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Le tasse dei politici e quelle di chi lavora

Le tasse dei politici e quelle di chi lavora

Nicola Porro – Il Giornale

Una pena è giusta se proporzionata al reato commesso. È un principio banale, che gli italiani hanno insegnato al mondo, ma che da anni dimenticano alla ricerca del gesto esemplare. Ciò avviene per due spinte contrapposte: quella dei cosiddetti conservatori, poco indulgenti verso i reati comuni, e quella dei progressisti, assatanati (forse per reazione) per i crimini dei colletti bianchi. Entrambi gli schieramenti si trovano però insieme nella legislazione di emergenza: succede un qualche disastro e i nostri eroi rispondono con pene esemplari alla ricerca del capro espiatorio e per allontanare da sé l’ombra della responsabilità e dell’inattivismo.

In Italia una bottega del barbiere rischia di essere sottoposta alla stessa disciplina di uno stabilimento dell’Eni nello smaltimento dei propri rifiuti. Una piccola impresa deve seguire le stesse procedure sulla sicurezza di un’industria siderurgica. Ovviamente per rispondere a disastri ambientali del passato e a fobie ambientaliste del presente. O per contrastare morti sul lavoro sull’onda di un fatto di cronaca. Oggi l’emergenza sono i nostri conti pubblici in rosso che si ritiene siano dovuti agli evasori fiscali (una favola), giù quindi a bastonare i presunti tali con norme micidiali. I politici, inoltre, si considerano dei fenomeni, stanno lì sui loro banchi e pensano che cittadini e imprenditori non possano sbagliare una virgola: applicano ai più piccoli il rigore che si ritiene dovuto ai più grandi che, proprio per le dimensioni, si possono (ancora per poco) permettere uffici e staff che controllano la correttezza burocratica e cartacea di tutto.

Vedete, questa settimana non si è parlato d’altro che del codicillo introdotto nella delega fiscale e che prevedeva la non procedibilità penale per chi commettesse evasioni fiscali inferiori al tre per cento dell’imponibile. Una norma ispirata al buon senso. Così come tutta la legge resta di buon senso, con numerose depenalizzazioni.

La legge delega approvata dal Parlamento prevedeva appunto un ritorno alla proporzionalità tra illecito e sanzione. Un certo eccesso di delega si può senz’altro riscontrare, poiché la previsione del tre per cento si applica anche alle frodi realizzate con la predisposizione di documenti falsi. E nell’articolo 8 della legge sembra proprio che questa previsione non sia contenuta. Resta il punto di sostanza. Si pensi al caso in cui un’azienda commetta un errore di competenza economica, o si deduca costi non inerenti (la questione come ben sanno le mini partite Iva è sempre opinabile) o ancora dichiari un reddito inferiore a quello contestato sulla base di una interpretazione diversa dell’amministrazione, ma anche al caso di omessa dichiarazione di redditi conseguiti in tutti questi casi, le polemiche apparse in questi giorni sono assurde, visto che dimenticano che l’evasore che viene pizzicato paga le imposte, gli interessi e le sanzioni amministrative. Questo famigerato articolo l9bis prevede addirittura, con una norma assai severa, che le sanzioni amministrative siano raddoppiate nei casi in cui opera la non punibilità penale. Il rischio, semmai, è che non si vada in galera, ma al tribunale fallimentare.

È fuori luogo parlare di un’area di impunità. C’è chi ad esempio fa il parallelismo con il rapinatore che sarebbe autorizzato a derubare senza sanzione penale se il bottino non fosse superiore al 3 per cento della cassa: ci si dimentica però che per la rapina, a differenza dell’evasione, non c’è una sanzione pari ad un multiplo del bottino (di regola da una a due volte le imposte evase), multiplo che l’articolo 19 bis prevede espressamente di raddoppiare (da due a quattro volte). Cosa è peggio per un presunto o potenziale evasore? Sapere che dopo qualche anno potrebbe finire per qualche mese in carcere o vedere sequestrati, in attesa di giudizio,i proventi dei suoi illeciti con gli interessi?Ma, soprattutto, cosa fa più comodo alle casse dello Stato, che tutti dicono di volere risanare?

Su questa norma è nato un putiferio legato alla questione Berlusconi, che se ne avvantaggerebbe. Sono fatti che «inzigano» i retroscenisti politici. Quello che qui vogliamo sottolineare è il riflesso condizionato dei nostri politici. Che non si rendono conto di come il mondo per gli invisibili sia diverso da come se lo raccontano loro. L apiù straordinaria è la deputata civatiana (sì, esistono anche loro) Lucrezia Ricchiuti, che ha subito proclamato: «In pratica questo codicillo ha detto che più sei ricco e più puoi evadere». Ma questa parlamentare sa che già oggi ci sono delle soglie di non procedibilità penale? E lei, come i tanti che le si sono associati, sa che anche per una piccola impresa avere accertamenti superiori al 3 per cento del proprio imponibile, purtroppo non è cosa rara?

Ps: si dice nei tam tam del Palazzo che tutta la delega fiscale, una corposa normativa, sia stata concordata con l’Agenzia delle entrate. E quest’ultima ha fatto subito sapere che alcune norme di depenalizzazione non le piacciono. Viene da chiedersi se sia così assurdo prevedere nel futuro che le leggi fiscali siano fatte dai politici con il consenso, la consultazione e le legittime pretese dei contribuenti e non dei loro esattori. Il governo deve seguire i desiderata delle sue agenzie prima di fare le norme o le richieste dei cittadini-contribuenti-elettori? Che ne pensa ad esempio di ciò l’onorevole, sottosegretario all’Economia, Zanetti, che nella sua passata vita da commercialista ha fatto tante rigorose battaglie contro i pregiudizi degli uffici governativi e fiscali?

Altro che tagli, tasse per 50 miliardi

Altro che tagli, tasse per 50 miliardi

Antonio Signorini – Il Giornale

«Questo Paese svolta in maniera definitiva dal punto di vista della pressione fiscale». Lo ha detto ieri il sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio, probabilmente nel tentativo di rassicurare contribuenti sempre più dubbiosi. Lo ha ribadito in serata dagli studi di “Che tempo che fa” il premier Renzi, rincarando la dose: «Con la legge di stabilità la pressione fiscale non è invariata, è diminuita», ha detto. Ma lo scetticismo sulla legge di Stabilità è del tutto fondato. Alimentato, più che da retroscena di gufi militanti, dai documenti ufficiali di governo e Parlamento. Il prospetto di copertura della prima «finanziaria» del governo Renzi, ad esempio, ci dice che nel 2016 e nel 2017, metteremo a posto i conti e non faremo più deficit, ma a un costo molto alto. Nel 2016 ci sono 31,7 miliardi di «nuove o maggiori entrate», che diventano 39,1 nel 2017. Sono in parte compensate, è vero, da «minori entrate», quindi da tagli di tasse, imposte e contributi rispettivamente per 9,4 e 9 miliardi. Ma il saldo resta da brividi: più di 20 miliardi nel 2016 e 30 nel 2017.

Nel conto della stangata fiscale futura ci sono soprattutto le clausole di salvaguardia. In altre parole, Bruxelles non vuole incertezze sui conti. Quindi, se una misura deve generare gettito o risparmi e ha effetti dubbi, a garanzia della cifra ci si mette un aumento di tasse certe. È il caso, famoso, delle accise sui carburanti, che potrebbero aumentare per coprire una entrata traballante da 1,7 miliardi, quella sul nuovo meccanismo di conteggio dell’Iva, messo in discussione dall’Ue. Poi ci sono le clausole che il governo Renzi ha ereditato dai precedenti esecutivi, che colpiscono l’Iva. Disinnescato l’aumento nel 2015, ritornano in grande stile dal 2016, quando è previsto un aumento dell’aliquota ordinaria dal 22 al 24% e di quella agevolata dal 10 al 12%. Nel 2018 l’imposta su beni e consumi, a legislazione vigente, dovrebbe arrivare rispettivamente a 25,5% e 13%. Solo le clausole, ha calcolato ieri Il Sole24Ore , a regime, cioè nel 2017, valgono otto miliardi di euro.

Ieri il testo della Stabilità è stato approvato senza modifiche dalla Commissione bilancio della Camera, nonostante i numerosi dubbi. «Abbiamo fatto un po’ di casini», ha ammesso lo stesso Renzi. Esulta il ministro Padoan che ringrazia «i senatori e lo staff del Governo, della Presidenza del Consiglio e del Ministero dell’Economia», ma i dubbi sul testo di legge rimangono. Ad esempio, sul credito di imposta del 10% sull’Irap a favore dei lavoratori senza dipendenti. Una modifica introdotta dal Senato per compensare un effetto indesiderato del taglio dell’imposta per le aziende. L’invito dei tecnici di Montecitorio di verificare la compatibilità con la norma europea ed «evitare eventuali procedure di infrazione», visto che «il beneficio è limitato a specifiche categorie di contribuenti». Problemi anche per lo stanziamento da cui si dovrebbero attingere parte dei 535 milioni di euro da dare alle Poste, per dare attuazione alla sentenza dell’Ue. Il fondo è quasi vuoto. Dubbi anche sul nuovo modo di pagare l’Iva (il cosiddetto reverse charge) che, come detto, è anche incerto per quanto riguarda gli effetti finanziari. Sotto la lente dei tecnici anche la platea dei beneficiari del credito di imposta, che potrebbe essere non aggiornata.

Nonostante il testo licenziato dal Senato sabato notte sia blindato, in Commissione Bilancio della Camera sono stati presentati circa 130 emendamenti. Dopo un primo esame ne sono restati solo 80. Il presidente Francesco Boccia ha dichiarato infatti inammissibili 50 proposte arrivate al testo da M5S, Forza Italia e Sel. Il Movimento 5 stelle ha trasmesso via Youtube la seduta domenicale della commissione Bilancio, con una diretta «clandestina». L’intenzione del governo è e arrivare all’approvazione definitiva della legge di Stabilità in Aula entro martedì, comunque «prima di Natale», perché bisogna «dare segnali di stabilità», ha spiegato il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta.

Mancano 700 milioni e Renzi senza fantasia ci aumenta la benzina

Mancano 700 milioni e Renzi senza fantasia ci aumenta la benzina

Antonio Signorini – Il Giornale

Non basterà il prezzo del petrolio ai minimi da cinque anni a rendere più piacevoli le festività agli automobilisti. Le brutte notizie per chi è costretto a fare il pieno arriveranno, tanto per cambiare, dal fisco italiano.Come ha ricordato ieri la Cgia di Mestre, dal primo gennaio scatterà una delle tante clausole di salvaguardia. Questa volta farà aumentare le accise sui carburanti di 1,8 centesimi al litro, 2,2 cent considerando l’effetto dell’Iva. Cifra approssimativa perché dovrà essere un provvedimento dell’Agenzia delle dogane a stabilire l’esatta quantificazione in modo da reperire 671 milioni nel 2015 e 17,8 milioni di euro nel 2016. Servono a coprire l’abolizione dell’Imu sull’abitazione principale decisa nel 2013. Doveva essere finanziata dall’Iva sui pagamenti della pubblica amministrazione e da un giro di vite fiscale sui giochi, ma non è bastato. Il greggio è sceso sotto i 64 dollari, però – ha osservato il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi – «in Italia il prezzo dei carburanti alla pompa rimane ancora molto elevato», grazie a un’imposizione fiscale che «non ha eguali in Europa». Una gallina dalle uova d’oro il portafoglio degli automobilisti, tanto che in quattro anni i ritocchi all’insù sono stati ben nove.

Se il grande fratello fiscale mette gli occhi sul mattone

Se il grande fratello fiscale mette gli occhi sul mattone

Francesco Forte – Il Giornale

La disoccupazione è volata in ottobre al 13,2%. Quella giovanile è salita al 43,3. La pressione fiscale eccessiva, la sua distribuzione sbagliata, le tecniche vessatorie di accertamento attuate dai tre governi succeduti a Berlusconi hanno generato disoccupazione e bloccato il Pil fra recessione e stagnazione. E il Pil quest’anno decresce dello 0,3%, per il brusco peggioramento del secondo semestre, mentre nel 2015 si recupera solo lo 0,3 perso nel 2014. L’Italia non è solo fra gli stati con la più alta pressione fiscale del mondo, con il 44% del Pil. Ha anche una distribuzione sbagliata del carico fiscale e aliquote eccessive che riducono il gettito, distorcono l’economia, bloccano la domanda interna ed estera e creano tutti i presupposti per la disoccupazione.

Monti, Letta e Renzi hanno commesso un errore fiscale enorme inasprendo di continuo la tassazione di immobili e rendite finanziarie, mentre la teoria della crescita in economia di mercato dice che le imposte sui capitali sono particolarmente dannose. Ora noi abbiano il record della tassazione patrimoniale che arriva al 3% del Pil, contro lo 1,8 della media Ocse (l’organizzazione economica mondiale che include gli stati sviluppati) e lo 1,7 dell’Unione europea. Nel 2011 eravamo sulle medie Ocse ed europee.

Il brusco balzo in avanti non solo ha creato la crisi edilizia e la connessa perdita di Pil e di occupazione. Ha anche indebolito le banche perché i loro parametri patrimoniali, al netto delle sofferenze (molto aumentate per la crisi edile) sono peggiorati. In più, la riduzione del valore degli immobili ha ridotto le garanzie della clientela, con aumento del rischio di credito. Situazione aggravata dall’esodo di capitali, stimolato della fiscalità su immobili e rendite finanziarie e dal fatto che i possessi patrimoniali diventano sempre più la base per le verifiche fiscali.

Adesso, con l’emendamento alla legge di Stabilità, promosso dal governo, per cui i dati bancari vengono incrociati automaticamente con quelli dell’Agenzia delle entrate, si ha una spinta alla riduzione degli impieghi di denaro nei depositi e nei portafogli gestiti dalle nostre banche, un aumento dei flussi contante e di quelli all’estero. Renzi ha preferito erogare 80 euro in busta paga che eliminare l’Irap sul costi del lavoro, per la generalità delle attività economiche. Ha finanziato le sue operazioni di consenso sociale con l’inasprimento fiscale sui patrimoni, non solo con la Tasi e l’unificazione di essa con l’Imu e la tassazione al 26% sulle rendite finanziarie, ma anche con quella sulla previdenza integrativa.

Questa manovra di presunta equità sociale doveva generare crescita e occupazione ma ha avuto l’effetto contrario. Non serve il «Grande fratello fiscale» per dare più entrate. Occorre ridurre le aliquote. Ad esempio, le vendite di immobili sono tassate con imposte di registro del 9%. E ciò ingessa il mercato. Le maggiori imposte sul risparmio e le aspre aliquote progressive di tassazione sul reddito falcidiano le classi medie. Ciò mentre le classi di reddito più alte sfuggono all’alta tassazione, tramite la globalizzazione finanziaria. Sulle imprese italiane grava un peso fiscale differenziale a causa dell’Irap, che distorce la nostra competitività. Riducendo le aliquote ci sarebbe più gettito dal flusso di attività che si genererebbe. E la gente, pagando i tributi penserebbe di pagare il dovuto.

Guerra aperta agli immobili: 20 miliardi di tasse in 4 anni – Il Giornale

Guerra aperta agli immobili: 20 miliardi di tasse in 4 anni – Il Giornale

Gian Maria De Francesco – Il Giornale

L’aggressione sulla casa ha due volti, entrambi mostruosi. Quello più noto è rappresentato dai 20 miliardi di tasse in più che gli italiani sono stati costretti a pagare negli ultimi quattro anni a causa dell’accanimento dei governi Monti, Letta e Renzi sulla proprietà immobiliare. A colpi di Imu, Tasi e Ici si è passati dai 9 miliardi di prelievo del 2010 ai 28 miliardi stimati da Confedilizia per quest’anno.

Il volto nascosto di questo raptus autopunitivo lo svela il Centro Studi ImpresaLavoro: il mercato italiano delle costruzioni sta segnando performance che collocano l’Italia agli ultimi posti in Europa. È chiaro che, in questo modo, si frustrano molte possibilità di agganciare la ripresa ove mai si presentasse. Ecco perché il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, ancora ieri è ritornato sull’argomento. «La casa è colpita da tasse che tre governi non eletti dai cittadini hanno moltiplicato per tre», ha detto nel corso dell’intervento a La telefonata su Canale 5. «La casa per Forza Italia è sempre stata qualcosa di sacro: è un pilastro su cui ogni famiglia ha il diritto di costruire la sicurezza del suo futuro», ha aggiunto ricordando che «tagliare le tasse sulla casa non solo è possibile, ma è doveroso». Un segnale di battaglia in vista del No Tax Day azzurro del prossimo fine settimana che sarà incentrato su questo tema.

L’analisi del Centro Studi ImpresaLavoro, però, offre uno spaccato della propensione «suicida» del nostro Paese nei confronti dei competitor europei. L’aumento della tassazione, infatti, ha bloccato il settore e, dal 2011 a oggi, si è perso il 30% del valore della produzione. In Europa solo Cipro, Portogallo e Grecia hanno registrato andamenti peggiori di quello italiano e non è un caso che si tratti di Paesi profondamente segnati dalla crisi del debito sovrano. Se si guarda alle aree più sviluppate del Vecchio Continente, si osserva come la Francia, nello stesso periodo, abbia registrato un arretramento del 5,1%, il Regno Unito del 3,2%, mentre la Germania ha visto un lieve incremento (+0,6%). La performance della Spagna è la migliore tra le grandi economie europee: +18,9 per cento. L’Italia è ampiamente al di sotto della media dei 27 Paesi dell’Unione Europea poiché il -29,3% cumulato si confronta con una media del -5 per cento. Insomma, non solo si sono massacrati i contribuenti, ma si è resa l’intera nazione più debole.

Crollano, di conseguenza, anche le ore lavorate, l’indicatore che misura con maggior precisione l’andamento dell’occupazione di questo settore. In Italia nel 2014 si sono lavorate nel settore costruzioni un terzo delle ore in meno rispetto al 2011 (-28,9%). La Francia ha perso solo il 4,2%, mentre gli incrementi hanno interessato Regno Unito (+3,7%), Spagna (+1,4%) e Germania (+0,9%). Un effetto della perdita dei due terzi di permessi di costruzione (-63% nel triennio) a causa della recessione autoindotta nel comparto. Dunque, non bisogna con evidenti ripercussioni sull’occupazione e il numero di lavoratori lasciati a casa dalle aziende in crisi. «I governi Monti, Letta e Renzi hanno trasformato la casa da “bene rifugio” in “bene incubo”», commenta il presidente di ImpresaLavoro, Massimo Blasoni. I numeri non fanno che confermarlo.

Quel disastro statalista che suona da lezione per l’economia europea

Quel disastro statalista che suona da lezione per l’economia europea

Carlo Lottieri – Il Giornale

Le notizie (preoccupanti) riguardanti l’economia giapponese hanno fatto crollare l’indice della Borsa di Tokio e aperto una fase politica nuova. È possibile che per il premier Abe non ci siano più molte chance e che presto il Giappone volti pagina. Sono però vent’anni che quella che era la seconda economia globale è in difficoltà. Il Paese del Sol Levante adotta da tempo tassi di interesse bassissimi, talora anche nulli, e utilizza il ricorso al debito pubblico con spregiudicatezza. Lo sfascio giapponese è allora interessante perché noi ci troviamo in una situazione simile, con la Bce che adotta una strategia di espansione monetaria (tassi egualmente vicini a zero) e un debito nazionale che ormai è pari al 134% del Pil.

In questo quadro, quanto ci viene da Tokio conferma le tesi di studiosi come Mises e Hayek, e spiega in che modo una società di successo, che negli Anni ’70 sembrava minacciare il primato americano (fino a innescare spinte protezioniste negli Usa), debba fare i conti con un processo di impoverimento. La spesa pubblica abnorme, che ha generato un debito folle, e un troppo facile accesso al credito indirizzano chiunque verso cattivi investimenti: ciò produce fasi di espansione artificiosa, a cui fanno seguito aggiustamenti talora assai dolorosi. In qualche modo, l’interventismo che genera deficit e la politica monetaria espansiva sono due pilastri del keynesismo: e le difficoltà del Giappone sono la conseguenza di un’economia in cui il ruolo del privato si restringe e la moneta è manipolata dalla Banca centrale.

Ma la situazione dell’Europa e in particolare dell’Italia è simile, così che sul disastro di quella che era un’ economia potentissima bisognerebbe riflettere attentamente. Ogni società cresce se quanti producono ricevono indicazioni corrette dall’ambiente in cui operano. Per ragioni diverse ma convergenti, la dilazione del settore pubblico estranea a logiche economiche e tassi che non riflettono le vere esigenze dell’economia, finiscono per indurre anche i soggetti privati a comportamenti poco responsabili. Esaltato dagli economisti della sinistra nostrana, il Giappone è allora oggi in ginocchio perché i suoi responsabili politici hanno intralciato il libero mercato e hanno distorto i prezzi. Le conseguenze le vediamo. In effetti, lo statalismo impedisce ai prezzi di trasmettere le informazioni corrette: come constatammo bene quando, in assenza di ticket, i farmaci erano gratuiti e assistemmo a un sovraconsumo irragionevole. Lo si è visto anche nella crisi Usa dei sub-prime, quando interessi artificiosamente bassi hanno spinto ad acquistare una casa pure quanti erano privi di adeguati redditi. La crisi giapponese mostra dove conduce lo statalismo. C’è da sperare che qualcuno, da noi, apprenda la lezione.

Il piano segreto dell’Europa: saccheggiare i nostri risparmi

Il piano segreto dell’Europa: saccheggiare i nostri risparmi

Gian Maria De Francesco – Il Giornale

Un’«euro-rapina» sui conti correnti? Potrebbe accadere e i poveri risparmiatori subirebbero una mazzata con pochi precedenti (tra i quali il prelievo forzoso notturno del 1992 effettuato dal governo Amato). E, soprattutto, è quello che teme il focoso europarlamentare leghista, Gianluca Buonanno, che ha presentato un’interrogazione scritta alla Commissione Ue e alla Bce per chiedere di confermare «l’esistenza di un piano di misure adottato nel luglio 2014» secondo il quale, come già sperimentato a Cipro, «sarebbe prevista l’imposizione di misure d’urgenza che consentirebbero il congelamento dei conti correnti bancari dei cittadini e delle imprese europee e il prelievo forzato delle somme ritenute necessarie a fronteggiare l’esposizione debitoria».

Ma la domanda che pone Buonanno è anche un’altra: «la Bce ritiene che il rischio di default sia concreto a tal punto da permettere l’adozione di un tale piano?». La risposta non è semplice: anche se le crisi si presentano sempre in forme diverse, l’opera di prevenzione (anche se l’Ue ha raggiunto soglie maniaco-depressive) può rappresentare un aiuto. Tuttavia quando si ascoltano le parole del capo economista di Standard & Poor’s, Jean-Michel Six, l9o shock è fortissimo. «La ripresa economica ha perso molto slancio e, avvicinandoci al 2015, nell’Eurozona sono aumentati i rischi di una terza recessione dopo il 2009 e il 2011», ha detto.

I quesiti aumentano. Perché il presidente della Bce, Mario Draghi, e soprattutto le istituzioni italiane – pubbliche e private – in questi mesi hanno messo l’accento sulla creazione di una bad bank , cioè di un ente che si faccia carico dei crediti deteriorati degli istituti (in Italia hanno superato i 180 miliardi) per ripulire i bilanci e consentire una migliore sopravvivenza del sistema? Perché la principale banca italiana, Intesa Sanpaolo, ha scaricato dal portafoglio 17 miliardi di Btp? Qui rispondere è più facile: hanno ripreso valore e ha guadagnato, la Bce li penalizza e, se la recessione proseguisse, meglio stare leggeri. Perché allora Buonanno lancia questo allarme? «Mi è stato detto da fonti interne alla Commissione che esiste un documento nel quale si specifica che il prelievo sui conti correnti potrebbe arrivare al 10% delle giacenze», racconta sostenendo che «in ogni caso la Bce e la Commissione devono smentire se si tratta di una notizia falsa oppure confermarla».

Vale la pena di raccontare la storia per intero. Sin dall’anno scorso in sede comunitaria è stato approvato un piano d’azione per la «risoluzione ordinata delle crisi bancarie», contestuale alla nascita dell’Unione bancaria. I pilastri sono due. Il primo è il Single supervisory mechanism (Ssm), ossia la vigilanza unificata della Bce sulle più importanti banche europee. È stato istituito un organismo, sono state scritte delle regole sui requisiti minimi di solidità patrimoniale e sono stati condotti gli stess test che in Italia hanno bocciato Monte dei Paschi e Banca Carige. Il secondo pilastro è il Single resolution mechanism (Srm), ossia il dispositivo per i salvataggi in caso di crisi. La trattativa è stata complicatissima e si è conclusa solo nell’Ecofin di Lussemburgo dello scorso giugno. Come al solito ha vinto la Germania. È, infatti, passato il principio-guida del bail-in , cioè il salvataggio delle banche con mezzi propri. Se le cose vanno male, come accaduto a Cipro, pagano prima gli azionisti (con aumenti di capitale mostruosi) e poi gli obbligazionisti (con una rinegoziazione del debito). Se la situazione non migliorasse, sarebbero i correntisti con depositi oltre i 100mila euro a rimetterci. È prevista, inoltre, l’istituzione di un fondo unico finanziato dagli Stati membri (che raggiungerà la dotazione di 55 miliardi nel 2024) per tamponare le eventuali carenze di liquidità. È chiaro che i prestiti del fondo andranno comunque restituiti dalle banche con le modalità sopra descritte. I piccoli risparmiatori che volessero chiudere i conti prima che la propria banca fallisca potrebbero dover aspettare almeno 15 giorni fino al 2018. E, comunque, i derivati non si toccano!

Il vizio di torturare gli italiani sulla casa

Il vizio di torturare gli italiani sulla casa

Francesco Forte – Il Giornale

Il Catasto patrimoniale degli immobili, che il governo vara mediante un’apposita Commissione, non è, come si vuole far credere, un puro strumento tecnico di aggiornamento dei valori catastali, ma un nuovo strumento di tortura del contribuente. C’è, in questa idea del Catasto, un messaggio ideologico politico pericoloso: la tassazione dei patrimoni, anche indipendentemente dal reddito che se ne trae in denaro o con l’uso. Non c’è, sino ad ora, la tassazione dei patrimoni azionari o di quadri e gioielli, o di titoli a reddito fisso e depositi bancari, ma il principio generale è decollato partendo dagli immobili.

Si dà per ovvio che il Catasto edilizio debba essere sul valore patrimoniale di mercato. Ma non lo è. Infatti, il Catasto agricolo rimane basato sul reddito medio ordinario dei terreni. L’imposta principale sui fabbricati è attualmente l’Imu, a cui verrà unificata la Tasi. Poiché l’Imu è commisurata al valore patrimoniale degli immobili si dice che è ovvio che il Catasto accerti il loro valore di mercato. Ma ciò è errato. Infatti, in Italia c’è il principio che la tassazione deve basarsi sulla capacità contributiva, la Repubblica tutela il risparmio in tutte le sue forme e l’iniziativa privata è libera, salvo per i vincoli dell’utilità sociale. Da ciò viene che le imposte, che riguardano i patrimoni, li devono tassare in base al loro reddito: se non si tiene conto del diverso rendimento, ciò può dare luogo a tassazioni che intaccano il risparmio e il capitale. Dunque, il Catasto patrimoniale è contrario alla giustizia tributaria e alle regole fiscali dell’economia di mercato.

E c’è di peggio. Infatti, il nuovo Catasto non si baserà più sui vani, ma sulla superficie. Ciò darà luogo a distorsioni dannose per il nostro patrimonio immobiliare storico-artistico. E questo in quanto ci sono molte abitazioni, uffici e botteghe con spazi per corridoi e ingressi che nelle ultime costruzioni non si usano più. Non è facile modificare le case di una volta, sia per i costi che ciò comporta sia perché ciò contrasta con la loro tutela. Si afferma che l’aggiornamento del Catasto si farà con invarianza di pressione fiscale: qualche unità immobiliare pagherebbe di più, altre di meno, perché ciò è scritto nella Legge delega. Ma la norma sulla invarianza di gettito si può togliere, con un semplice decreto, dopo fatta la revisione. Anche con Matteo Renzi, il governo a guida Pd ha, come vessillo, la tassazione patrimoniale diffusa.

C’è un terzo pericolo: la Commissione che dirigerà le nuove valutazioni lo farà secondo una formula che non viene resa nota.Ciò non è accettabile.La collettività e il contribuente hanno diritto di conoscere la formula con cui viene accertata la capacità contributiva, onde sapere se è rispettata. Il sistema fiscale in democrazia deve essere certo trasparente, non imprevedibile e incomprensibile.

Il trucco: tassa nascosta per accontentare Bruxelles

Il trucco: tassa nascosta per accontentare Bruxelles

Antonio Signorini – Il Giornale

La lettera sulla legge di Stabilità inviata dalla Commissione europea e la relativa risposta del ministero dell’Economia di qualche giorno fa, erano missive a carico del destinatario, cioè del contribuente italiano. Il francobollo è arrivato ieri sotto forma di una clausola di salvaguardia che consiste in un possibile (e probabile) aumento delle accise sui carburanti da 728 milioni.

Questi i fatti. Il governo italiano, per andare incontro alle richieste di Bruxelles, ha promesso alla Commissione di alzare la correzione del disavanzo contenuta nella «finanziaria» dall’originario 0,1% allo 0,3%. Tra le coperture c’è un’estensione del nuovo meccanismo di pagamento dell’Iva, il reverse charge, a ipermercati, supermercati e discount alimentari. Incasso previsto, 728 milioni. Copertura un po’ traballante, quindi un emendamento del governo alla legge di Stabilità ha garantito la copertura con la più classica delle clausole di salvaguardia: un aumento delle accise. Nella legge c’era già una garanzia da 988 milioni, ora passa a 1,716 miliardi. Tutti a carico degli automobilisti. Ma ci sono brutte notizie anche per i fumatori di sigarette di fascia bassa. Ieri il governo, insieme alla riforma delle commissioni censuarie del catasto, ha varato il riordino delle accise, che dovrebbe portare un maggior gettito di circa 200 milioni. Sforzi notevoli ma forse non sufficienti, visto che il governo europeo potrebbe chiederci un’ulteriore correzione dei conti del 2015 da tre miliardi. Da cercare, manco a dirlo, con nuove tasse.

Con l’Ue il clima resta difficile, la procedura di infrazione è ancora sul tavolo, ma le tensioni non sembrano essere avvertite nel Parlamento, visto che gli emendamenti alla legge di Stabilità presentati in commissione Bilancio sono in gran parte tentativi di allargare i cordoni. Molti chiedono l’eliminazione dell’anticipo del Tfr, altri la deducibilità Imu per gli immobili delle imprese e modifiche all’aumento delle aliquote su fondi pensione e casse previdenziali private. Tutti all’insegna della maggiore spesa gli emendamenti del Pd. Dal partito del premier Matteo Renzi arrivano richieste per eliminare il taglio dei fondi ai patronati dei sindacati, 45 milioni a Roma Capitale e 700 milioni per gli ammortizzatori sociali. Da segnalare un emendamento Ncd per il ritorno all’obbligo dell’esposizione del bollo auto e quello della Lega Nord per regolamentare la prostituzione nelle abitazioni private.

Tutto questo mentre per l’economia italiana continuano ad arrivare segnali pessimi. Ieri su industria e competitività. Secondo l’Istat l’indice della produzione industriale di settembre è diminuito in termini tendenziali, quindi rispetto all’anno precedente, del 2,9%. Produzione in calo anche rispetto ad agosto: meno 0,9%. Un autunno freddissimo, quindi. A partire dal beni di consumo, che hanno segnato un calo del 3,2%. Colpa sicuramente della crisi, ma le zavorre che stanno tirando giù l’Italia sono problemi strutturali. Uno è la burocrazia che, secondo un’analisi della Confederazione nazionale dell’artigianato, costa alle Pmi circa 4,5 miliardi di euro all’anno. Ogni piccolo imprenditore deve sborsare un euro ogni 10 minuti, 6 euro all’ora, 48 euro ogni giorno lavorativo, 11mila euro all’anno. Si tratta, ha spiegato il presidente della Cna Daniele Vaccarino, di «una realtà, ci dispiace dirlo, distante anni luce dalla vita e dalle esigenze delle imprese». La confederazione ricorda che l’Italia risulta solo al 56esimo posto su 189 nella graduatoria dei Paesi dove è più facile fare impresa (Doing Business 2015 ), dietro a Germania, Francia, Spagna e Regno Unito, Stati Uniti e Giappone. E a vedere il continuo ricorso all’aumento delle tasse, si capisce il perché. La notizia non è che l’Italia è in crisi, ma che nessuno faccia niente, anche se le cause sono note.

La stangata delle tasse retroattive

La stangata delle tasse retroattive

Sergio Rame – Il Giornale

Non solo l’affanno di staR dietro a una pressione fiscale che strozza le imprese e frena la ripresa. Ma anche la beffa di nuove imposte che hanno effetto per il passato e acconti maggiorati che hanno titolo di anticipo. Negli ultimi anni – dal governo Monti in poi, tanto per intenderci – l’urgenza di far quadrare i conti pubblici ha aumentato le imposte retroattive. Tasse oggi, ma che si pagano “da ieri”. Il conto è salatissimo: 10 miliardi di euro.

Viene da chiedersi se il governo può prendersi gioco dei contribuenti in modo così spudorato. Ebbene sì. Come spiegano Cristiano Dell’Oste e Giovanni Parente sul Sole 24Ore, lo Statuto del contribuente vieta di introdurre imposte con effetto retroattivo. Ma in Italia c’è sempre un “ma” che rende possibile l’impossibile. Dal momento che lo Statuto del contribuente è regolamentato da una legge ordinaria, può essere benissimo superato da altre leggi o decreti legge. E il gioco è fatto. Tanto che l’ex premier Mario Monti ne ha fatto ampiamente uso. Tra le tante invenzioni del bocconiano ricordiamo i 2,2 miliardi in più di addizionale Irpef per l’anno d’imposta 2011. Niente male se si considera che si è insediato a Palazzo Chigi il 9 novembre del 2011, praticamente a fine anno.

Imparata la lezione da Monti, anche Matteo Renzi non è da meno. Prendiamo la legge di Stabilità che il parlamento sta approvando in queste settimane. Ebbene, tra le pagine della manovra spunta anche l’aumento dall’11,5% al 20% della tassazione sui rendimenti dei fondi pensione con effetti fiscali a partire dal primo gennaio del 2014. Un trucchetto che porterà alle casse dell’erario pubblico la bellezza di 450 milioni di euro in più. E ancora: il governo Renzi ha anche deciso di incrementare il prelievo sui dividendi incassati da fondazioni e trust e di ritoccare (all’insù, ovviamente) l’aliquota base dell’Irap. Quest’ultimo ritocchino, come fa notare il Sole 24Ore, “di fatto cancella lo sconto deciso con il decreto sugli 80 euro”.

Ma non ci sono solo tasse retroattive. L’ingegno della politica è senza limiti. E sempre negli ultimi tre anni ha creato ad hoc acconti maggiorati a titolo di “anticipo”. “Nel 2013, mettendo insieme i maxi-versamenti per le banche e le imprese – continuano Dell’Oste e Parente sul Sole 24Ore – lo Stato ha incassato quasi 3,7 miliardi di competenza degli anni d’imposta successiva”. Eppure nessuno grida allo scandalo. Nel 2014 il trend non è cambiato. Renzi si è affrettato a rastrellare tutti i 600 milioni di euro dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione dei beni d’impresa.