dismissioni immobiliari

Lo stato ci riprova: mette in vendita palazzi ed ex conventi

Lo stato ci riprova: mette in vendita palazzi ed ex conventi

Andrea Ducci – Corriere della Sera

All’Agenzia del Demanio lo considerano un banco di prova. Il tentativo di prendere il polso al mercato immobiliare per riavviare le annunciate dismissioni di palazzi e terreni pubblici, incontrando, finalmente, l’interesse di investitori e operatori del real estate. Così, l’Agenzia, guidata da Stefano Scalera, annuncia un nuovo bando per piazzare 15 immobili di Stato con l’obiettivo di incassare almeno 11 milioni di euro. L’operazione non è nuova e sottopone al mercato un elenco di beni in parte già noti agli addetti ai lavori. Ma tant’è. L’importante è rimescolare le carte e portare a casa più soldi possibile. A ricordarlo è la legge di Stabilità del 2014, che indica un gettito derivante dalle dismissioni pubbliche di almeno 500 milioni di euro all’anno. Allo stato attuale un mezzo miraggio.

Per avvicinarsi all’obiettivo il primo lotto di immobili resterà in offerta fino al 29 settembre. All’interno del pacchetto c’è un po’ di tutto e per tutte le tasche: appartamenti, uffici, palazzetti storici, ex conventi, terreni ed ex aree militari. Il pezzo più a buon mercato è una ex caserma a Triora (Imperia), per un paio di fabbricati e il terreno annesso la base d’asta è 430 mila euro. Per poco di più (494 mila euro) è possibile presentare un’offerta per un edificio intero (15 appartamenti) in una zona centrale di Trieste. L’immobile più costoso inserito nel bando è nella periferia sud di Verona, vicino alla zona artigianale. Nel dettaglio, si tratta di un’area di 3 mila metri e di un capannone con un valore di base d’asta fissato a 1,42 milioni. In Veneto si trova anche l’ex base missilistica di Ceneselli (Rovigo), chi acquista dovrà farsi carico della bonifica dei terreni e della rimozione dei beni mobili abbandonati dai militari sul terreno. In totale l’area è grande poco più di 8 ettari e comprende 42 fabbricati. Il prezzo di partenza per aggiudicarselo è 1,35 milioni.
Al Demanio, vista la taglia e la tipologia degli immobili, confidano molto sul mercato retail puntando sul pregio storico architettonico di alcuni beni. A Firenze e a Spoleto, per esempio, finiscono in asta due palazzine ad uso ufficio mentre a Caravaggio (Bergamo) è prevista la vendita all’incanto dell’ex Casa del Fascio (tre piani per un totale di oltre 1.200 metri di superficie). Un capitolo a sé fa l’elenco degli immobili inseriti nel progetto Valore Paese Dimore. L’intento dell’operazione è valorizzare castelli, conventi e strutture di pregio creando un modello integrato di ospitalità e attività culturali con la collaborazione delle amministrazioni locali. Non a caso il progetto, oltre al Demanio, vede coinvolti Invitalia, Anci (Associazione dei comuni), Ministero dei beni Culturali e Cassa Depositi e Prestiti.

In tutto sono circa 200 gli immobili individuati e inseriti nel portafoglio del progetto Valore Paese Dimore. Il valore aggiunto agli occhi degli investitori dovrebbe essere il corredo di «strumenti tecnici normativi e finanziari» riservato a questo genere di beni. Tradotto, vuol dire un percorso agevolato per la conversione in strutture turistiche e ricettive. È quanto previsto per il Forte Pianelloni (850 mila euro) a Lerici (La Spezia), un’ex fortificazione con tanto di terreni e antica cinta muraria, Casa Nappi (511 mila euro), un palazzetto storico nei pressi del santuario mariano di Loreto (Ancona), e l’ex convento seicentesco di S. Domenico (921 mila euro) nella città vecchia di Taranto. Nel caso di questi due ultimi immobili, però, qualcosa non ha funzionato. Tornano in asta dopo essere rimasti invenduti in occasione dei precedenti bandi.

Conventi e isole all’asta, ora il demanio ci riprova

Conventi e isole all’asta, ora il demanio ci riprova

Mario Sensini – Corriere della Sera

Una base d’asta per ciascun immobile, offerte segrete e vincolanti, non solo online, e tempi lunghi per la loro presentazione, con il bando che resterà aperto almeno fino a tutto agosto. “Recepite” le indicazioni del mercato e soprattutto degli operatori internazionali, che non hanno gradito la mancanza del prezzo base nelle precedenti aste, l’Agenzia del Demanio rimette in vendita cinque grandi complessi immobiliari che a marzo non avevano trovato acquirenti, insieme (sul mercato torneranno l’isola veneziana di Poveglia, il convento di San Domenico a Taranto, Casa Nappi a Loreto, il Castello di Gradisca) e altri dieci grandi proprietà, con una base d’asta che va da un minimo di 400mila euro ad un massimo di 1,5 milioni. La nuova asta, la cui data non è ancora fissata, sarà un test fondamentale per l’Agenzia del Demanio, che aveva in programma la dismissione entro quest’anno di almeno 50 grandi complessi immobiliari, ma l’operazione non è decollata. Nel 2014, con il meccanismo delle aste, ne è stato ceduto solo uno, un vecchio ospedale a Trieste, per 610mila euro. Tutti gli altri sono rimasti invenduti. O perché le offerte erano troppo basse o perché non contenevano le garanzie previste. Certo, la congiuntura del mercato immobiliare non aiuta ma gli obiettivi sono ancora molto lontani. La legge di Stabilità del 2014 varata dal governo Letta prevedeva un incasso di 500 milioni di euro l’anno dalla dismissione degli immobili pubblici. Ospedali, fari, vecchi conventi e soprattutto tantissime caserme distribuite nei centri storici delle città italiane. Quelle dismesse dalle Forze armate sono centinaia ma anche del famoso piano per la loro dismissione ormai da mesi si sono perse le tracce.

Tagli, privatizzazioni e immobili. Ora il governo deve accelerare

Tagli, privatizzazioni e immobili. Ora il governo deve accelerare

Enrico Marro – Corriere della Sera

Manca un miliardo dalla spending review. In ritardo il processo di vendita di Poste

Europa o non Europa, flessibilità o non flessibilità del patto di Stabilità, su tre capitoli il governo è in ritardo rispetto ai suoi stessi obiettivi: taglio della spesa pubblica (spending review), privatizzazioni, dismissioni immobiliari. Il primo capitolo è fondamentale per tenere il deficit sotto il 3% del Prodotto interno lordo, specialmente e quest’ultimo, come possibile, crescerà meno dello 0,8% previsto dall’esecutivo per il 2014. Ils econdo e terzo sono importanti per mandare quel segnale atteso dall’unione Europa sulla capacità dell’Italia di invertire l’andamento del debito pubblico, in crescita anche quest’anno (135% del Pil). Ecco perché è su questi tre fronti, che insieme valgono 15-16 miliardi, che il governo dovrà accelerare, fin dai prossimi giorni. A sei mesi dalla fine dell’anno, infatti, meno di un terzo del bottino appare assicurato.

Spending review

Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan continua a ripetere che il commissario per la revisione della spesa pubblica Carlo Cottarelli prosegue il suo lavoro. Resta il fatto che mentre il Def (Documento di economia e finanza) del governo indica per il 2014 l’obiettivo di tagliare 4,5 miliardi la spesa pubblica, il governo ha deciso finora tagli per 3 miliardi e mezzo. Manca quindi all’appello un miliardo. Cottarelli, parlando qualche giorno fa in audizione alla Camera, lo ha ammesso, aggiungendo che non sono per ora previsti altri tagli. Il commissario ha quindi spiegato che si sta concentrando sulla riuscita delle decisioni prese, per esempio sulla riforma della spesa per beni e servizi della Pubblica amministrazione. Basti pensare che ben 2,1 miliardi dovrebbero venire da questa voce in sei mesi, 700 milioni a carico delle amministrazioni centrali ed il resto da Regioni ed enti locali. Risultati per nulla scontati. Allo stesso tempo Cottarelli dovrebbe suggerire al governo i 17 miliardi di tagli per il 2015 e i 32 miliardi per il 2016 indicati nello stesso Def e necessari a garantire il mantenimento del bonus da 80 euro per i lavoratori dipendenti a basso reddito e a finanziare l’ulteriore taglio del cuneo fiscale: Irap per le imprese ed eventuale estensione del bonus a incapienti (redditi fino a 8mila euro), compresi pensionati e partite Iva. Nessuno ha capito come si potranno fare tagli così grandi senza intaccare il perimetro dello Stato sociale (pensioni, sanità, assistenza). Ed è appena il caso di ricordare le resistenze incontrate rispetto ai tentativi di riorganizzare le forze di polizia e le forze armate.

Privatizzazioni

Anche qui gli obiettivi del governo Renzi sono ambiziosi. Basti dire che l’esecutivo Letta, prudentemente, aveva stimato per il 2014 e per gli anni seguenti introiti da privatizzazioni pari a circa lo 0,5% del Pil, cioè 7-8 miliardi all’anno. Renzi e Padoan, nel Def, hanno alzato l’asticella allo 0,7% del Pil nel periodo 2014-2017, cioè circa 11 miliardi all’anno. Una goccia rispetto a un debito pubblico che viaggia oltre 1.200 miliardo, ma un passo necessario verso Bruxelles e utile, secondo il governo, ad avere «uno Stato più leggero». Per il momento però è stata avviata solo la vendita del 40% di Poste e del 49% dell’Enav. Si stima un incasso di 4-5 miliardi nel primo caso e di un miliardo nel secondo. Ma è difficile che i soldi arrivino entro la fine dell’anno. Ci sono state le elezioni e il cambio dei vertici delle Poste (Caio al posto di Sarmi) e quindi un certo ritardo è comprensibile. Ma le difficoltà non sono finite. Sia per le Poste sia per la società di assistenza al volo sono stati individuati gli advisors ma per le Poste deve ancora essere sciolto il nodo della valutazione, che dipende tra l’altro dalla nuova convenzione con Cassa depositi e prestiti (ancora da chiudere, che dovrebbe assicurare un miliardo e mezzo l’anno alla società per 5 anni) e dai contributi pubblici per il servizio universale (700 milioni all’anno chiesti da Poste) subordinati alle decisioni che l’Authority per le comunicazioni prenderà a fine luglio. L’Enav, invece, è ancora in attesa del rinnovo dei vertici, dopo due anni di commissariamento per lo scandalo appalti. L’assemblea, già rinviata due volte, è aggiornata per ora all’8 luglio.

Tra queste incertezze tornano dunque a galla sia le altre privatizzazioni elencate nel Def sia quelle nuove ipotizzate di recente, prima fra tutte quella di Ferrovie dello Stato, visto che al nuovo presidente Marcello Messori il Tesoro ha affidato anche il compito di studiare un’eventuale quotazione in Borsa, mente il vecchio piano di privatizzazioni già prevedeva la cessione del 60% di Grandi stazioni in mano alle Fs. Per il resto il menu contempla quote di quote di Eni e di Enel senza scendere sotto il controllo pubblico, Stm (colosso dei semiconduttori partecipato al 50% dal Tesoro e al 50% dalla Francia) e quote di società detenute indirettamente attraverso Cdp quali Sace (vendita del 60%), Terna, Fincantieri (l’operazione è partita in queste settimane ma sta andando meno bene del previsto), Cdp Reti (49%), Tag (89% del gasdotto).

Dismissioni immobiliari

Qui l’obiettivo del governo non pare ambizioso. Si tratterebbe infatti di portare in cassa 500 milioni l’anno. Eppure il traguardo sembra lontanissimo. La legge di Stabilità 2014 del governo Letta prevede un programma straordinario di cessione di immobili pubblici, in particolare caserme ed altri edifici della Difesa non più utilizzati. Ma il piano non è decollato, nonostante il ministro della Difesa Roberta Pinotti avesse annunciato la vendita di 385 caserme. Per sbloccare la situazione sono allo studio norme per superare gli ostacoli burocratici. E non è ancora decollata Invimit, la società del Tesoro costituita nel maggio 2013 per la valorizzazione e la cessione di immobili pubblici. La società guidata da Elisabetta Spitz ha ottenuto a ottobre l’autorizzazione della Banca d’Italia alla gestione collettiva del risparmio e lo scorso marzo ha istituito un fondo di investimento in due comparti, dove è previsto l’apporto di immobili delle amministrazioni centrali e locali, la loro valorizzazione e il collocamento di quote sul mercato secondario.

Per accelerare su privatizzazioni e dismissioni Padoan ha convocato una riunione dei vertici del ministero nei prossimi giorni. Anche sul fronte della spending Cottarelli potrebbe annunciare qualche novità. Ci vuole una scossa, visto che il bottino di una quindicina di miliardi da privatizzazioni e spending previsto per il 2014 è lontano. E se non si corre ai ripari lo spettro della manovra aggiuntiva, ancora ieri negata dal sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta («non ci sarà, la escludiamo»), potrebbe prendere forma.