gioco d’azzardo

Giochi, stretta del governo: via una slot machine su tre

Giochi, stretta del governo: via una slot machine su tre

Roberto Giovannini – La Stampa

Per adesso, più che una notizia è soltanto un avvertimento, visto che la novità scatterà soltanto a partire dal 2017. Sempre che non ci siano ripensamenti. Parliamo delle slot machine, le fatidiche macchinette mangia soldi che tanti considerano un fenomeno sociale non certo edificante, se non davvero pericoloso. Nell’ultima bozza del decreto in tema di giochi in attuazione della delega fiscale – che il governo dovrebbe approvare venerdì prossimo in Consiglio dei ministri – si prevede infatti una drastica riduzione del numero delle slot: dal 2017 ne dovranno sparire almeno un quarto del totale. Altre misure, come un aumento del prelievo fiscale sulle vincite, e una nuova stretta sugli (imperversanti) spot televisivi sui giochi sembrano invece pronte ad entrare in vigore in tempi più stretti. Il testo, dicono i bene informati, potrebbe pero avere bisogno ancora di ulteriori approfondimenti e potrebbe quindi non arrivare, come annunciato nei giorni scorsi, sul tavolo del Consiglio dei ministri del 20 febbraio – quando saranno esaminati i nuovi testi su catasto, compliance, fiscalità internazionale, fatturazione elettronica e probabilmente anche sulle partite Iva.

Scendono le entrate
Per adesso, a leggere la bozza, il taglio delle slot machine (rinviato però al 2017) comporterà certamente una riduzione delle entrate per le casse dell’Erario. Sicuramente sarà una pessima notizia per i tanti bar e locali pubblici che fanno tornare i loro conti con persone che trascorrono ore a premere pulsanti e (quasi sempre) a perdere i loro soldi. Oggi ne sono operative circa 350mila, ma tra un paio di anni con le nuove regole – si potrà installare una macchina ogni 7 metri quadri di superficie del locale pubblico, e in ogni caso non più di 6 macchine in cifra assoluta – si calcola che spariranno dalla circolazione circa 80-100mila «macchinette». Un po’ più di un quarto del totale. Oltre a stabilire vincoli legati a metri quadri e numero massimo di slot, per bar e sale scommesse il decreto stabilirà anche che le slot non devono essere visibili dall’esterno dei locali, devono avere uno spazio dedicato e devono essere, come già previsto, assolutamente vietate ai minori. Le sale da gioco (gaming hall), invece, per avere le «macchinette», devono avere «una superficie non inferiore a 50 metri quadrati» e rispettare il parametro di «un apparecchio ogni 3 metri quadrati».

Giro di vite sulle pubblicità
Scatterà invece immediatamente l’aumento dal 6 all’8% della cosiddetta «tassa sulla fortuna», il prelievo introdotto dal 2012 su giochi numerici, lotterie istantanee e videolottery. La bozza del decreto sui giochi non ha ancora però identificato la soglia di vincita oltre la quale scatterà il prelievo: attualmente è fissata a 500 euro. In arrivo anche una nuova stretta sulla pubblicità: oltre a recepire le norme già in vigore (introdotte con un decreto del governo Monti) che vietano gli spot durante e mezzora prima e dopo programmi destinati ai minori – in tv, in radio, al cinema – si aggiunge infatti lo stop anche in fascia protetta, tra le 16 e le 19. Fatta eccezione per i canali e le trasmissioni sportive o quelli dedicati al gioco.

Giochi, a rischio 700 milioni per il Tesoro

Giochi, a rischio 700 milioni per il Tesoro

Andrea Bassi – Il Messaggero

Il fuoco che covava sotto la cenere sta per divampare. Prima ci sono state le proteste dell’Acadi, l’associazione che raggruppa i concessionari delle slot machine, che ha acquistato pagine di giornali per protestare contro la tassa di 500 milioni imposta dal governo sul settore con la legge di stabilità. Adesso è il turno dei bookmaker esteri, una rete di circa 7 mila punti considerata illegale dai Monopoli. Sempre nella legge di bilancio, il governo ha introdotto per loro una sorta di sanatoria. Il pagamento di una tantum di 10mila euro a punto scommessa più le tasse non versate, per emergere dalla zona grigia.

Il tempo per aderire all’offerta è stretto, scade dopodomani. Ma, come riporta l’agenzia specializzata Agipronews, tutti i big del settore hanno dato indicazione ai loro affiliati di non accettare il patto offerto dallo Stato. Ha detto no Stanley-Bet, l’operatore inglese che da anni ha in piedi un contenzioso con lo Stato italiano. Ha detto no Sks365, e ha chiuso le porte in faccia ai Monopoli anche Betuniq. Questi tre operatori, da soli, costituirebbero oltre la metà del mercato grigio italiano. Senza di loro, insomma, la sanatoria del governo Renzi rischia di essere un flop. Un problema che rischia di ripercuotersi a breve anche sui conti pubblici. Nel 2015, dall’operazione di regolarizzazione, sono attesi 220 milioni di euro. I primi 35 milioni sarebbero dovuti arrivare nelle casse dello Stato già alla fine del mese, il 31 gennaio, data prevista per il versamento della una tantum di 10mila euro. Secondo Betuniq il governo ha ignorato la richiesta della Corte di Giustizia Europea di permettere agli operatori stranieri, con licenza di uno stato Ue, di «operare in Italia». Sulla stessa linea Stanley-bet, che ha bocciato la manovra definendola «una finta sanatoria, finalizzata in realtà a privare i centri scommesse dei diritti acquisiti dopo 15 anni di battaglie giudiziarie». «Forse››, ha commentato Maurizio Ughi, amministratore di Obiettivo 2016, «sarebbe stato più logico che la sanatoria venisse fatta verso i bookmaker e non verso i punti vendita. Non mi stupisco», ha aggiunto, «che gli operatori abbiano detto di no». Il punto è che lo schiaffo dei bookmaker avviene in un passaggio delicato per il mondo dei giochi.

Tra qualche giorno il capo dei Monopoli, Luigi Magistro, lascerà il suo incarico per assumere quello di commissario per il Consorzio Nuova Venezia. Il suo posto potrebbe essere preso da Alessandro Aronica, attuale direttore del personale delle Dogane, che sul suo tavolo troverà una serie di questioni irrisolte. Buona parte delle coperture della manovra del governo Renzi sono state costruite sul settore dei giochi. Oltre ai 220 milioni della sanatoria, ci sono i 500 milioni della nuova tassa sui concessionari delle slot, 350 milioni della gara per il gioco del Lotto, e altri 540 milioni per le sanzioni alle slot scollegate. Ma molti di questi introiti rischiano di rimanere sulla carta. A partire proprio dai 500 milioni della tassa che colpisce l’intera filiera delle slot machine. In questo caso il problema è strettamente finanziario. La tassa va anticipata dai concessionari. Ma la maggior parte degli operatori, molti partecipati da fondi stranieri, non ha disponibilità per pagare una somma che in alcuni casi può risultare superiore ai fatturato. Le uniche con le spalle larghe in grado di sostenere l’onere, sarebbero le big come Lottomatica e Sisal. Ma c’è il rischio di una cannibalizzazione dell’intero settore. Un esito che il governo non vorrebbe, e che avrebbe causato irritazione nei confronti dei Monopoli dove la norma è nata, tanto che al Tesoro si sta valutando di sostituire la tassa da 500 milioni con un aumento di due punti percentuali del prelievo unico erariale sui giochi.

La carica delle slot 2.0, raccolgono soldi in Italia e pagano le tasse all’estero

La carica delle slot 2.0, raccolgono soldi in Italia e pagano le tasse all’estero

Alessandro Barbera – La Stampa

A Bolzano, dove il gioco l’hanno dichiarato illegale tout court con una grida di stampo manzoniano, nei bar si trovano ormai solo quelli. Si chiamano «totem», e somigliano in tutto per tutto a bancomat per il prelievo di contante. All’ultima fiera del settore, a Roma, sono andati a ruba. Ne vendevano di ogni tipo: neri o colorati, multitouch, con distributore di gettoni o ricariche per cellulare. Per quanto tentino di camuffarle, altro non sono che macchine per il gioco on line: poker, gratta e vinci, scommesse sportive. Non sono le slot machine tradizionali, quelle macchine protagoniste di una querelle iniziata ai tempi di Vincenzo Visco su quanto dovessero versare al fisco. I «totem» non sono collegati alla rete dei Monopoli, non sono gestiti dai concessionari italiani, non pagano le tasse in Italia. I totem sono collegati a internet, e pagano le tasse dove sta il concessionario che le gestisce. Poco importa se in un paradiso fiscale, in Gran Bretagna o a Malta. Un ordine del giorno presentato alla Camera pochi giorni fa ha chiesto al governo di «rafforzare gli interventi repressivi», nel timore che finiscano per far crollare il gettito dei concessionari italiani.

Per capire il perché di questa esplosione occorre leggere un passaggio dell’articolo 44 della legge di Stabilità, quello che aumenta per quasi un miliardo il prelievo sulle slot machine dei concessionari italiani. «In attesa del riordino della disciplina in materia di giochi pubblici» e «per assicurare parità di condizione fra imprese che offrono scommesse per conto dello Stato e persone che offrono comunque scommesse con vincite in denaro»›…segue una lunga lista di disposizioni. In sintesi: i totem non sono autorizzati, ma nemmeno del tutto illegali. Basta scorrere la lunga serie di dissequestri avvenuti negli ultimi mesi: a Bolzano, a Venezia, Roma, Castel di Sangro, Catania. La Guardia di Finanza chiude i centri, il giudice non convalida. La ratio è la stessa che già nel 2012 aveva permesso il dissequestro di un centro scommesse di Stanleybet, la multinazionale inglese con sede a Liverpool. In quel caso il giudice sottolineò l’«assoluto dispregio delle regole comunitarie nella distribuzione delle concessioni».

Nel settore dei giochi, come già è accaduto nel caso di Google, tracciare il confine fra ciò che è italiano e ciò che non lo è a fini fiscali è sempre più difficile. Lo dimostra la soluzione kafkiana scelta dall’articolo 44 per una delle sanzioni da infliggere a chi installa un totem: non è pagata per l’apparecchio cosiddetto «abusivo», ma per ciascuno degli apparecchi installati e dotati di regolare concessione. La norma sembra folle ma non lo é: serve a dissuadere i gestori delle macchine dal far installare apparecchi «legali» negli stessi spazi dei totem.

Fino a che lo Stato non riuscirà a farsi pagare le tasse dai gestori stranieri non resta che farne pagare di più a chi ha una concessione in Italia. L’articolo 44 aumenta la tassa a carico delle vincite fino al 9 per cento per le videolotterie (oggi è al 5 per cento, tre anni fa era del 2), al 17 per cento (oggi è del 12 per cento) per le altre macchine come ad esempio il videpoker: per i concessionari italiani significherebbe azzerare o quasi i margini. Per limitare l’impatto dell’aumento, il governo propone di abbassare la vincita a chi gioca, riducendo la percentuale minima dal 75 al 70 per cento. C’è un ma: la revisione delle quote significa intervenire sul software di ciascuna slot. Secondo Fabio Schiavolin di Cogetech per adeguare le macchine sono necessari «da un anno a un anno e mezzo»: il rischio è quello di un nuovo maxicontenzioso. Confindustria stima che nel frattempo saranno stati persi 75mila posti di lavoro e fino a un quarto del gettito fiscale. Non un grande affare.

Azzardo, la “logica” dei monopoli

Azzardo, la “logica” dei monopoli

Leonardo Becchetti – Avvenire

Qualcuno ha considerato per un bel po’ noi italiani la “tribù con l’anello al naso”, l’unica tra tutti i Paesi del mondo destinata a beccarsi senza reagire, cioè senza alzare argini, slot machine in (quasi) tutti i bar del proprio territorio nazionale. Sappiamo poi come è andata. Diverse realtà sociali (tra cui il movimento SlotMob sostenuto dalla campagna d’informazione di “Avvenire”) hanno reagito contro l’imbarbarimento e il crescere del distruttivo fenomeno della ludopatia, ovvero del gioco d’azzardo compulsivo. E hanno spinto la classe politica del Paese a cercare un equilibrio diverso che superi errori e contraddizioni evidenti. Come quella di un vizio – il fumo – per il quale facciamo fuoco e fiamme mettendo messaggi di morte sui pacchetti di sigarette per spaventare gli acquirenti, mentre un altro vizio – il gioco d’azzardo – invece lo pubblicizziamo ingannevolmente a ogni piè sospinto, e persino come panacea per ogni problema economico-esistenziale, attraverso tutti gli schermi (tv pubblica in primis) e con pubblicità su magliette di squadre di calcio e pompe di benzina. La proposta di legge che è stata finalmente articolata si fonda su tre punti essenziali: divieto di pubblicità, distanza minima da luoghi sensibili (scuole, oratori…) degli apparecchi e introduzione di sistemi per rendere obbligatoria l’identificazione dei giocatori (tessera sanitaria) anche per evitare il rischio riciclaggio.

Un’iniziativa di buon senso, che dopo lo stralcio di misure analoghe da provvedimenti precedenti anche il governo – l’allora sottosegretario Legnini lo ha dichiarato proprio a questo giornale – si è impegnato a realizzare entro la fine del 2014. Limiti giusti, ma davanti ai quali gli stregoni della “tribù con l’anello al naso” agitano oggi lo spauracchio del «danno erariale» e del «danno irreparabile al Pil» e alle entrate fiscali paventando 9-13 miliardi di perdita per le casse dello Stato. «Da far tremare i polsi», fa eco qualche solerte cronista che ha ripreso altrettanto preoccupato la nota dei Monopoli di Stato che formulava l’inquietante previsione. Quando i tacchini fanno l’analisi costi-benefici del “Giorno del ringraziamento”, o gli agnelli del pranzo pasquale, è legittimo il sospetto che le preoccupazioni siano lievemente esagerate. E la nota in questione non fa eccezione. Come è possibile preventivare un «danno» così elevato quando l’azzardo tramite slot machine (AVT e WLP) ha portato nel 2013 – come ci ricorda la stessa Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – a entrate fiscali per circa 4,3 miliardi?

Approfondendo la nota, il mistero si fa più fitto quando leggiamo le prime cifre. L’agenzia è molto preoccupata per la «riduzione» di entrate da azzardo che quantifica per l’anno in corso nella (molto minore) cifra di 200 milioni che addebita a tre principali fattori: la recessione, l’aumento del prelievo sui giochi (mirabile esempio di “curva di Laffer”, cioè di minore gettito per una presunta spinta a evadere) e l’entrata in vigore delle prime disposizioni regionali sulla distanza minima delle slot dai luoghi sensibili (Trentino Alto Adige, Veneto, Liguria, Lombardia, Puglia). Dovendo dividere l’effetto in tre parti (non sappiamo in mancanza di analisi ad hoc se eguali o no), fate voi il conto dei terribili effetti sulle casse pubbliche di quanto deciso sinora in materia di contrasto alla famigerata ludopatia. Spulciando la nota arriviamo finalmente al dunque e scopriamo cosa partorisce la terribile previsione e come può il topolino (la perdita di 200 milioni diviso tre) partorire la montagna (la perdita attesa di 9-13 miliardi). La fosca previsione dell’Agenzia è che gli operatori del settore impiegheranno tre anni a sostituire le macchine attuali con quelle dove è necessario dare i dettagli della propria tessera sanitaria per giocare. E che in questi tre anni tutto si fermi. 4 per 3 fa 12 e il gioco è fatto.

Che nell’economia del terzo millennio esista un settore produttivo (!) che impiega tre anni per introdurre una piccola modifica negli apparecchi è veramente poco credibile (senza contare l’effetto keynesiano della rottamazione delle vecchie macchine e della sostituzione con le nuove). Per disinnescare la fosca profezia basterebbe introdurre una norma transitoria che consente nell’intervallo che precede l’introduzione delle nuove macchine (6 mesi? un anno?) di continuare a utilizzare le vecchie e il gioco (d’azzardo) è fatto. E pure i danni che produce (esistenziali, sociali ed economici) sono purtroppo garantiti. Anche se questi ultimi l’Agenzia ministeriale si guarda bene dal sottolinearli e, anzi, tende – più ancora che a sminuirli – a ignorarli completamente.

Si perfeziona, così, il giochino di sottometterci a un Pil che ha uno sguardo strabico sulla felicità dei cittadini ed è sempre più taroccato da “beni” che a essa non contribuiscono. Un giochino molto pericoloso… Se il metro fosse davvero questo, dovremmo fare molta attenzione. Battersi per ridurre la dipendenza da gioco d’azzardo e droghe e per impedire contrabbando e la tratta delle donne destinate alla prostituzione non sarebbe da considerare un impegno teso a migliorare la qualità delle relazioni interpersonali (e anche tra gli Stati) nonché a produrre una riduzione delle spese di difesa e sicurezza, ma una minaccia. Se tutte queste “cattive notizie” – meno azzardo, meno droghe, meno traffici di merci illegali e di persone – accadessero insieme, secondo la “logica” dei Monopoli, saremmo veramente rovinati. Chi risarcirebbe il danno erariale?