fallimenti

Diminuisce il numero delle imprese fallite

Diminuisce il numero delle imprese fallite

di Vittorio Pezzuto – Italia Oggi

Alla fine di quest’anno la crisi iniziata nel 2008 avrà fatto fallire nel nostro Paese quasi 114mila imprese. A rilevarlo è una ricerca del Centro Studi ImpresaLavoro che, rielaborando i numeri forniti da Ocse e Cribis, evidenzia come, rispetto a 8 anni fa, i fallimenti in Italia siano cresciuti del 43,5%, passando dai 9.384 del 2009 ai 13.467 del 2016. Un dato questo che non ha paragoni con le altre grandi economie monitorate dall’Ocse: solo la Francia (+12,54%) e l’Islanda (+4,94%) hanno registrato l’anno scorso un numero di fallimenti superiore rispetto al 2009 e con proporzioni del fenomeno decisamente più limitate rispetto all’Italia. Tutti gli altri Paesi registrano al contrario un numero di aziende fallite inferiore a quello di 8 anni fa. Le aziende costrette a chiudere per insolvenza economica sono infatti in calo in Olanda (-43,55%) così come in Finlandia (-27,52%), Germania (-25,04%), Svezia (-21,11%), Spagna (-20,61%), Belgio (-12,13%) e Norvegia (-10,25%).

Per quanto riguarda l’Italia, i dati relativi ai primi tre trimestri di quest’anno (8.656 cessazioni di attività) confermano la tendenza della diminuzione del numero dei fallimenti rispetto all’anno precedente. Secondo le stime elaborate dal Centro Studi ImpresaLavoro alla fine del 2017 saranno fallite in Italia 12.071 imprese su base annua, 1.396 in meno del 2016 e 3.265 in meno rispetto al picco negativo registrato nel 2014 (quando cessarono ben 15.336 attività). Dati certamente confortanti ma che rimangono purtroppo lontanissimi dai livelli pre-crisi e dalle 9.384 aziende fallite nel 2009. Il ritmo dei fallimenti resta impressionante: nel nostro Paese chiudono per insolvenza 53 imprese ogni giorno lavorativo.

Fallimenti ancora record: tra 2009 e 2016 fallite 100mila imprese

Fallimenti ancora record: tra 2009 e 2016 fallite 100mila imprese

Alla fine di quest’anno la crisi iniziata nel 2008 avrà fatto fallire nel nostro Paese più di 100mila imprese. A rilevarlo è una ricerca del Centro Studi ImpresaLavoro che, rielaborando i numeri forniti da OCSE e CRIBIS, evidenzia come rispetto a sei anni fa i fallimenti in Italia siano cresciuti del 55,42%, passando dai 9.384 del 2009 ai 14.585 del 2015. Un dato questo che non ha paragoni con le altre grandi economie monitorate dall’OCSE: oltre all’Italia, infatti, solo la Francia (+13,81%) presenta oggi un numero di fallimenti superiore rispetto al 2009 e con proporzioni del fenomeno decisamente più limitate rispetto al nostro paese. Tutti gli altri paesi segnalano, invece, un numero di aziende fallite inferiore a quello di sei anni fa. Le aziende costrette a chiudere per insolvenza economica sono infatti in calo in Spagna (-4,45%), Germania (-22,90%) e Olanda (-30,25%).

Per quanto riguarda l’Italia, i dati relativi ai primi due trimestri di quest’anno lasciano intravedere un piccolo rallentamento nel numero dei fallimenti rispetto all’anno precedente. Secondo le stime elaborate dal Centro Studi ImpresaLavoro alla fine del 2016 saranno fallite in Italia 14.348 imprese su base annua, 237 in meno del 2015 e quasi 1000 in meno rispetto al picco registrato nel 2014. Dati che non possono essere comunque accolti con ottimismo, visto che siamo ancora lontanissimi dai livelli pre-crisi e dalle 9.384 aziende che fallivano nel 2009. Dall’inizio della crisi del 2008 ad oggi sono fallite nel nostro paese più di 95mila imprese e il 2016 verrà ricordato come l’anno in cui si taglierà il traguardo delle 100mila imprese chiuse dal 2009 ad oggi. Il ritmo dei fallimenti è impressionante: nel nostro paese chiudono per insolvenza 57 imprese ogni giorno lavorativo.

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Troppe imprese ancora falliscono

Troppe imprese ancora falliscono

Massimo Blasoni – Metro
La scorsa settimana, a Cernobbio per il Forum Ambrosetti, il premier Matteo Renzi ha esibito un grande ottimismo sulla capacità di ripresa economica del nostro Paese. Vorremmo davvero potergli credere, per il bene di tutti. I numeri che raccontano la crisi di questi anni dipingono però una situazione che rimane di grande incertezza. Prendiamo ad esempio i dati più aggiornati sui fallimenti delle aziende: il nostro Paese resta uno dei pochi che continua ad registrare un fenomeno nettamente superiore ai livelli pre-crisi. Una nostra rielaborazione dei dati forniti dall’OCSE evidenzia infatti come rispetto al 2009 i fallimenti nella nostra penisola siano cresciuti del 66,3%, passando dai 9.383 del 2009 ai 15.605 del 2014.
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In sei anni fallite 75mila aziende

In sei anni fallite 75mila aziende

Tancredi Cerne – Italia Oggi

Italia maglia nera per numero di fallimenti. Nei sei anni tra il 2009 e il 2014, infatti, sono fallite 75.175 aziende, uno dei valori più alti tra i Paesi dell’area Ocse. L’allarme è contenuto nell’ultimo rapporto del Centro studi ImpresaLavoro. Rielaborando i numeri forniti dall’Ocse gli analisti hanno evidenziato come, rispetto al 2009, i fallimenti di imprese in Italia siano cresciuti del 66,3%, passando dai 9.383 del 2009 ai 15.605 del 2014. «Nel 2014 il numero di fallimenti negli Usa è stato inferiore a quello del 2009 del 55,1% , nel Regno Unito del 23,4% , in Germania del 20,5%». Anche laddove 1’uscita dalla crisi è sembrata più lenta (Francia), il fenomeno pare comunque sotto controllo, con il numero di imprese fallite in calo dell’1,1%.

L’Italia è ancora ampiamente al di sopra dei livelli pre-crisi, con un’escalation negativa che solo quest’anno sembra destinata a interrompersi. «I primi due trimestri del 2015», ha spiegato Massimo Blasoni, presidente del Centro studi ImpresaLavoro, «lasciano intravedere un rallentamento nel numero di fallimenti. La nostra stima è un calo di 1.300 fallimenti rispetto al 2014, con un livello complessivo che dovrebbe attestarei sui valori del 2013». Secondo Blasoni «anche con questo miglioramento» l’Italia resterà quella «che ha reagito peggio alla crisi internazionale».

Fallimenti e suicidi: bestiale è il governo

Fallimenti e suicidi: bestiale è il governo

Attilio Barbieri – Libero

Far fatica a tirare la fine del mese, a non chiudere l’azienda, a far quadrare conti che proprio non vogliono sapere di farlo. E sentirsi dare delle bestie da Renzi, che ci accusa di totale insensibilità per il dramma dell’immigrazione. In realtà sarebbero gli «animali» ad aver le carte in regola per incazzarsi anziché subire gli insulti di specie. Lo confermano anche i numeri aggiornati sui fallimenti, arrivati caldi caldi proprio ieri. Negli ultimi sei anni hanno chiuso i battenti ben 75.175 imprese, 34 al giorno, contando anche le domeniche e le feste comandate. Il dato emerge dall’analisi curata dal Centro Studi ImpresaLavoro. Di più: il nostro Paese è uno dei pochi tra quelli monitorati dall’Ocse ad avere tuttora un numero di aziende che chiudono nettamente superiore ai livelli precedenti la crisi. Segno che il disagio continua. Altro che ripresa.

A dare la dimensione del fenomeno è proprio il confronto internazionale. Come si vede chiaramente dal grafico che pubblichiamo in questa pagina, fra le grandi economie occidentali siamo l’unica che continua ad avere il febbrone. Mentre le chiusure si riducono un po’ dappertutto, da noi aumentano. E i segnali di una possibile inversione di tendenza sono cosi deboli da faticare a distinguerli nel sottofondo di pessime notizie. L’Italia è anche il Paese che ha pagato il maggior tributo, in termini di vite umane, alla recessione. I suicidi da crisi sono stati ben 439 negli ultimi tre anni. E quasi nel 50 per cento dei casi a togliersi la vita sono stati imprenditori. Travolti dalla bolla finanziaria partita dagli Usa nel 2008 e falliti. Debiti, bancarotta personale o aziendale, stipendi non percepiti, mutui e pagamenti non onorati: la disperazione non conosce confini sociali. Padroni e operai sono stati spesso accomunati dal medesimo destino.

In questo scenario poi le prospettive continuano a essere tutto fuorché rosee. A meno di un miracolo la pressione fiscale che quest’anno salirà al 43,5% non è destinata a fermarsi e nel triennio 2016-2018 potrebbe sfondare quota 44 per cento. Poco cambierebbe anche se il premier dovesse abolire in toto o in parte le tasse che gravano sulla casa. Con la logica delle coperture – stante l’incapacità del governo di avviare una seria spending review – quel che risparmieremo da una parte finirà in nuovi tributi dall’altra. E anche i numeri sul lavoro non autorizzano a soverchi ottimismi. I nuovi posti creati con il Jobs Act di cui l’esecutivo ha varato gli ultimi quattro decreti la scorsa settimana, rischiano di superare appena quota 75mila. Un po’ pochi per dichiarare la fine della crisi. Ammesso che si possa parlare davvero di «scontro fra umani e bestie», come ha fatto il premier alla festa nazionale Pd, c’è da chiedersi se gli animali siano fra quanti gli chiedono di guardare ai problemi e ai drammi degli italiani, oppure fra chi si fa scudo dell’emergenza immigrazione per sviare i problemi.

Crisi: negli ultimi sei anni sono fallite 75mila imprese. Italia al top tra i paesi Ocse: +66% rispetto al 2009

Crisi: negli ultimi sei anni sono fallite 75mila imprese. Italia al top tra i paesi Ocse: +66% rispetto al 2009

In Italia resta purtroppo altissimo il numero dei fallimenti: il nostro Paese è infatti uno dei pochi tra quelli monitorati dall’OCSE che continua ad avere un numero di aziende fallite nettamente superiore ai livelli pre-crisi. Lo rivela una nota del Centro studi ImpresaLavoro che, rielaborando i numeri forniti dall’OCSE, evidenzia come rispetto al 2009 i fallimenti nella nostra penisola siano cresciuti del 66,3%, passando dai 9.383 del 2009 ai 15.605 del 2014.

Andamento Fallimenti

Il costante aumento del numero di aziende italiane fallite non ha eguali se confrontato con gli altri Paesi monitorati: nel 2014 il numero di fallimenti negli Stati Uniti è stato inferiore a quello del 2009 del 55,1%, nel Regno Unito del 23,4%, in Germania del 20,5%. E anche laddove l’uscita dalla crisi è sembrata più lenta, come in Francia, si segnala un calo del fenomeno dell’1,1%. Solo l’Italia è ancora ampiamente al di sopra dei livelli pre-crisi, con un escalation che solo quest’anno accenna a fermarsi.
Italia
«I primi due trimestri del 2015 – spiega Massimo Blasoni, imprenditore e presidente del Centro Studi ImpresaLavoro – lasciano intravedere un rallentamento nel numero di fallimenti. La nostra stima è un calo di 1.300 fallimenti rispetto al 2014, con un livello complessivo che dovrebbe attestarsi sui valori del 2013. L’inversione di tendenza si annuncia importante ma c’è poco da sorridere: anche con questo miglioramento rimarremmo il Paese che da questo punto di vista ha reagito peggio alla crisi. Nei sei anni tra il 2009 e il 2014, infatti, sono fallite nel nostro Paese ben 75.175 aziende».
Nuovo balzo dei fallimenti: +14% nel secondo trimestre

Nuovo balzo dei fallimenti: +14% nel secondo trimestre

Francesco Antonioli – Il Sole 24 Ore

È ancora buio. C’è una nuova impennata dei fallimenti: tra aprile e giugno più di 4mila imprese hanno aperto una procedura fallimentare, registrando un incremento del 14,3% rispetto allo stesso periodo del 2013. La crescita a doppia cifra porta i default oltre quota 8mila se si considera l’intero semestre, +10,5% rispetto al livello già elevato dell’anno precedente e record assoluto dall’inizio della serie storica dal 2001. «Stiamo vivendo una fase molto delicata per il sistema delle PMI italiane – commenta Gianandrea De Bernardis, amministratore delegato di Cerved -: la nuova recessione sta spingendo fuori dal mercato anche imprese che avevano superato con successo la prima fase della crisi e che stanno pagando il conto al credit crunch e di una domanda da troppo tempo stagnante».

L’incremento più sostenuto si osserva tra le società di capitale, la forma giuridica in cui si concentrano i tre quarti dei casi, che superano nel primo semestre quota 6mila. Minore invece l’incremento del fenomeno tra le società di persone (+5,9%) e tra le altre forme (+1,8%). L’analisi condotta da Cerved, primo gruppo in Italia nell’analisi del rischio del credito e una delle principali agenzie di rating in Europa, mostra come i fallimenti riguardano indistintamente tutta la Penisola. «I tassi di crescita – prosegue De Bernardis – sono ovunque a doppia cifra ad eccezione del Nord Est, in cui si registra un incremento del 5,5%, il livello più basso di tutto il territorio. In crescita del 14% rispetto al primo semestre 2013 i fallimenti nel Mezzogiorno e nelle Isole, del 10,7% nel Nord Ovest e del 10,4% nel Centro».

A livello settoriale, la maglia nera spetta ai servizi che contano un aumento del 15,7%, in netta accelerazione rispetto al primo semestre del 2013. Continuano, anche se con dei ritmi più lenti, le procedure nelle costruzioni e nella manifattura: i fallimenti di imprese edili crescono nei primi sei mesi del 2014 dell’8,2% (+12,8% nel 2013), mentre per le imprese manifatturiere l’aumento è del 4,5% (+10,5% nel primo semestre dello scorso anno). Tra aprile e giugno, con i correttivi legislativi, crollano le domande di concordato in bianco: sono state 665 (-52%); ne è conseguenza una diminuzione dei concordati comprensivi di piano (-12,3% nei primi sei mesi del 2014).