Crescita Pil

Pil: Italia ancora sotto il livello di dieci anni fa

Pil: Italia ancora sotto il livello di dieci anni fa

Secondo le elaborazioni del centro studi ImpresaLavoro su dati Ocse, l’Italia è uno tra i pochissimi Paesi dell’Unione Europea – tra quelli monitorati dall’Ocse – a non aver ancora recuperato il livello di Pil pre-crisi. Ossia, fatto 100 il Pil reale registrato nell’ultimo trimestre del 2007, quello italiano è attualmente pari al 95,3% (-4,7 punti percentuali).

Solamente Grecia (74,9%), Finlandia (97,9%) e Portogallo (98,7%) fanno compagnia all’Italia e non sono quindi ancora riuscite a recuperare il livello di Prodotto Interno Lordo precedente al terremoto finanziario del 2008.

I primi Paesi a recuperare il livello di Pil pre-crisi sono stati il Belgio e la Svezia nel 2010. Francia, Germania, Austria e Repubblica Slovacca sono “emerse” nel 2011. Nel 2012 è stato il turno del Lussemburgo e nel 2013 quello del Regno Unito. Il 2014 è stato l’anno in cui la maggior parte dei Paesi esaminati è riuscita a raggiungere questo target, si tratta di Repubblica Ceca, Danimarca, Ungheria, Irlanda, Olanda e Lituania. Estonia e Slovenia hanno invece dovuto aspettare il 2016, mentre Spagna e Lettonia addirittura fino al 2017. Discorso a parte merita la Polonia, che dal 2007 ad oggi ha registrato una crescita straordinaria e il suo Pil è l’unico tra quelli esaminati a non essere mai sceso sotto i livelli di dieci anni prima.

Pochissimi sono dunque i Paesi che mancano all’appello. Finlandia e Portogallo sono però molto vicini al raggiungimento del livello pre-crisi – devono recuperare solamente tra l’uno e i due punti percentuali- mentre l’Italia con il suo 95,3% attuale può “vantare” una performance migliore solamente di quella registrata dalla Grecia, il cui Pil è addirittura inferiore di 25 punti percentuali rispetto al livello del 2007.

«Ci aspetta dunque una strada ancora in salita – commenta l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del centro studi ImpresaLavoro – ma quanto lunga? Dipenderà, naturalmente, dal tasso di crescita del nostro Pil nel prossimo futuro. Con una crescita annua dell’1,5%, come quella del 2017, l’Italia dovrà aspettare fino al 2021. Il nostro tasso di crescita dell’anno scorso però è stato pesantemente influenzato da condizioni dello scenario internazionale molto favorevoli, che difficilmente si ripeteranno nell’anno in corso. Con una crescita media annua inferiore, pari ad esempio all’1%, l’economia italiana tornerebbe ai livelli pre-crisi solamente nel 2023».

PIL, gli sbagli del Governo

PIL, gli sbagli del Governo

di Massimo Blasoni – Metro

Preoccupa davvero che il ministro dell’Economia Padoan, nel replicare alle accuse di eccessivo ottimismo mossegli da Bankitalia (e non solo), abbia definito «ambizioso ma realizzabile» l’obiettivo di una crescita dell’1% del nostro Pil. Col risultato surreale di spacciare come un successo un eventuale “+ zero virgola qualcosa” quando tutti i nostri partner europei sono ormai da molto tempo ritornati ai livelli pre-crisi (con l’eccezione della Spagna, che pur senza un governo cresce comunque a una velocità tripla della nostra). A suscitare più di un interrogativo è poi la sostanziale inaffidabilità di questo tipo di previsioni: un dato che accomuna il governo Renzi a quelli che lo hanno preceduto.

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La sicurezza del Mef e gli errori (ripetuti) del passato

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Il Tempo – di Massimo Blasoni

Nel replicare alle critiche mossegli in particolare da Bankitalia, il ministro dell’Economia Padoan ha difeso le previsioni di crescita messe nero su bianco nella nota di aggiornamento del Def, sostenendo che «le previsioni sul Pil non sono una scommessa». Sarà pure, ma la sua difesa imbarazzata non può certo appigliarsi sui numerosi precedenti in materia.

ImpresaLavoro ha preso in esame le previsioni di crescita del Pil (riferite all’anno successivo) contenute nei principali documenti di programmazione economica dei governi che si sono succeduti dal 2002 al 2016. Quindi le ha confrontate con i numeri effettivi della variazione del Prodotto interno lordo certificati dall’Ocse e con le previsioni per l’anno in corso contenute nella nota di aggiornamento del Def. Risultato? Quattordici errori su quindici, con 12 previsioni sbagliate per eccesso e soltanto due per difetto (2006 e 2010). Eccezion fatta per il 2007, anno in cui è stata centrata la previsione, la cruda realtà dei fatti si è insomma incaricata di smentire l’ottimismo di Palazzo Chigi e dintorni, non fondato ma utilissimo a rassicurare una preoccupata opinione pubblica.

Dal 2011 ad oggi, infatti, l’esecutivo italiano, in sede di predisposizione del Documento di Economia e Finanza ha sempre sbagliato le sue previsioni, sovrastimandole per cifre che vanno dallo 0,4% di quest’anno al 4,1% del 2012. Stupisce in particolar modo il fatto che, anche durante i periodi di crisi, nessun documento di programmazione economica abbia mai previsto una crescita negativa (che purtroppo, invece, si è verificata in 5 anni su 15).

Preoccupa che Padoan definisca «ambizioso» l’obiettivo della crescita del Pil all’1% ma ancor di più che da sei anni di fila, sistematicamente, sovrastimiamo il tasso di sviluppo della nostra economia. Su queste ipotesi si basano infatti le simulazioni di sostenibilità sia del nostro debito pubblico sia del nostro sistema previdenziale nel medio-lungo periodo. Se i governi non riescono a fare previsioni accurate per l’anno successivo, come possiamo pensare che ci riescano con orizzonti temporali più ampi?