Ecco perché l’Italia non crescerà mai

Stefano Feltri – Il Fatto Quotidiano

Se volete capire perché l`Italia non cresce e non crescerà, dovete parlare con Dario Scannapieco, il vicepresidente (italiano) della Bei, la Banca europea degli investimenti, l’istituto di proprietà dei 28 Paesi dell’Unione che finanzia infrastrutture e imprese per riempire i vuoti lasciati dal settore del credito che segue solo logiche di mercato. “Qui non riusciamo a fare quello che potremmo, non ci arrivano abbastanza progetti finanziabili. Per esempio servirebbe un’amministrazione in grado di scrivere un piano logistico per il sud, ma non c’è. E quindi i fondi europei vanno a pagare la sagra della porchetta”. Scannapieco, classe 1967, da otto anni è vicepresidente della Bei dopo essere stato un dirigente del ministero del Tesoro, uno dei più giovani della filiera dei Ciampi Boys. Incontra i cronisti nella sede della Bei di Roma per spiegare che cosa può fare (e quali sono i limiti), quello che molti governi considerano un bancomat taumaturgico.

Negli anni della crisi, la Bei ha prestato 455 miliardi di euro in Europa, nel 2014 saranno 70 come finanziamenti e 3,9 con il Fei, il fondo che entra indirettamente nel capitale delle aziende. L’Italia è il Paese che riesce a intercettare la fetta più considerevole degli interventi della Bei: tra 2007 e 2013 ben 61 miliardi di euro. La Bei agisce un po’ come i vecchi istituti di mediocredito pubblici: presta le somme necessarie a progetti a lungo termine a società come Terna e Autostrade. La Bei in Italia funziona e progetti da finanziare ne trova, come il sincrotrone di Trieste che trasforma la fisica più avanzata in applicazioni per la diagnostica medica.

Eppure i racconti di Scannapieco chiariscono perché le prediche inutili sulla necessità di aumentare gli investimenti in Italia resteranno tali. I minibond inventati dal Tesoro hanno funzionato, un miliardo di emissioni. Ma le aziende che li emettono sono troppo piccole per beneficiare della sottoscrizione della Bei. C’è stato bisogno di cartolarizzare i minibond di otto utility pubbliche (cioè impacchettarli in un unico maxi-bond) per permettere alla Bei di intervenire. E i famosi projectbond, quelli che finanziano direttamente le opere pubbliche? In Italia se ne parla da decenni ma partono, anche se sarebbero un impiego perfetto per le risorse della Bei. Unico esperimento col passante di Mestre. Poi c’è il piano scuola: “Siamo stati contattati già ai tempi del governo Letta e saremmo felici di finanziare gli interventi di edilizia scolastica”, dice Scannapieco. Ma la Bei sta ancora aspettando che le Regioni costruiscano la “anagrafe scolastica”, perché prima di spendere per risanare gli istituti bisogna sapere quanti sono, dove stanno e in che condizioni si trovano. Informazioni che in Italia non detiene ufficialmente nessuno. Inutile aspettare miracoli dalla politica monetaria e dalla Bce: le nuove operazioni straordinarie di Mario Draghi, le Tltro, andranno in buona parte a rifinanziare quelle del 2011-12, le Ltro che scadono l’anno prossimo, solo una parte dei soldi arriverà alle imprese, avverte Scannapieco. “Negli ultimi quindici anni la finanza è diventata più complessa, mentre il personale delle amministrazioni pubbliche si è indebolito proprio quando servirebbe una grande competenza tecnica”, sostiene il vicepresidente della Bei. Risultato: le risorse sono scarse e mancano idee e capacità per sfruttarle al meglio. Un esempio: il ministero dello Sviluppo economico voleva dare 100 milioni di euro presi dalla Bei per aiutare le imprese a pagare gli interessi sul debito, sollievo immediato ma impatto trascurabile. I tecnici europei di Scannapieco hanno suggerito che era meglio usare quei 100 milioni come garanzia per le prime perdite potenziali su quei prestiti alle imprese. Così, con l’effetto leva, alle aziende arriveranno 500 milioni, cinque volte l’impatto iniziale. Con pochi soldi veri, la finanza creativa va saputa usare.