gaetano pedullà

Vincoli Ue, partiamo col bonus

Vincoli Ue, partiamo col bonus

Gaetano Pedullà – La Notizia

Speriamo che duri. In altri tempi e con altri governi mica ce la cavavamo con un minuscolo Consiglio dei ministri e un aggiustamento di quattro miliardi e mezzo spostati con la punta di matita da una pagina all’altra della nostra Legge di Stabilità. Il piede con cui parte la nuova Commissione europea è però quello giusto. E di fronte a una crisi senza precedenti, che i trattati su cui si basa la stessa Unione non potevano immaginare nemmeno, il responsabile degli affari economici Katainen ieri si è scordato di essere stato messo li dove sta per fare il falco. Italia e Francia partono quindi con il bonus. Nessuno però si illude che questo sarà sufficiente a invertire un ciclo drammatico. Basta guardare i dati dello Svimez sul Mezzogiorno per capire che qui serve ben altro che l’aspirina dello zero virgola in più o in meno sul deficit con cui destinare qualche spicciolo alla ripresa. L’Italia e l’Europa hanno bisogno di un grandissimo piano di rilancio. Juncker ha promesso 300 miliardi. Ma consentire agli Stati di derogare un po’ di più ai vincoli riuscirebbe ad amplificare enormemente questo sforzo. Senza far finta di credere ai conti scritti a matita.

L’austerità e i ministri di Pulcinella

L’austerità e i ministri di Pulcinella

Gaetano Pedullà – La Notizia

L’Europa vuol continuare a bastonare l’Italia. E non si deve nemmeno sapere. Che brutta uscita per Barroso, il presidente di una Commissione che ha governato gli anni più bui dell’Unione. Dopo averci spedito una lettera che apre di fatto il contenzioso tra Bruxelles e Roma sui conti pubblici, il capo dell’esecutivo comunitario in cerca di un nuovo ruolo politico a Lisbona se l’è presa con Renzi per aver divulgato la missiva. Come se fosse un segreto quello che hanno fatto Bruxelles e Strasburgo, Berlino e Francoforte per metterci in ginocchio. Austerità, politiche del rigore, una Banca centrale che si è mossa con colpevolissimo ritardo di fronte alla tempesta degli spread: c’è bisogno di custodire altri segreti di Pulcinella per oscurare il disastro che ci è stato procurato? Se l’Italia affonda – ribatteranno le anime belle – è perché non abbiamo fatto i compiti, siamo un Paese con regole bizantine e le riforme attendono da secoli. Vero. Ma il colpo di grazia non ce lo siamo dati da soli. E il tentativo di questa Europa nel coprire le sue responsabilità è la pistola fumante che inchioda l’assassino.

L’autogol delle Regioni sui tagli

L’autogol delle Regioni sui tagli

Gaetano Pedullà – La Notizia

Le Regioni presenteranno le loro controproposte, ma il solco tracciato col Governo è ormai troppo largo per chiudere la polemica degli ultimi giorni a tarallucci e vino. Renzi – è l’accusa dei suoi sempre più numerosi detrattori nel Palazzo – si sta cercando ogni giorno un nuovo nemico (sindacati, magistrati, lobby, enti inutili come il Cnel, ecc.) per accreditarsi elettoralmente come l’uomo che vuol cambiare il sistema. E in questo calderone adesso sono finiti i governatori. Quello che nessuno può negare è che però tutti questi bersagli del premier sono ciascuno per la propria parte strenui difensori dei loro privilegi, e soprattutto sono ormai colossi dai piedi d’argilla.

Il consenso sociale attorno a questi totem di un’Italia piegata è ormai bassissimo. Senza i pensionati i sindacati avrebbero meno iscritti di un club della bocciofila. E il prestigio delle Regioni, come quello purtroppo di molte altre istituzioni, è ai minimi. Di chi è la colpa: di Renzi o dei governatori che di fronte ai tagli del Governo minacciano di sacrificare sanità e trasporti invece di tagliare consulenze e clientele? Il premier dunque farà pure i suoi calcoli, ma se gli elettori lo seguono non è solo merito suo.

L’austerità sta fregando l’Europa

L’austerità sta fregando l’Europa

Gaetano Pedullà – La Notizia

Nella legge di stabilità varata ieri dal Governo c’è più benzina di quanta se ne sia vista nelle manovre degli ultimi tre anni tutte insieme. Dagli sgravi fiscali per chi assume al taglio dell’Irap, dalla conferma degli 80 euro al Tfr in busta paga, il piano è promettente e ambizioso. Naturale che a Bruxelles ce lo bocceranno. Il problema dell’economia in Europa è infatti l’Europa stessa, con questa maledetta politica dell’austerità che ieri ha presentato ancora una volta il conto. La Grecia fatica a rientrare del suo debito e con questa scusa i mercati hanno ricominciato a speculare e scommettere sul ribasso dei corsi obbligazionari e azionari. Gli spread sono ripartiti e le piazze finanziarie del vecchio continente hanno bruciato in una sola seduta 276 miliardi. Gli Stati Uniti, che ieri hanno visto Wall Street in calo ma che sono ormai da cinque anni consecutivi in crescita (nonostante la crisi finanziaria sia opera loro), se la ridono. Qui la Merkel ci impone politiche di rigore e la Bce continua a curarci con l’aspirina. Così siamo condannati a star sempre peggio. Qualunque siano le mosse di Palazzo Chigi.

La lezione di Berlino per ripartire

La lezione di Berlino per ripartire

Gaetano Pedullà – La Notizia

Diciamolo senza ipocrisia: la Merkel non è un’amica dell’Italia. Con la difesa a oltranza di una miope politica del rigore sta ipotecando chissà quanti anni di sacrifici per il nostro Paese. Una politica miope perché se l’Italia e l’Europa mediterranea affondano la produzione tedesca perde uno dei suoi mercati più grandi. Detto questo, ieri la cancelliera ha detto però una cosa sacrosanta: il nostro mercato del Lavoro ha bisogno di cambiare le sue regole. Cinque Stelle, minoranza Pd e Lega possono protestare in Parlamento quanto vogliono, ma la storia prima di ogni altra considerazione ci insegna che solo con le riforme si esce dal pantano. La Germania appena entrata nell’Euro aveva conti pubblici disastrosi, anche per via dell’unificazione tedesca. Berlino fece i suoi compiti. Tagliò enormi garanzie che soprattutto nella parte ex sovietica erano date per acquisite dai lavoratori. Certo ci fu anche altro, a partire dal contributo dato da tutti quei Paesi che subirono un concambio criminale sulla nuova moneta comune. Fatto sta che oggi la Germania è padrona d’Europa. Una lezione che può darci fastidio, ma della quale sarebbe un errore ignorarne l’insegnamento.

L’eroica resistenza del Cnel

L’eroica resistenza del Cnel

Gaetano Pedullà – La Notizia

Cosa non si fa per salvare la poltrona. Se poi con la poltrona c’è un signor stipendio per non produrre assolutamente nulla se non un inutile montagna di carte, allora si può pure sfidare il ridicolo. Esattamente quello che ha fatto ieri il Cnel, sigla che sta per Consiglio nazionale dell’economia e lavoro. L’ente, pensato nella Costituzione come camera di compensazione delle istanze dei diversi soggetti economici, di fatto è stato per decenni il cimitero degli elefanti di sindacati e associazioni di ogni genere. Le sue proposte di legge si contano sul palmo di una mano, ma nel tempo ha bruciato centinaia di milioni, buona parte solo per mantenere il personale e una sede regale nel cuore di Villa Borghese, a Roma. Naturale che un Governo deciso a fare alcune riforme e a tagliare i tanti sprechi di denaro pubblico proponesse di cancellare questo carrozzone.

Dalle parti di Villa Lubin – la sede del Cnel – ovviamente non l’hanno presa bene e prima si sono messi a sparare tutta l’artiglieria per bloccare la soppressione in Parlamento. Poi, visto che di questo Ente in realtà non ne può più nessuno, da ieri hanno cominciato a fornire piombo ai nemici del premier. E qui non si è badato a spararle grosse. Proprio mentre il Governo rischia l’osso del collo per varare una riforma del lavoro che ha nell’abolizione dell’articolo 18 (divieto di licenziamento) uno dei punti qualificanti, il Cnel sforna un rapporto secondo cui licenziare un dipendente a tempo indeterminato in Italia è più facile niente di meno che in Germania. Ora al Consiglio dell’economia ecc. ecc. o non hanno mai parlato con un solo imprenditore oppure non hanno idea dell’immenso contenzioso che scoraggia le imprese a fare nuove assunzioni. Ma chissà quanto c’è costato questo ultimo imperdibile rapporto.

La lezione francese da seguire

La lezione francese da seguire

Gaetano Pedullà – La Notizia

Evviva la Francia! Lo spread e i mercati vogliono affamarla? Parigi se ne frega. L’austerità è nemica del progresso, del sacrosanto diritto dei cittadini di vivere dignitosamente e di godere dei benefici che un intero popolo si è conquistati con sacrifici, con il lavoro e con il sangue versato per costruire un’Europa libera dai totalitarismi. Compreso quello dei mercati finanziari. La Francia dunque non si piegherà alle politiche di rigore – ormai chiaramente fallimentari e recessive – imposte da Berlino. E fa bene, perché nell’attuale crisi proprio la Germania e i vincoli imposti alla politica monetaria della Bce sono il freno che sta bloccando la ripresa. Ora illustri critici e commentatori di giornali sempre pronti a trovare il pelo nell’uovo si stanno esercitando a sparare sul governo di Parigi, sostenendo che ribellarsi alle regole di Bruxelles nuocerà pure all’Italia. Ma quando mai? Piuttosto facesse pure l’Italia lo stesso, abbassando subito le tasse e mettendo più soldi in tasca ai cittadini. Da questa crisi non si esce curandoci con l’aspirina. Abbia il governo il coraggio di sfidare i mercati. Per iniziare una cura seria. E darci la speranza che il domani sarà migliore.

Un sindacato fuori dalla realtà

Un sindacato fuori dalla realtà

Gaetano Pedullà – La Notizia

L’Italia non funziona perché buona parte della classe dirigente è completamente dissociata dalla realtà. Abbiamo parlamentari che bloccano le Camere settimane intere per votare due giudici della Corte costituzionale mentre il Paese segna uno dopo l’altro tutti i record negativi di Pil, disoccupazione, disperazione. Non ci mancano i magistrati, che nel disastro della giustizia hanno dedicato anni di lavoro e spaventose risorse pubbliche solo per processare Ruby e gli affari di Berlusconi sotto le lenzuola.

E che dire del sindacato, con la signora della Cgil Camusso che ieri l’ha sparata più grossa del solito, sostenendo che attorno ai sindacati e alla loro battaglia per salvare l’articolo 18 sta crescendo il consenso. Quale consenso signora? E sulla base di quale riscontro afferma quello che dice? Forse domani arriverà il soccorso amico di qualche sondaggista, ma se guardiamo i numeri che contano questi ci dicono che gli iscritti alle confederazioni sono al minimo storico. Numeri veri – come il 40% dei consensi arrivati a Renzi per fare le riforme o il 44% di giovani disoccupati frutto delle politiche imposte dai sindacati – contro numeri sognati. Un sindacato fuori dal mondo.

La pochezza dei nostri poteri forti

La pochezza dei nostri poteri forti

Gaetano Pedullà – La Notizia

È nato un nuovo amore. E pazienza per chi è rimasto escluso, che ora schiuma di gelosia. Renzi e Marchionne, invaghiti a New York, si sono scambiati l’anello di fidanzamento. Il nostro premier ha reso omaggio alla Fca, nuovo nome di una Fiat scappata dall’Italia senza la benché minima resistenza del governo. E il top manager ha promesso al Presidente del Consiglio il suo appoggio nel cammino delle riforme. Una brutta notizia per De Bortoli, il direttore in uscita dal Corsera, che tre giorni fa aveva bombardato l’inquilino di Palazzo Chigi proprio dalle pagine del giornale di cui Marchionne è il primo azionista. Guerre di potere, dunque, ma quando parliamo dei poteri italiani dobbiamo subito pensare più alle loro debolezze che a una invisibile forza. Così Marchionne e Renzi, mano nella mano, hanno fatto scattare Della Valle, da tempo nemico giurato di quella Fiat che investendo a sorpresa poche decine di milioni gli ha sfilato da sotto il naso proprio il Corriere. Uno scherzetto che gli sta facendo perdere un mucchio di soldi e che adesso lo mette pure in conflitto con l’ex sindaco (e amico) della città in cui gioca la sua Fiorentina.

Cosa c’entra in tutto questo l’Italia? Nulla. Ma per i nostri poteri deboli il Paese è solo un campo di gioco, dove tutto può essere sacrificato ai loro interessi. Se poi ci sono in ballo riforme delicatissime e irrinunciabili come quella sul lavoro, a Lor signori poco importa. E questo è scandaloso. Perché rivela la pochezza della nostra classe dirigente. Ma anche il cinismo con cui giocano sulle sorti dello Stato. Industriali che controllano giornali, che condizionano partiti, che sussurrando ora alle maggioranze ora alle opposizioni hanno pesato nel naufragio del Titanic Italia più dei vituperati partiti. E ancora parlano.

I lavoratori meritano molto di più

I lavoratori meritano molto di più

Gaetano Pedullà – La Notizia

Ora o mai più. Per il sindacato italiano oggi c’è la più grande occasione per lasciarsi alle spalle una cultura ottocentesca nella tutela del lavoro. Ieri a sorpresa Raffaele Bonanni ha annunciato l’addio alla segreteria della Cisl. La guidava dal 2006. Il 21 novembre prossimo, dopo 14 anni, toglierà il disturbo anche il leader della Uil, Luigi Angeletti. Una penosa storia di fondi sottratti al sindacato ha fatto fuori invece l’ex numero uno dell’Ugl, Giovanni Centrella. Resta al suo posto, al comando della Cgil, solo Susanna Camusso. Rieletta segretario generale con una maggioranza bulgara, appena qualche mese fa, qui non è la sua poltrona che traballa ma l’intera organizzazione, riuscita a perdersi per strada persino il suo storico partito di riferimento.

Questo giornale dal primo giorno – quando dedicammo un’inchiesta agli affari della Cisl Spa – denuncia l’arretratezza del sindacato italiano. La Camusso per questo ci ha querelato e se i giudici le daranno ragione dovremo chiudere e mandare a casa tutti i giornalisti. Altri posti di lavoro inceneriti da chi dovrebbe sostenere l’occupazione e invece ha una responsabilità storica del disastro in cui viviamo.

Tutelare il lavoro è però un compito nobile e necessario. Soprattutto in un mercato che sta cambiando profondamente. Di questo, un sindacato moderno deve prima di tutto rendersi conto. Continuare a difendere i privilegi di chi un posto fisso ce l’ha, a costo di chiudere la strada ai tanti che potrebbero trovare un lavoro solo a patto di accettare nuove forme di impiego – precario, a progetto, interinale, autoimprenditoriale, ecc. – significa non capire che il passato è passato e il futuro non può più aspettare. Il sindacato italiano saprà diventare più moderno? Le premesse non sono buone. Ma la speranza è l’ultima a morire.