diffusa informatizzazione della pubblica amministrazione) è peggiorata. Tant’é che la percentuale di chi segnala lunghe file allo sportello è più che raddoppiata (+112;4%). «I cittadini e le piccole imprese per ottenere un certificato sono ormai sottoposti ad una vera e propria Via Crucis» commenta Bortolussi. «Per colpa – sottolinea – di leggi, decreti e circolari scriteriate e spesso in contraddizioni tra loro è aumentata la burocrazia; complicando la vita dei cittadini e, in molti casi, anche quella dei dipendenti pubblici».