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Strangolati dalle tasse

Strangolati dalle tasse

Giancarlo Mazzuca – Il Giorno

Ha un nome quasi impronunciabile e incomprensibile, Alvin Rabushka, il guru americano capace di riannodare il dialogo nel centrodestra tra Lega e Forza Italia, ma ha le idee chiarissime. Già consulente di Reagan, l’economista americano è l’uomo della “flat tax” o tassa piatta: un’unica aliquota fiscale al 20% che avrebbe due grandi pregi: semplificare di molto il quadro fiscale – proprio in questi giorni gli italiani sono impegnati nella difficile corsa ad ostacoli per mettersi in riga con le scadenze di fine anno, nel “tax day” del 16 dicembre – e alleggerire il peso dell’imposizione che sta strozzando la nostra economia. Perché, come ci snocciola al telefono Maria Stella Gelmini, coordinatrice lombarda di Forza Italia, la tassazione ha raggiunto nel 2014 il 44% con un carico medio annuo, per ogni famiglia, di quasi 15.330 euro. Detta così, la “flat tax” sembrerebbe la scoperta dell ‘uovo di Colombo e non è un caso che ad avanzarla sia stata una testa d’uovo come Rabushka che ne ha parlato, l’altra sera ad Arcore, con Berlusconi e Salvini che ieri ha presentato il progetto in pompa magna.

La proposta, in realtà, era già stata elaborata, vent’anni fa, dal professor Antonio Martino che non era riuscito, peraltro, a portarla avanti. Oggi la situazione appare completamente cambiata: il cappio si e stretto in maniera insostenibile al collo degli italiani – senza considerare i guasti dell’euro, un’altra palla al piede – e, quindi, bisogna che il governo Renzi si muova subito perché anche i tempi supplementari sono scaduti. Il problema è che la “tax flat” non è certamente a costo zero. Se ha l’innegabile vantaggio di togliere gli italiani dal labirinto dei balzelli, che sono ormai una specie di “puzzle” impazzito, e il Fisco in parte restituisce, con una mano, agli italiani, quanto, con l’altra, ha sottratto in questi anni, come si riesce a far quadrare il cerchio? Per il semplice motivo che la tassa piatta taglia troppo drasticamente le entrate fiscali dello Stato (qualcuno parla di 100 miliardi): in una situazione di gravissima crisi economica, come sarà possibile rispettare i parametri europei o, ancora peggio, evitare di finire nel baratro assieme alla Grecia?

Provo, timidamente, a ricordare una possibile via d’uscita che già altri hanno indicato: bisognerebbe che l’articolo 81 della Costituzione tornasse sui suoi passi nella versione “statu quo ante ”: se oggi, per rispettare i vincoli di bilancio, è praticabile la sola strada dell’aumento dell’imposizione fiscale cosa succederebbe, invece, se per restare nei parametri si puntasse esclusivamente sui tagli di spesa? Intanto, nel centrodestra, sono cominciate le prove di dialogo ed è già qualcosa.

Gli irriducibili del posto fisso

Gli irriducibili del posto fisso

Giancarlo Mazzuca – Il Giorno

Il Belpaese sembra, in questi giorni, spaccato in due tra i sostenitori dell’abolizione di quell’articolo, il 18, che è sulla bocca di tutti, e tra coloro, guidati dai redivivi Camusso e Bersani che dicono.«Non passa lo straniero!». Che, nella fattispecie, ha le sembianze di Matteo Renzi. L’aspetto paradossale della vicenda è che molti non sanno neppure cosa nasconda davvero questo famigerato articolo e trattano della materia come se discettassero sul sesso degli angeli. Ma, al di la di questa specie di derby tra favorevoli e contrari, cosa ne pensano realmente gli italiani?

Renato Mannheimer mi ha girato un sondaggio molto interessante. Anche gli interpellati dalla ricerca si dividono a metà ma, soprattutto tra i giovani, prevalgono coloro che dicono “niet” all’abolizione. Se il 45% dei nostri connazionali è, infatti, contrario alla cancellazione dell’articolo, i pareri negativi salgono al 55% nella fascia d ‘età compresa tra i 25 e i 34 anni. Ancora: se il 43% è d’accordo sul fatto che l’eliminazione delle rigidità contrattuali agevolerebbe la ripresa economica, il 47% non è per niente convinto. Non solo: l ‘idea che la misura di Renzi possa favorire l’assunzione delle nuove leve trova oppositori soprattutto al Sud, dove i tassi di disoccupazione giovanile sono maggiori.

E allora? L’impressione è che si faccia tanto polverone sul nulla o quasi. Al di là della battaglia ideologica, che si sia combattendo anche all’interno del Pd, non sembra proprio che l’abolizione sia in grado di fare voltare pagina al Paese. Se è vero, infatti, che il 39% degli interpellati dall’Ispo sostiene che il provvedimento permetterebbe di compiere passi avanti, il 48% è di parere esattamente opposto. La percentuale dei fans alla fine del «18» cresce al 46% a patto che la misura abrogativa venga sostenuta da validi ammortizzatori sociali per i licenziati. Ma anche in questo caso, i contrari al provvedimento di Renzi si attestano al 40%. Insomma, il mito del «posto fisso» resta più che mai intatto. Soprattutto, strano a dirsi, tra le nuove generazioni.

Puntuale arriva l’autunno caldo

Puntuale arriva l’autunno caldo

Giancarlo Mazzuca – Il Giorno

Che bilancio si può trarre all’inizio dell’autunno? Sul fronte europeo si può dire che lo sforzo di Mario Draghi, inferiore a quanto atto dalla Fed americana e dalla Bank of Japan, difficilmente aiuterà le banche a ripulire i loro bilanci dai crediti più scadenti; quindi molte non saranno in condizioni di riattivare il credito alle imprese. Sul fronte italiano si può dire che con le sue sbruffonate (ricordate l’invito ad andare tranquillamente in vacanza?) Renzi ha tenuto a lungo nascosta la vera situazione drammatica del paese e che non ha cambiato verso come voleva in tema di flessibilità: ora deve fare le riforme che l’Europa ritiene indispensabili e le deve fare sotto il monitoraggio della stessa Europa.

Un bel risultato. Significa che i compiti a casa fatti sinora non sono sufficienti, che la ripresa non ci sarà subito (ma quante volte governi e politici ci hanno detto che si vedeva la luce infondo al tunnel?), che dopo tante promesse Renzi dovrà scontentare molti (anche i berlusconiani che per lui mostrano notevole entusiasmo), che non ci sarà nuova occupazione, che avremo un autunno piuttosto caldo con i sindacati sul piede di guerra. Già è iniziato il gioco dello scaricabarile con il leader della Cisl che dà dei “palloni gonfiati” agli ultimi cinque governi. E lo stesso Renzi dovrà chiarirsi le idee sul costo del lavoro essendo caduto in sole 48 ore in due contraddizioni: ha detto che bisogna seguire il modello costituito dalla riforma tedesca che prevede l’esenzione dei mini-job ma ha anche auspicato una diminuzione attraverso il taglio del cuneo fiscale. In un caso significa stipendi più bassi, nell’altro una riduzione della tassazione.

Siamo ora in attesa dei tagli. Che non saranno quelli della spending review ma tagli lineari. Almeno in gran parte, come al solito. Sforbiciate agli sprechi, quindi un impiego migliore de denaro pubblico? Uno spreco è sempre voluto, non nasce per caso, e ad ogni spreco corrisponde, sostiene Ugo Arrigo, docente di finanza pubblica alla Bicocca di Milano, un vantaggio concesso a qualcuno: un’agevolazione, una indennità, una fornitura. Chiaro dove si interverrà? Con l’esenzione naturalmente della casta politica. In merito alle tasse poi, non aumenteranno quelle dirette, si troverà qualche altro modo subdolo per aumentare quelle indirette. Come nel caso della Tasi che nella maggior parte dei Comuni sarà più cara dell’Imu.

Tagli agli stipendi: giusti con giudizio

Tagli agli stipendi: giusti con giudizio

Giancarlo Mazzuca – Il Giorno

Al netto delle pensioni e degli interessi, la spesa pubblica ha iniziato a diminuire da noi nel 2011, con un calo che è stato però la metà di quello della Spagna e un terzo dell’Irlanda e del Portogallo. In Spagna sono state tagliate persino le tredicesime, in Grecia si è fatto molto peggio. Quindi dire, come fa Renzi, che nella pubblica amministrazione italiana “c’è troppo grasso che cola”, non è sbagliato. Anzi è corretto. Quindi il ricorso ai possibili tagli e al blocco degli stipendi è senz’altro una misura spiacevole ma giusta. Certo, si tratta di capire dove tagli e dove blocchi. Sarebbe un’azione molto positiva dare una robusta sforbiciata agli stipendi dei tanti politici (a tutti i livelli) che con la politica hanno trovato il paese della cuccagna e un posto di lavoro quando fare politica non dovrebbe essere una professione. Sarebbe invece una carognata bloccare lo stipendio a un poliziotto che prende 1.400 euro al mese e rischia ogni giorno la vita mentre potrebbe essere una soluzione positiva l’accorpare in qualche modo i 5-6 (ma quanti sono?) corpi di polizia.

In questa battaglia contro gli sprechi e la spesa pubblica, il pié veloce Renzi si è mosso in ritardo. Ha sbagliato cioè i tempi di intervento dopo avere avuto vari mesi per identificare nella spending review di Cottarelli i tagli che avrebbe dovuto fare ma non ha fatto. E solo di fronte al bisogno di trovare 20 miliardi in seguito ai calcoli sbagliati dei tecnici del suo governo, ha deciso il blocco degli stipendi della PA (ma nello stesso tempo l’annuncio di migliaia di assunzioni nella scuola per il prossimo anno, tutto da verificare) e i tagli lineari nei vari capitoli di spesa dei ministeri sulla scia di quanto fatto da qualche suo predecessore. Sbagliando un ‘altra volta perché il blocco dei contratti abbinato al blocco del turnover, rischia di rendere ancora meno motivato chi lavora nel settore.

Renzi ha commesso anche un altro errore. Nella sua strategia va avanti a muso duro, come un panzer, quando la tattica dovrebbe suggerirgli un po’ di buon senso: non può ignorare del tutto le parti sociali, i sindacati, che infatti sono già sul piede di guerra. E qui s’innesca un altro errore, questa volta dei sindacati che non possono più difendere l’indifendibile ma possono invece essere propositivi e fare pressing perché si aumenti la qualità del lavoro, si eliminino gli sprechi, si cambino norme vecchie, si puniscano gli illeciti. Sarebbe per il sindacato darsi quel nuovo ruolo che finora è mancato.

Il vero costo degli 80 euro

Il vero costo degli 80 euro

Giancarlo Mazzuca – Il Giorno

La priorità del neopresidente della Commissione europea, Jean-Claude Junker? L’economia, quindi crescita e lavoro grazie a 300 miliardi da spalmare in 3 anni. Sembrano molti, in realtà sono cento miliardi all’anno, pari a poco meno dello 0,6% del prodotto lordo che è di 16.700 miliardi. Le priorità del “piè veloce” Renzi? Riforme del Senato e della legge elettorale che sicuramente non creano Pil. Anzi, emerge ora che, grazie al decreto degli 80 euro nelle buste paga, nei prossimi tre anni saranno tagliati trasferimenti dallo Stato alle amministrazioni comunali per oltre due miliardi, in aggiunta quindi ai 15 degli ultimi sette anni. Questo significa per il Comune di Milano 15-20 milioni in meno di trasferimenti statali. Per i milanesi invece o più tasse o meno servizi. Il lenzuolo, insomma, da noi è sempre più corto. Il ministro Padoan sostiene che «non ci sono scorciatoie per la crescita» ma questo non vuol dire che si debba continuare a bastonare i tartassati contribuenti italiani. Già uno su tre non va più a votare, un italiano su dieci è considerato dall’Istat indigente, uno su tre ha avuto nel 2013 sofferenze sul lavoro, in sei anni la disoccupazione è quintuplicata mentre quella giovanile è raddoppiata. Ma il debito pubblico continua a stabilire record, produzione industriale ed export sono altalenanti, dismissioni e privatizzazioni sono di fatto ferme, i tagli della spesa pubblica sono irrisori per timore di scatenare rivolte, paghiamo interessi per 80 miliardi pur avendo un debito simile a quello della Germania che paga invece solo 50 miliardi di interessi. Questi sono temi che a Renzi non piace affrontare, possiamo solo consolarci con il “servizio civile” per 40mila giovani promesso dal ministro Poletti.

L’impressione è che ci si muova a vuoto. Junker dà qualche pacca sulle spalle, Draghi dice che di flessibilità non se ne parla, il Fmi avverte che e medio termine «ci sono grossi rischi per l’eurozona di finire in stagnazione». Ma non eravamo fuori dal tunnel? Evidentemente non è così: il Pil americano è in forte calo; la produzione industriale nell’eurozona è ancora giù del 12% rispetto a sei anni fa; lo scivolone del portoghese Banco Esperito Santo ha colpito non solo il settore bancario ma anche gli spread sovrani di Italia, Spagna e Grecia. Ora i Brics – ossia Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – hanno dato vita a una banca di sviluppo alternativa al Fmi e alla Banca mondiale con riserve valutarie di cento miliardi di dollari. Noi invece assistiamo, contenti del nostro passo. Cioè fermi.