Il Paese dei prestiti negati

Gigi Di Fiore – Il Mattino

Un commerciante suicida per i debiti, un pensionato che rischia di perdere la casa, il Sud nella morsa dell’usura: schegge di conseguenze indirette scatenate dal calo dei prestiti bancari, diminuiti dello 0,8 per cento alle famiglie e del 3,8 per cento alle imprese. Dati dell’ultimo mese, calcolati dalla Banca d’Italia. Sono lontani i tempi in cui non ci restavano che le banche per coronare un sogno. Una casa, un’auto, un viaggio: bastava chiedere un prestito, anche piccolo, per conquistarsi l’oggetto del desiderio. A garanzia, un immobile, la propria busta paga di lavoratore a tempo indeterminato, un parente pronto a metterci la faccia per il sì al denaro chiesto. Capi famiglia, artigiani, commercianti hanno alimentato l’esercito dei piccoli risparmiatori che si rivolgevano alle banche per esigenze improvvise. Fino al 2000, secondo i dati dell’ufficio studi della Banca d’Italia, il mercato del credito alle famiglie era di dimensioni ancora limitate rispetto al resto d’Europa: un terzo del reddito disponibile in un anno. Poi, da allora, 14 anni fa, in coincidenza con il calo dei tassi d’interesse, i prestiti bancari sono aumentati fino all’inversione di tendenza esplosa nel 2008.

La crisi, i redditi in diminuzione, la stretta della tasse sempre più numerose hanno spinto la chiusura dei rubinetti. Negli ultimi tre anni, il tramonto del periodo di vacche grasse è diventato fisiologico. Con storie che si fanno dramma, in una spirale sempre più preoccupante. A Ginosa Marina, in provincia di Taranto, un commerciante di 60 anni si è suicidato. Ha lasciato un piccolo quadernetto, dove ha registrato l’abisso della sua sofferenza. Nelle pagine scritte, quasi un testamento: «Mi sono trovato in grandi difficoltà economiche e avevo urgente bisogno di 1300 euro per coprire un assegno consegnato ad un fornitore. Rischiavo il protesto, mi sono rivolto alla mia banca per un fido. Me l’hanno rifiutato e sono piombato nella disperazione». Una moglie e tre figli, il no della piccola banca locale motivato da una «rilevante esposizione debitoria», ha spiegato l’avvocato Giuseppe Lecce, incaricato dalla famiglia di denunciare la banca per «istigazione al suicidio»: «Dagli estratti conto, abbiamo rilevato addebiti sproporzionati per le transazioni scaturite dall’uso del Pos sui pagamenti con carte di credito. Probabilmente, si trattava di errori e il commerciante lo ha fatto presente, nella richiesta di fido. Non l’hanno ascoltato, addebitandogli invece debiti rilevanti».

Casi limite, certo. Ma spia di situazioni difficili. Al Sud come al Nord. A Santa Vittoria di Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia, un artigiano di 42 anni ha denunciato la banca per usura. Dopo aver pagato per otto anni le rate di un mutuo decennale a tasso variabile, ha dovuto smettere perché si era trovato in difficoltà per il calo di guadagni nella sua attività. Stop alla rata di 800 euro, per poi rivolgersi ad un avvocato attraverso l’associazione antiusura Federitalia a Parma. E arriva una scoperta, attraverso il calcolo dell’associazione: i tassi applicati avrebbero sforato quelli regolari, diventando usurai.

Lo stop ai prestiti si concentra soprattutto sui mutui per l’acquisto della prima casa. Non è un caso, quindi, che il ministero del Tesoro abbia sentito il bisogno, nelle ultime ore, di firmare un protocollo d’intesa con l’Abi, l’associazione delle banche italiane. Prevede un fondo di garanzia, con dotazione di 650 milioni di euro, che dovrebbe consentire lo sblocco di una ventina di miliardi per l’acquisto della prima casa non di lusso. Spiegano Abi e ministero del Tesoro: «Si tratta di un’importante strumento di accesso al credito per la casa a favore dei cittadini, oltre che un immediato impulso alla crescita attraverso il rilancio del settore immobiliare». Beneficiati principali dovrebbero essere le giovani coppie, o un genitore separa-to con figli minorenni. Basterà? Di certo, i rubinetti a secco o totalmente chiusi del prestito bancario toccano le famiglie, come le piccole imprese. Colpa delle crisi, colpa di un sistema finanziario stritolato dalle sofferenze di crediti concessi a grossi gruppi imprenditoriali. Se i soldi vanno ai più grandi, che riescono a offrire più garanzie ma poi non pagano nei tempi fissati, a farne le spese sono i più piccoli e le famiglie. Un paradosso.

Per ristrutturazioni aziendali, o tamponare crisi, occorrono soldi. E le banche ne hanno sborsati cosi tanti che, negli ultimi mesi i 12 primi istituti creditizi italiani si incontrano con sempre maggiore frequenza per trovare soluzioni alle «sofferenze» scaturite da grossi gruppi imprenditoriali in difficoltà: 170 miliardi di euro. I nomi sono circolati da tempo, con Sorgenia, Risanamento e Tassara in cima alla lista. E scrive la Banca d’Italia, riferendosi agli ultimi mesi del 2014: «I criteri di offerta dei prestiti alle imprese sono divenuti lievemente espansivi, beneficiando del miglioramento delle attese riguardo l’attività economica in generale». Più sotto, però, il ma che complica la situazione di chi deve fare i conti con le bollette della luce, il fitto, il mutuo: «I criteri di offerta dei prestiti alle famiglie per l’acquisto di abitazioni hanno registrato un ulteriore allentamento».

I piccoli alle prese con la finanza che stritola. Giuseppe è stato a lungo in cassa integrazione alla Fiat di Pomigliano. Racconta: «Se non mi avessero aiutato i suoceri, avrei perso la casa che avevo comprato con un mutuo. Provate voi a onorare una rata di prestito, sottoscritta quando avevo un contratto di lavoro, con 700 euro al mese di cassa integrazione». La stretta alimenta il mercato delle società finanziarie private, che pretendono minori garanzie per concedere prestiti. Molte sono boarder line, strutture improvvisate, che si pubblicizzano con volantini e offrono interessi da favola e prestiti che poi si rivelano usurai. Ci sono però società finanziarie consolidate, con strutture nazionali, che finanziano acquisti di auto, computer, elettrodomestici vari. Nomi ricorrenti: Findomestic, Compass, Agos. Hanno gioco facile se, negli ultimi tre anni, secondo Unimpresa, il valore dei prestiti alle famiglie si è ridotto di 14 miliardi di euro. E per le imprese la contrazione è arrivata, sempre negli ultimi tre anni, alla somma di 70 miliardi di euro. I calcoli, dal luglio 2011 al luglio 2014, sono presto fatti: ai privati sono stati concessi dalle banche 83,1 miliardi di prestiti in meno, che significano il meno 5,49 per cento. Un’impresa fornisce la sua lettura di queste cifre: «La causa sono le sofferenze bancarie, l’insolvenza, il ritardo dei pagamenti. L’effetto diventa però la ripercussione negativa sull’economia reale».

E, a questo scenario da pianto, si aggiungono clausole e interessi applicati dalle banche, che scatenano denunce. Adusbef e Federconsumatori hanno presentato diffide contro 13 banche che, nel concedere mutui, avrebbero inserito «condizioni in grado di determinare un significativo squilibrio di diritti ed obblighi contrattuali, lesivi dei diritti degli utenti». L’elenco comprende gli interessi calcolati per scoperture momentanee dell’utente. Due giorni fa, un pensionato torinese, Vittorio Giari, si è rivolto al programma televisivo «Le Iene», per denunciare il suo caso. Ad una banca torinese aveva chiesto un prestito di 14mila euro, cedendo un quinto della pensione. Ha scoperto di aver restituito addirittura 40mila euro, con un tasso del 29 per cento, oltre il limite del 14,9 per cento fissato dalla legge per non sconfinare in usura. L’inghippo è stato scoperto: il contratto prevedeva anche un’assicurazione obbligatoria, per coprire l’eventuale morte o difficoltà del cliente a restituire il prestito. L’assicurazione è costata 10mila euro, che si è aggiunta alla restituzione con interesse. La banca, portata in tribunale, ha dovuto restituire 7500 euro. Il giudice ha dato ragione al pensionato.

Ma su quali elementi le banche rifiutano prestiti alle famiglie? Influiscono le garanzie e, negli ultimi anni, con l’incremento dei contratti a tempo determinato, gli istituti di credito sono diventati più restii a concedere mutui. Poi, ci si mettono le cosiddette «referenze creditizie». Sono i dati, raccolti da società private o pubbliche costituite da gruppi di banche e finanziarie, sui precedenti dell’utente che chiede un prestito. È l’archivio sui pagamenti in ritardo, i prestiti richiesti, gli eventuali scoperti e tutte le altre informazioni che le banche utilizzano per valutare l’attendibilità di chi chiede denaro e decidere. È il Sic (Sistema informazioni creditizie) a fornire quelle notizie. In Italia, ne esistono quattro: Experian, Consorzio tutela credito, Crif e Assilea. Sono una specie di grande fratello su chiunque si rivolga ad una banca per chiedere denaro. Un sistema invadente, che impone alle banche il segreto sui dati acquisiti. Riguarda finanziamenti inferiori ai 30mila euro. Sono proprio quelli che, inmaggior numero, richiedono le famiglie. L’invadenza nella privacy corre sul filo. Sono le banche e le finanziarie a fornire al Sic i dati personali di chi chiede un prestito. E, bisogna starne attenti, queste informazioni possono essere custodite non oltre sei mesi. Il tempo, di solito, di rispondere si o no alla richiesta. Spiegano all’Aduc, l’associazione per i diritti di utenti e consumatori: «Se il prestito è negato, o il cliente vi rinuncia, le informazioni possono restare in custodia al Sic non oltre 30 giorni. Attenzione, le notizie sui mancati pagamenti, o pagamenti in ritardo, non possono essere conservate oltre 12 mesi dalla regolarizzazione del debito. Sul Sic e i dati personali custoditi, valgono le norme sulla privacy e ci si può rivolgere al Garante per ottenere tutela». Se le richieste di prestiti sono superiori ai 75mila euro, esiste una Centrale rischi pubblica, gestita dalla Banca d’Italia. Riguarda essenzialmente le grosse imprese, i gruppi imprenditoriali di rilievo.

Denuncia Carlo Rienzi, presidente del Codacons: «È un vicolo cieco. La riduzione dei prestiti a famiglie e alle imprese strozza la ripresa. Che fine hanno fatto i miliardi di euro concessi dalla Bce agli istituti di credito, per aumentare i finanziamenti nel nostro Paese?». Domanda lecita, ma la risposta non appare semplice. Salvatore Rossi, attuale direttore generale della Banca d’Italia, ha analizzato l’andamento del credito concesso alle famiglie, partendo dal 2000. Spiega: «Le famiglie italiane hanno assistito alla progressiva riduzione del loro reddito reale, a partire dal 2008. La conseguenza è stato il ridimensionamento dell’acquisto di beni di consumo e la riduzione anche di domande di finanziamento bancario». Secondo quest’analisi, le famiglie a basso reddito sono progressivamente sparite dalla clientela bancaria. Nel 2012, le banche hanno concesso 30 miliardi di mutui e aggiunge ancora il direttore Rossi: «È cresciuta la selettività nell’offerta di credito, condizionando le scelte delle famiglie. Il tasso di sofferenza dei prestiti, così, è aumentato. Nel 2009 era passato dall’l all’1,4 per cento del totale dei prestiti esistenti».

Sono allarmanti i calcoli dell’ufficio studi della Banca d’Italia: almeno il 3, 6 per cento delle famiglie si è trovato con debiti bancari elevati. Le più vulnerabili, quelle con reddito più basso o inesistente, sono calcolate nell’1,4 per cento. Dice ancora il direttore Rossi: «Le progressive contrazioni del reddito reale e il deterioramento del mercato del lavoro hanno mutato le prospettive delle famiglie e ne hanno ridimensionato la propensione a chiedere finanziamenti». Sul no al prestito influiscono gli ostacoli della vita reale: cassa integrazione, famiglie monoreddito, contratti a tempo parziale. Le banche catalogano i «cattivi pagatori» e, in maniera indiretta, soprattutto al Sud, si alimenta il mercato illecito dell’usura. Secondo l’ultimo studio della Cgia di Mestre, la Campania sarebbe al primo posto in Italia per il ricorso agli usurai. Cresce la richiesta del piccolo prestito, trai mille e cinquemila euro a restituzioni da favola. Ma chi ha bisogno di denaro, anche per spese sanitarie non previste, non ha alternative. Soprattutto se non possiede garanzie da fornire alle banche. Dopo la Campania, ci sarebbero, nel ricorso all’usura, Calabria, Abruzzo, Puglia, Sicilia, Molise.

L’ultimo studio dell’Unioncamere, in collaborazione con Libera contro le mafie, lancia l’allarme. Vi si legge: «Un rapporto usurario nasce dalla necessità stringente di denaro, ma anche da un’offerta che può apparire di facile e rapida soluzione a chi si trova in difficoltà». Tassi d’interesse che schizzano dal 120 al 1500 per cento, accompagnati da metodi spicci per ottenere la restituzione del prestito. Confesercenti denuncia che circa 200mila commercianti hanno dovuto ricorrere all’usura. Al primo posto, anche stavolta, la Campania con 32mila commercianti. Racconta Giovanni, che ha dovuto chiudere un suo piccolo negozio di abbigliamento in provincia di Napoli, rimanendo per ora privo di lavoro: «Ero insolvente con più fornitori, che, sperando di recuperare i loro soldi, non mi facevano fallire. La banca non mi concedeva più prestiti, quando mi hanno presentato un’ingiunzione ho dovuto ricorrere agli usurai. Da lì è stata una spirale inarrestabile, che mi ha portato alla chiusura».

Secondo Eurispes, almeno il 35,7 per cento degli italiani ha chiesto nell’ultimo anno un prestito alle banche. Tra i più bisognosi di aiuti finanziari, i lavoratori con partite Iva (44,2 per cento) e il 35,2 lavoratori subordinati. La stessa analisi spiega la richiesta con la necessità di pagare debiti accumulati nel tempo (il 62,3 per cento) e il bisogno di saldare prestiti ricevuti da altre banche o da finanziarie (il 44,4 per cento). In tutti i casi, nella stretta del denaro che non basta mai e che le banche concedono sempre di meno, bene non siamo di certo messi. Speriamo che passi.