Il futuro dell’Europa e il dilemma di Thomas Mann

Giovanni Scanagatta – Il Sole 24 Ore

Il Terzo Rapporto UCID 2013/2014 “La coscienza imprenditoriale nella costruzione del bene comune” (Libreria Editrice Vaticana, 2014) afferma che per il nostro futuro abbiamo bisogno di più Europa e non di meno Europa, ma di una Europa diversa. È più che mai valido il vecchio dilemma di Thomas Mann: si riuscirà ad abbandonare l’idea di «un’Europa tedesca» per sviluppare invece una «Germania europea», più aperta alle esigenze degli altri popoli?

I destini dell’Italia e della Germania sono incrociati e i tedeschi sono il nostro primo partner commerciale. Ma un tasso di cambio dell’euro rispetto al dollaro più vicino a 1,50 che a 1,00, risponde certamente molto di più agli interessi della Germania che a quelli dell’Italia.

Nonostante queste condizioni ed altre fortemente penalizzanti come il fisco e la burocrazia asfissiante, le nostre imprese riescono ad esportare circa il 30% del prodotto interno lordo, una percentuale simile a quella della Cina.
Dal 2000, la nostra competitività rispetto alla Germania in termini di costo del lavoro per unità di prodotto (clup) è molto penalizzata, in relazione ad una dinamica della produttività molto bassa.

Migliora invece in modo notevole la nostra competitività rispetto alla Germania, se misurata rispetto ai prezzi alla produzione, mediante la contrazione dei margini di profitto che però non è sostenibile nel medio-lungo periodo perché viene intaccato il risparmio di impresa e le possibilità di accumulazione e sviluppo.
Un ruolo cruciale, ai fini della competitività, gioca la qualità delle esportazioni italiane decisamente superiore a quella delle esportazioni tedesche. In questi ultimi anni, il contributo delle nostre esportazioni nette alla crescita del prodotto interno lordo è stato largamente positivo, a fronte di un contributo negativo della domanda interna per consumi e investimenti. Senza il contributo delle esportazioni, la crescita della nostra economia sarebbe precipitata su valori negativi pericolosi.
Di fronte a questo quadro e a quello altrettanto difficile dei paesi del Sud dell’Unione europea, la Germania deve essere più europea e meno rigida sulla moneta e sui parametri di Maastricht, soprattutto quelli fiscali (deficit e debito pubblico rispetto al Pil), per favorire la crescita e l’occupazione, soprattutto quella giovanile. Nel nostro paese il tasso di disoccupazione giovanile ha superato il 40 % e nel Sud il 60 per cento.

Un tasso di cambio dell’euro rispetto al dollaro vicino alla parità, darebbe una forte spinta alle nostre esportazioni e alla crescita, senza temere per i prezzi perché ora siamo in deflazione. Per il futuro dell’Europa abbiamo bisogno di leader, come è avvenuto all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, con la nascita della Ceca e poi del Mercato Comune, ad opera di statisti illuminati dal cristianesimo come Adenauer, De Gasperi e Schuman. Altrimenti, come stiamo vedendo, prevalgono i burocrati della Commissione europea che ingessano e soffocano tutto con un eccesso di regole e direttive.

Dicevamo prima che i destini dell’Italia e della Germania sono incrociati, anche se gli italiani non amano i tedeschi ma ammirano la Germania, mentre i tedeschi non ammirano gli italiani ma amano l’Italia, come è avvenuto per Goethe e oggi per Angela Merkel che sceglie Ischia per le proprie vacanze. La Germania ha veramente una grandissima responsabilità verso l’Europa. Molti sono coloro che non la ritengono all’altezza del compito: a cominciare dal filosofo tedesco Habermas. Volenti o nolenti, dobbiamo riporre le nostre speranze nella Germania. Se poi la Germania non volesse o non potesse realizzarle, sarebbe un disastro per tutti, a cominciare dai tedeschi destinati a soccombere, ancora una volta, ai sogni di grandezza.