gianfranco summo

Le aspettative crescenti dell’uomo della Provvidenza

Le aspettative crescenti dell’uomo della Provvidenza

Gianfranco Summo – La Gazzetta del Mezzogiorno

Il bluff è uno degli aspetti più affascinanti del poker, almeno per gli appassionati del gioco. In fin dei conti è la strategia dove si mette sul tavolo la personalità del giocatore piuttosto che le sue carte. A vincere una mano con la scala reale sono buoni tutti, a zittire gli avversari con un punticino ci vuole forza, carisma, credibilitá.

Non coraggio, ma credibilità. Ecco, Matteo Renzi con il decreto (annunciato) Sblocca Italia sta puntando le sue ultime fiches di credibilità. Un grande italiano d’Europa, Mario Draghi, giocò nell’estate del 2012 una mano di poker con un bluff memorabile: annunciò al mondo di essere pronto a tutto per salvare l’euro e questa semplice «minaccia» fu sufficiente a rassicurare mercati, Ue e singoli Paesi. In realtà la Bce non spese un euro. Ma bastò l’autorevolezza di Draghi a rendere credibile l’annuncio. Però quell’annuncio non era stato preceduto da un’altra diecina di affermazioni pirotecniche e non si è mai visto il presidente della Bce mangiare un gelato davanti all’Eurotower per fare dispetto alle critiche di un giornale. E quindi Draghi è tuttora un pilastro dell’Europa, al punto che si scomoda la Merkel in persona se legge che il presidente della Bce prende posizione contro il rigorismo germanico. 

Non si può bluffare ad ogni giro, come sa pure un mediocre giocatore di poker. O anche solo di briscola- Allora, il decreto Sblocca Italia: per non tramutarlo in una bufala, innanzitutto il governo Renzi dovrà dimostrare che i dieci miliardi promessi siano soldi «nuovi». Se (come sembra) si tratta solo di mettere insieme opere già finanziate, se si tratta di attingere a fondi europei già disponibili, allora il bluff è scoperto fin da ora. E non basta sostenerlo dicendo che il decreto accelera le cantierizzazioni. Perché se solo di questo si tratta, allora vuol dire che il governo si scomoda e «occupa» un decreto semplicemente per una operazione di pura burocrazia. Che ci stanno a fare, dunque, ministri e ministeri? Non basta che facciano il loro lavoro, individuino priorità e disponibilità e diano corso a quello che dovrebbe essere la normalita di un Paese, cioé rispettare termini e scadenze di una opera pubblica? 

Verrebbe da pensare che il decreto Sblocca Italia serva a fare marketing e allo stesso tempo mascherare i limiti di una squadra di governo non ancora padrona delle proprie prerogative. E sarebbe doppiamente grave. Triplamente grave, poi, se consideriamo che in amministrazione, come in natura, non esiste il vuoto e lì dove la politica non riesce a fare il suo lavoro, ci pensano i burocrati. Esattamente il senso contrario a quello promesso da Renzi. 

Con una delle sue (tante) battute che farebbero invidia a Berlusconi, Renzi spiegò agli italiani in una intervista televisiva a La7 che lui ha detto che vuole cambiare verso, non può cambiare l’universo. Un simpatico modo per frenare forse gli entusiasmi che egli stesso ha acceso, quegli entusiasmi che lo hanno portato a guidare il governo e dell’Italia senza essere neppure stato eletto una sola volta al Parlamento. Dalle primarie del Pd, alla guida del partito e di lì alla presidenza del Consiglio dei ministri a furore di popolo. Tanto viscerale consenso ha come contraltare inevitabile una aspettativa altrettanto vertiginosa. 

Quindi Renzi non si stupisca se dopo soli sei mesi gli imprenditori cominciano a mugugnare, proprio quegli imprenditori che avevano traslocato armi e bagagli dal berlusconismo ad un Pd finalmente decomunistizzato. Ha cominciato due mesi fa la Confindustria di Giorgio Squinzi, poi la Confcommercio e ieri è arrivato il presidente dell’Ance, l’associazione dei costruttori, Paolo Buzzetti: servirebbero progetti per cento miliardi, ma basterebbero anche dieci miliardi purché siano «veri».

Ora Renzi non si spazientisca, non se la prenda con gli italiani che non apprezzano la sua buona volontà. Non faccia come l’italiano medio per il quale la colpa è sempre di qualcun altro. Renzi è un uomo politico giustamente ambizioso e ha ancora una grandissima fortuna dalla sua parte: l’Italia è allo stremo e non ha neppure la voglia, oltre che la forza, per cercare un altro leader; l’Europa, in tutte le sue articolazioni, è preoccupatissima perché l’Italia non è il Portogallo (che in termini di pil vale quanto la provincia di Treviso…) e salvare l’Italia o lasciarla affondare è roba da far crollare l’intero sistema dell’Unione e forse anche mezzo mondo. Due circostanze che fanno di Renzi l’uomo della provvidenza malgrado tutto e tutti, lui stesso compreso. Allora, un po’ di pazienza, Matteo Renzi: le carte buone arrivano, meno chiacchiere e più serietà. Anche perché i soldi sul tavolo da gioco sono i nostri ultimi risparmi.

Il frutto più subdolo e velenoso della crisi

Il frutto più subdolo e velenoso della crisi

Gianfranco Summo – La Gazzetta del Mezzogiorno

Gli italiani stanno facendo un corso accelerato di economia. A loro spese, purtroppo. A proposito di spesa, ora tocca alla parola deflazione. Vuol dire che i prezzi continuano a diminuire mese dopo mese. Il contrario dell’inflazione, che prevede un aumento dei prezzi. Detto così sembra una bella cosa: non è il sogno di ogni consumatore fare la spesa a buon mercato? Purtroppo no, non va bene. I prezzi sono un po’ come la febbre. Va male se salgono troppo o troppo velocemente, va malissimo anche se scendono sotto un livello minimo.

L’Italia è in deflazione perché gli italiani hanno sempre meno soldi da spendere. E chi dovesse averli, cerca di spendere con attenzione perché teme di perdere il lavoro o di guadagnare meno, insomma perché guarda al futuro con preoccupazione. L’immediata conseguenza di questo comportamento è la diminuzione dei prezzi. I commercianti mantengono il prezzo finché possono: poi cominciano a ridurlo progressivamente pur di incassare e pagare tasse, fornitori, dipendenti e fare margine anche per se stessi. Un margine sempre più basso. E su quel margine pagano, naturalmente, meno tasse. E sulle merci vendute lo Stato incassa progressivamente meno Iva man mano che le merci si deprezzano al punto che diventa antieconomico produrle.

Ecco perché la diminuzione dei prezzi non è una buona notizia: si impoveriscono tutti, anche chi spende meno. Perché chi spende meno a sua volta vede il reddito minacciato dai mancati guadagni del suo datore di lavoro (che sia lo Stato o un privato). La deflazione è dunque un circuito negativo. Il frutto più velenoso e subdolo della crisi. Perché colpisce tutte le categorie sociali in modo trasversale. E perché ha anche una componente psicologica che è la più difficile da invertire.

Ma si può dare torto al famoso padre di famiglia che decide di ridurre i consumi dal momento che vede – ad esempio – la metà dei suoi compagni di lavoro perdere il posto? Quindi sgombriamo subito il campo dalla più facile delle tentazioni: la colpevolizzazione della vittima. Se gli italiani non spendono non è colpa loro. Hanno ragione. Vediamo crollare intorno a noi tutte le certezze sulle quali abbiamo basato le nostre vite. Il minimo che può accadere è decidere di gestire le risorse certe in attesa di tempi migliori.

Che cosa fare, allora? E, soprattutto, chi può fare qualcosa? Intanto il grande sconfitto della deflazione è la Banca centrale europea, che ha come compito statutario quello di mantenere un livello di inflazione tendente al 2% annuo (insomma la febbre a 36,5 ogni giorno).
Qui la faccenda si complica, ma non poi tanto come si può temere. La Bce è il soggetto regolatore della circolazione dei soldi nell’Unione europea. In pratica, stampa i nostri soldi. Visto che un pezzo di Europa si sta impoverendo sempre più, potrebbe stampare più soldi ma per farlo dovrebbe avere l’autorizzazione di tutti i Paesi dell’Unione. Così hanno fatto le banche centrali di Usa, Gran Bretagna, Giappone. Così ha fatto in passato anche la Banca d’Italia con la lira. Ma la Bce non ha l’autonomia per farlo e i Paesi forti dell’Unione si guardano bene dal cambiare le cose.

Il presidente (italiano) della Bce, Mario Draghi, ha provato a forzare la mano. Come? Prestando danaro praticamente a costo zero alle banche, nella speranza che le banche a loro volta lo prestino a imprese e famiglie a tassi ragionevoli e dunque facendo circolare più soldi nelle tasche degli italiani (degli irlandesi, degli spagnoli, dei greci, dei portoghesi, dei francesi). Non ha funzionato. Le banche inizialmente si sono tenute in cassa quasi tutto quel danaro, esattamente come molte famiglie conservano in casa i risparmi e non spendono. Perché tutti hanno paura, anche le banche. Con una variante, però: le banche alla fine in questa situazione ci stanno guadagnando, a differenza delle famiglie. Perché le banche hanno il mondo intero come mercato sul quale investire i propri soldi (e quelli prestati dalla Bce) e guadagnarci comunque.