falso in bilancio

Falso in falso in bilancio

Falso in falso in bilancio

Davide Giacalone – Libero

Regolare il falso in bilancio in una legge intitolata alla corruzione è un po’ come regolare l’aborto in una legge sulla violenza carnale. Non che fra le due cose non ci sia o passa esserci una relazione, ma tradisce una visione singolare della vita societaria e di quella collettiva. Il bilancio falso, del resto, è il tradimento del bilancio vero, le cui regole sono parte vivente del diritto societario, nonché anima onnipresente nel mercato. Supporre che la patologia possa essere individuata e colpita in luogo distante da quello in cui si definisce e regola la fisiologia è supposizione più vicina all’opera di una macumbeira, piuttosto che a quella di un medico.

L’idea politica che presiede all’operazione si può così riassumere: puniamo severamente il falso in bilancio, superando una legge che lo aveva depenalizzato, se non addirittura abrogato, favorendo la formazione dei fondi neri con cui si pagano le tangenti. Tanto che qualcuno ha titolato: reintrodotto il falso in bilancio. Sono favorevole a punirlo, severamente. Però non è mai stato abrogato, sicché sarà meglio guardare nelle pieghe. Mentre i fondi neri sono esistiti prima della riforma precedente, come anche dopo. Ed esistono in ogni parte del mondo, talché sarà opportuno ragionarne con meno frettolosità.

Il falso in bilancio non ha mai cessato di essere un reato. Solo che, naturalmente per le società non quotate in Borsa, se ne esclude la punibilità nel caso in cui il falso o l’omissione non alteri sensibilmente la rappresentazione economica, patrimoniale o finanziaria della società. Non si è punibili se le alterazioni non determinano una variazione del risultato d’esercizio, al lordo delle imposte, fino al 5% o una variazione del patrimonio fino all’1. Né lo si è se le voci dipendenti da stime (molte voci dei bilanci non sono somme, ma stime) differiscono fino al 10% della valutazione corretta. Questi sono i limiti ancora vigenti. A me non piacquero, perché da una parte introducono l’idea che ci sia un falso accettabile (una cosa è l’errore, compreso quello di stima, altra il falso), dall’altra lasciano un margine largo d’imprecisione su cosa sia rilevante e cosa no. Le soglie percentuali erano precise, invece. Larghe, ma precise. Fuori da queste ipotesi, si subisce una pena, che va dall’ammenda alla galera. Troppo basse le pene? Questo è un discorso inutile e fuorviante, perché l’aumento delle pene è una truffa ai danni di un Paese in cui la giustizia non funziona. Le pene esistenti sarebbero efficaci e severe, se solo fossero reali. Non lo sono, però. Sorte che agguanta anche quelle in discussione.

Ora si cambia? Nel testo approvato dal Senato c’è scritto che sono puniti i “fatti materiali rilevanti”. Esclusa l’esistenza dei “fatti immateriali”, suppongo significhi che i fatti non rilevanti non sono puniti. Ecco, appunto. L’ottimo Luigi Ferrarella (Corriere della Sera) c’informa che si tratta di una cattiva traduzione dall’inglese. Peggio. Resta che il testo afferma doversi punire il falso (sempre per le non quotate), con pene da 1 a 5 anni di reclusione. Ma si scende a 6 mesi nei casi di “lieve entità”. La pena massima di 8 anni è prevista solo per le società quotate.

Con il che si ritorna da dove si era partiti: se si intende un falso, concepito come tale, ma “lieve”, si ammette la sostanziale impunità del concetto, se, invece, vi si ricomprende l’errore, allora esiste già la regola generale. In ogni caso siamo a definizioni imprecise e prive di riferimenti oggettivi, lasciando tutto alla discrezionalità del giudice. Tanto più che il reato potrà essere punito “tenuto conto della natura e della dimensione della società e delle modalità o degli effetti della condotta”. Vi sembra così diversa dalla legge vigente? Aumenta le pene massime di 2 anni e perde le soglie, regalando spazi al giudice. Vale a dire che li toglie al legislatore. In ogni caso queste regole penali non si applicano alle società piccole, già fuori dalla portata della legge fallimentare.

In quanto ai fondi neri, si creano mediante spese regolarmente contabilizzate. Il falso non lo vai a cercare nel bilancio, ma nel rapporto professionale o nel servizio per cui è stata emessa fattura. O nelle pezze d’appoggio di costi gonfiati. Il che si riflette nel bilancio, ma non ci arrivi da quello. Spero di sbagliarmi, ma ho l’impressione che i cambiamenti sono declamazioni. Salvo il fatto che oltre al fisco ora anche il giudice penale può accasarsi nel bilancio di qualsiasi società. E non è poco.

Da Natale a Carnevale

Da Natale a Carnevale

Davide Giacalone – Libero

Il falso in bilancio va perseguito, ma anche il bilancio falso di comunicazioni governative contraddittorie. A Natale ci hanno detto che si depenalizzano le fatture false sotto i mille euro e che la soglia di punibilità penale per l’evasione fiscale passa da 50 a 150mila euro. Poi hanno messo tutto in un inesistente congelatore, continuando il presidente del Consiglio (giustamente) a difendere il senso di quelle norme. A Carnevale ci dicono di avere trovato un accordo in virtù del quale il falso in bilancio è sempre perseguibile d’ufficio, naturalmente in sede penale. Il fatto è che la depenalizzata fattura falsa diventa reato sia che la iscriva sia che non la iscriva a bilancio, perché lo falsa in entrambe i casi. E se i soldi che la società doveva al fisco sono stati sottratti mediante maggiori iscrizioni di spese o minori di entrate (perché se i conti sono in regola, allora non è evasione, ma un errore o la mancanza di soldi per pagare, cosa che già oggi i tribunali non puniscono come infedeltà fiscale), non serve a nulla depenalizzare sotto certe soglie se poi la procura rientra in casa contestando il falso in bilancio.

Non sono questioni formali, ma due politiche opposte. Preferisco la natalizia, ma temo la carnevalata. Posto che il reato di falso in bilancio, al contrario di quanto molti ripetono, non è mai stato depenalizzato ed è rimasto un “delitto”, nel 2001 si modificarono le regole di procedibilità. La cosa non mi convinse allora, perché così come non si può essere vergini a percentuale un bilancio non può essere vero a porzioni. Ma, comunque, fino al 2001 si procedeva d’ufficio, mentre da lì in poi si è continuato a farlo per le società quotate, mentre per le altre a querela di parte. Ovvero se qualcuno si riteneva danneggiato. Oggi altro non si farebbe che tornare al regime di prima, che non ricordo come l’era dei bilanci cristallini. L’innovazione, quindi, è un ritorno al passato. Con la particolarità che non funzionava neanche in passato.

In ogni caso: sia per l’evasione fiscale che per il falso in bilancio, non c’è ragione alcuna di difendere gli imbroglioni. Che paghino. Ma chi sono, gli imbroglioni? Non sono gli accusati di evasione o falso, bensì i condannati per tali reati. Solo che il fisco frusta con gli accertamenti e punisce poco con il recupero della supposta evasione, mentre i tribunali martorizzano con il procedimento e non condannano con le sentenze. Ci stiamo prendendo in giro, perché in un Paese in cui la giustizia non funziona la giustizia non c’è, quindi invocare procedure d’ufficio e pene più alte è giustizialismo ipocrita e satanico.

Dicono: premiamo i pentiti, nel reato di corruzione. Bello, sono favorevole. Ma il migliore trattamento per chi collabora con la giustizia è già nel nostro ordinamento, da prima che molti straparlanti nascessero, mentre per sapere se un collaborante sta dicendo il vero o rintontonendo la procura occorre una sentenza definitiva. E ci rivediamo fra dieci anni. Dicono: per evitare la prescrizione allunghiamola e facciamola decorrere dal processo. La prescrizione è un pilastro di civiltà ed è ciò che distingue una dittatura dallo Stato di diritto. Ma capisco il punto di vista: per molti quindici anni di processo sono quindici anni di stipendi; per il cittadino sono quindici anni di avvocati da pagare. Se governo e legislatori danno ragione ai primi al cittadino non resta che scappare.

Renzi aveva detto che non si sarebbe fatto influenzare dalla pressioni togate. Plaudo. È andato allo scontro, con piglio guerriero, sulle ferie dei magistrati (con un testo scritto male), ma poi consegna ai magistrati le chiavi delle aziende e il potere di decidere se il falso rilevato crea, o meno, un “danno rilevante”. Così, senza null’altro aggiungere. A piacimento dell’eccellentissima corte. Come essere severi con i pargoli perché passano troppo tempo alla play station, per poi dare loro i soldi acciocché possano comprarsi lo spinello. Strani genitori. Strani governanti.