laura della pasqua

In Italia se sei straniero trovi lavoro prima

In Italia se sei straniero trovi lavoro prima

Laura Della Pasqua – Il Tempo

I Paesi europei in cui i cittadini stranieri sono occupati più e meglio dei cittadini nazionali si contano sulle punte delle dita di una mano. E l’Italia è uno tra questi. Secondo una ricerca realizzata dal Centro Studi ImpresaLavoro analizzando gli ultimi dati Eurostat disponibili, quelli del 2014, il tasso di occupazione dei cittadini italiani nel nostro Paese è del 55,4%, quasi dieci punti percentuali in meno della media Ue (65,2%). Mentre siamo sopra la media europea per occupati tra lavoratori extra-Ue.

Secondo il Centro Studi infatti se si prende in considerazione la percentuale di occupati tra i lavoratori extra-Ue residenti in Italia, la posizione in classifica del nostro Paese vola verso l’alto. Il nostro 56,7%, infatti, è sopra sia alla media Ue (53,2%) sia alla media dell’area euro (52,1%). E il 28° posto su 30, conquistato a stento dai lavoratori di cittadinanza italiana, diventa un 13° posto su 29 (per la Slovacchia non sono disponibili dati aggiornati) quando si tiene conto soltanto dei lavoratori extra-comunitari.

Si tratta di un dato in netta controtendenza rispetto a quanto avviene abitualmente negli altri Paesi e soprattutto nelle altre economie avanzate del continente. Solo altri quattro Paesi europei oltre all’Italia, infatti, hanno tassi di occupazione più bassi tra i propri connazionali rispetto a quelli fatti registrare tra i lavoratori extracomunitari: si tratta di Repubblica Ceca (-6,5%), Lituania (-7,3%), Ungheria (-8,2%) e Cipro (-14,5%).

In tutto il resto d’Europa, la differenza è a favore dei cittadini dei Paesi presi in esame. Il fabbisogno di manodopera a basso costo e la necessità di reperire personale per mansioni di cura garantiscono una maggiore appetibilità della forza lavoro immigrata e, in caso di perdita del lavoro, una maggiore rapidità per rientrare nel mercato. Accettando lavori pagati meno e meno qualificati, insomma, gli immigrati lavorano più degli italiani.

Una delle caratteristiche del mercato del lavoro immigrato in Italia resta però la forte esclusione della componente femminile, che va a riempire quasi totalmente il bacino degli inattivi. Il tasso di disoccupazione delle donne egiziane (45,6%), pakistane (38,5%), tunisine (35,4%), marocchine (34,6%), albanesi (31,7%) è elevatissimo, ma ben più grave è il fenomeno dell’inattività.

Gli stranieri in età da lavoro nel 2014 in Italia sono 4 milioni, di cui 2.294.120 occupati, 465.695 in cerca di lavoro e 1.240.312 inattivi.

 

Altro che posto fisso, si lavora solo a ore

Altro che posto fisso, si lavora solo a ore

Laura Della Pasqua – Il Tempo

Archiviata la prospettiva di un posto fisso, per molti l’unica alternativa alla disoccupazione è saltare da un impiego precario all’altro anche nella formula dei cosiddetti mini-jobs. Si tratta del gradino più basso del precariato, sottopagato e ad elevata incertezza. A guidare l’exploit i settori del commercio, della ristorazione, del turismo e dei servizi. A tirare un bilancio è uno studio della Cgia di Mestre. Casalinghe, pensionati, badanti, studenti, disoccupati e «dopolavorisiti» sono le categorie che usufruiscono più di tali voucher, ovvero della possibilità di essere «assunti» per qualche ora da un committente venendo retribuiti attraverso l’utilizzo di un «buono- lavoro» di 10 euro lordi all’ora (pari a 7,5 euro netti).

I mini-jobs proliferano soprattutto nel Nordest: l’anno scorso sono stati venduti oltre il 40% del totale nazionale dei «buoni»: il 28,5% nel Nordovest, il 16,6% nel Centro e il 14,8% nel Sud e nelle Isole. Dal 2012, dice ancora la Cgia, anno in cui questo strumento è stato esteso a tutti i settori economici, il ricorso è più che triplicato: da poco più di 23.800.000 ore utilizzate due anni fa si è passati a 71.600.000 ore previste per l’anno in corso. Numeri triplicati anche se si analizza il trend dei lavoratori interessati: nel 2012 sono state coinvolte poco più di 366.000 persone, quest’anno, invece, ne sono previste più di un milione.

Ma questa forma di precariato ha comunque un risvolto positivo. Il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, spiega che «proprio in virtù di questo strumento è stato possibile far emergere una quota di sommerso che altrimenti sarebbe stata difficile da contrastare. Ora, anche i lavoretti saltuari sono tutelati. In più, chi viene assunto per poche ore con questi buoni può menzionare nel suo curriculum questa esperienza. Inoltre, per limitare l’utilizzo improprio di questi buoni, il legislatore ha stabilito che ognuno di questi deve essere orario, datato e numerato progressivamente». Tuttavia, la possibilità di aggirare la norma non manca: purtroppo, questa possibilità è presente in qualsiasi caso, figuriamoci quando si tratta di un accordo che, come in questi casi, è di natura verbale.

I voucher rappresentano un sistema di pagamento che i datori di lavoro possono utilizzare per remunerare quelle prestazioni svolte al di fuori di un normale contratto di lavoro, garantendo al prestatore d’opera la copertura previdenziale presso l’Inps e quella assicurativa presso l’Inail. Sia per l’imprenditore sia per il lavoratore la legge stabilisce degli importi annui limite oltre ai quali l’utilizzo dei voucher non è più consentito. Lo scarto tra il numero dei voucher utilizzati e quelli venduti si sta assottigliando sempre di più: se nel 2013 l’incidenza dei primi sui secondi era dell’88,5, per l’anno in corso ale al 93,8%. Nel 2013, ultimo anno in cui sono disponibili i dati ufficiali, i settori maggiormente interessati dall’utilizzo di questi «buoni-lavoro» sono stati il commercio (25,2% del totale dei lavoratori coinvolti), il turismo-ristorazione (17,6%), e i servizi (13,6). Resta comunque molto elevato l’uso dei voucher anche nel settore manifatturiero (19,5%).

Tasse giù di 3 miliardi, ma solo per pochi

Tasse giù di 3 miliardi, ma solo per pochi

Laura Della Pasqua – Il Tempo

Nel 2014 le tasse caleranno di 3 miliardi. Potrebbe sembrare una bella notizia quella della Cgia ma se andiamo a guardare nel dettaglio emerge che non solo è come una goccia nel deserto giacché la pressione fiscale resta elevatissima (il 43,3%) ma il taglio irrisorio interessa comunque una fascia di contribuenti circoscritta. La Cgia mette in evidenza che quest’anno la riduzione delle impose sarà pari a 11,8 miliardi di euro a fronte di aumenti per 8,7 miliardi. Queste cifre scaturiscono dal confronto tra le varie misure fiscali che hanno avuto impatto economico nel 2014.

Guardando nel dettaglio emerge che hanno beneficiato del taglio delle tasse soprattutto i redditi bassi mentre il ceto medio ne è rimasto escluso. Anzi è proprio questa fascia che ha subito i maggiori rincari. Tra le riduzioni di imposta avvenute nel 2014, la Cgia segnala il bonus di 80 euro voluto dal governo Renzi (misura pari a 6,6 miliardi di euro), il bonus Letta, che ha incrementato le detrazioni Irpef per i lavoratori dipendenti a basso reddito (sgravio da 1,5 miliardi di euro), l’eliminazione della maggiorazione Tares (1 miliardo di euro), la riduzione dell’aliquota della cedolare secca (1 miliardo di euro) e la deduzione del 30% dal reddito di impresa dell’Imu applicata sugli immobili strumentali (714 milioni di euro). Per contro, invece, tra i principali aumenti fiscali avvenuti quest’anno la Cgia registra l’introduzione della Tasi (3,8 miliardi di euro di gettito), la crescita della tassazione delle rendite finanziarie (720 milioni di euro di gettito), l’incremento dell’imposta di bollo sul dossier titoli (627 miliardi di euro) e la riduzione della deduzione forfetaria dei redditi derivanti dai contratti di locazione (627 milioni di euro).

Ad essere colpita dal fisco, come emerge chiaramente, è soprattutto la casa. La Tasi, l’imposta sui servizi indivisibili, è una specie di Imu dal momento che colpisce anche la prima casa ed è risultata più alta della vecchia imposta immobiliare non avendo la detrazione fissa di 200 euro e quella per ogni figlio sotto i 26 anni. Secondo i calcoli della Cisl il salasso maggiore l’hanno avuto coloro che hanno un’abitazione principale con rendita catastale bassa, fino a 300-500 euro. Più piccola è la casa, maggiore è la differenza rispetto all’Imu. Per gli immobili con rendita catastale di appena 300 euro, la nuova tassa sui servizi risulta più cara in 11 città, mentre in soli 4 centri urbani era più alta la vecchia imu sulla prima abitazione. Solo in 5 capoluoghi su 20, invece, i due balzelli sulla casa risultano equivalenti.

Secondo la Cgia «la stabilizzazione del bonus Renzi, gli sgravi contributivi per i neoassunti a tempo indeterminato e il taglio dell’Irap dovrebbero avere il sopravvento sugli aumenti di imposta previsti sui fondi pensione, sull’incremento della tassazione sul Tfr, e sull’incremento delle accise sui carburanti che scatterà dal prossimo 1° gennaio». «Era da molto tempo che ciò non accadeva – osserva il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi – A far pendere l’ago della bilancia a favore dei contribuenti italiani è stato il bonus fiscale introdotto nella primavera scorsa dal Governo Renzi. In linea di massima possiamo affermare che i maggiori benefici economici, come era giusto che fosse, sono andati ai redditi medio bassi, mentre quelli superiori non hanno ancora fruito di nessun sollievo fiscale. Nonostante ciò, il carico fiscale complessivo rimane ancora molto elevato. Purtroppo, la contrazione del Pil continua ad essere superiore alla diminuzione del gettito: pertanto, la pressione fiscale non si abbassa».

E per far fronte al caro imposte in molti pensano di farsi anticipare il Tfr in busta paga. Secondo un’indagine realizzata da Confcommercio-Imprese, un lavoratore su cinque, nelle imprese fino a 49 addetti, è pronto a chiedere il Tfr in busta paga. Un’intenzione che sta maturando soprattutto tra i dipendenti di sesso maschile, giovani, single che vivono nella famiglia d’origine, con un’età compresa tra i 25 e i 34 anni d’origine, e un’ampia maggioranza (il 60%) conta di utilizzare l’anticipo della liquidazione per consumi e per fronteggiare spese ritenute necessarie mentre il 40% circa vuole depositarlo in banca come fondo per le emergenze. Si tratta di un’operazione che coinvolgerà circa 300 mila imprese e, per molte, non sarà certo indolore visto che comporterà un aggravio della loro capacità finanziaria.

La Tasi si mangia gli 80 euro di Renzi

La Tasi si mangia gli 80 euro di Renzi

Laura Della Pasqua – Il Tempo

Con una mano dà e con l’altra prende. A pochi giorni dall’appuntamento con il pagamento dell’acconto della Tasi, l’imposta sui servizi indivisibili, coloro che hanno avuto il bonus da 80 euro stanno facendo i conti del bluff. Il bonus se ne andrà in fumo quasi tutto. E una volta pagata la prima rata dell’imposta, nemmeno il tempo di riprendere fiato che ecco arriva la legge di Stabilità. Difficile quindi parlare di rilancio dei consumi quando in tasca di chi ha dovuto spendere gran parte degli 80 euro in tasse. I beneficiari del bonus, lo ricordiamo, non sono in una situazione reddituale privilegiata. Il requisito per accedere alla «paghetta» elargita dal premier Renzi, era di percepire un reddito annuo lordo inferiore ai 25.000 euro. Il bonus è scattato con lo stipendio di maggio. Quindi per fine anno chi è stato «beneficiato» da questo «regalo» avrà percepito circa 640 euro.

Il costo medio della Tasi, secondo i calcoli del centro studi della Uil, ammonta a una media di circa 148 euro (74 euro da versare con l’acconto). Ma se si prendono a riferimento le sole città capoluogo l’importo sale a 191 euro medi (96 euro per l’acconto), con punte di 429, un conto più salato dell’Imu in un caso su due. Pertanto circa due terzi del bonus di 80 euro viene assorbito dall’imposta. A questi record si è arrivati perché la media dell’aliquota applicata dai 105 capoluoghi di provincia è pari al 2,63 per mille (superiore all’aliquota massima ordinaria), anche se «ammorbidita» dalle varie detrazioni introdotte dai relativi Comuni. Ci sono almeno 100mila combinazioni diverse di detrazioni ma se la fantasia è soddisfatta non lo è il portafoglio. Giacchè anche a fronte delle detrazioni il salasso rimane. Secondo la simulazione a Roma si pagheranno 391 euro medi, a Firenze 346 euro, a Bari 338 euro, a Foggia 326 euro, a Como 321 euro, a Trieste 309 euro, a Milano 300 euro, a Monza 299 euro e a Pisa 287 euro. Se all’imposta sui servizi poi si aggiungono la Tari (la tassa sui rifiuti) e le addizionali comunali, il bonus non basta più. Facciamo un esempio. Nel caso di un’abitazione di tipo economico A3 (che è di minor pregio), a Roma, tra Tasi, Tari e l’addizionale comunale Irpef, si pagano circa 1.100 euro. La Capitale si colloca al primo posto nella classifica delle città più tassate. Seguono Bari, con 1.079 euro, Napoli con 1.000 euro e Genova, con 961 euro.

Spulciando le delibere approvate dai principali Comuni capoluogo di Regione in materia di Tari, Tasi e addizionale comunale Irpef è emerso che, in quasi tutte le città, l’addizionale comunale ha raggiunto l’aliquota massima dello 0,8% (Roma applica addirittura lo 0,9%). Solo quattro amministrazioni hanno applicato una aliquota inferiore: Bologna (0,7%), L’Aquila (0,6), Aosta (0,3%) e Firenze (0,2%). Nel caso della Tasi in 9 casi stato applicato il valore massimo consentito per le abitazioni principali: 3,3%. La Tari, invece, colpisce soprattutto al Sud. Nonostante il servizio di raccolta dei rifiuti erogato nelle grandi città del Mezzogiorno non sia sempre «impeccabile», per un’abitazione di tipo civile A2, una famiglia di 3 persone residente a Cagliari paga quest’anno 653 euro. A Napoli 522 euro e a Palermo 497 euro. Quindi in questi casi tutto il bonus basta solo a coprire la tassa sui rifiuti.

Se è vero che il costo della Tasi sarà complessivamente leggermente più basso della vecchia Imu, è anche vero che la distribuzione della nuova tassa è meno equa: pagherà di più chi prima era esente o pagava cifre basse e pagheranno molto meno i proprietari di quelle abitazioni con rendite catastali elevate. Questo vuol dire che sono penalizzati proprio coloro che hanno ricevuto il bonus. L’imposta quindi non è stata concepita con una gradualità tale da favorire i proprietari di immobili di categoria medio bassa. Oltre il danno anche la beffa di vedersi prelevati dal fisco gli 80 euro. Dalle simulazioni fatte dalla Uil emerge che per 1 famiglia su 2 il costo della Tasi sarà maggiore dell’Imu nel 2012. La conclusione è che nel 2014 con la Tasi la pressione fiscale delle famiglie, rispetto al 2013, aumenterà. Gli 80 euro serviranno soltanto ad attenuare la stangata ma non saranno certo soldi che il contribuente potrà destinare ai consumi. Pagate queste imposte, in tasca rimane ben poco o nulla degli 80 euro. In queste condizioni i contribuenti dovranno affrontare l’appuntamento con la legge di Stabilità. Renzi promete che non ci saranno nuove imposte ma aveva anche promesso che il bonus sarebbe servito a rilanciare i consumi.

Chi si rivede, l’Imu sulla prima casa

Chi si rivede, l’Imu sulla prima casa

Laura Della Pasqua – Il Tempo

Renzi prepara l’ennesimo gioco di prestigio per la tassazione sulla casa. La legge di Stabilità dovrebbe partorire, secondo alcune indiscrezioni, una nuova Imu sulla prima casa. Probabilmente non si chiamerà così perché il premier vorrà marcare la differenza con i precedenti governi e brillare per inventiva, ma la sostanza non cambia. I tecnici del ministero dell’Economia sono al lavoro per sfornare, a tempi record, in occasione della presentazione della manovra economica per il 2015 fissata per il 15 ottobre, una tassazione sulla casa nuova di zecca. Renzi ha già preparato il terreno di quella che sarà un’altra operazione di marketing. Ha annunciato che unificherà le diverse imposte in un’unica tassa. Il prossimo passo sarà dire che la Tasi ha creato tanta confusione e disagi ai proprietari di immobili, che è un’imposta iniqua perché le aliquote sono state lasciate in mano ai Comuni con un effetto a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale e che le diverse scadenze hanno creato il caos.

Si dirà quindi che occorre tornare all’antica. Ecco quindi l’arrivo di un’unica imposta che solo sulla carta rappresenterà un minor onere per i contribuenti. La Tasi, secondo le ipotesi allo studio dovrebbe confluire in un’altra imposta, una sorta di Imu bis che dovrebbe però assicurare almeno lo stesso gettito. Secondo le valutazioni in corso al ministero dell’Economia potrebbe essere molto simile all’Imu con una detrazione fissa a livello nazionale pari a 200 euro per la prima casa più uno sconto per ogni figlio sotto i 26 anni residente nello stesso immobile. Le aliquote sulle quali si sta ragionando sono per la prima casa comprese in un range tra il 4 e il 6 per mille e per le seconde abitazioni tra il 7,6 e il 10,6 per mille.

La Tasi fu introdotta sotto il governo Letta, come un escamotage voluto da Alfano che non voleva intestarsi il ritorno dell’Imu sulla prima casa dal momento che Berlusconi aveva ottenuto dall’ex premier l’esenzione dell’imposta sull’abitazione principale. Questo la dice lunga sulla volontà maturata da tempo, di colpire la prima casa. L’imposta unica e l’abolizione della Tasi verrà quindi spacciata come un «regalo» ai proprietari e dovrebbe servire a far digerire le maggiori imposte più o meno mascherate contenute nella legge di Stabilità.

Al momento non è stata fatta alcuna comunicazione ufficiale all’Anci. L’associazione dei Comuni ha comunque detto che, sulla base delle indiscrezioni emerse in questi giorni, «l’ipotesi di un vero riordino sulla Tasi è la benvenuta, ovviamente a condizione che si assicuri un sistema semplice, sostenibile e duraturo per la generalità dei Comuni, e che non si comprometta ancora una volta la possibilità di approvare i bilanci in tempo utile per gestire gli Enti». Poi l’Anci sottolinea che proprio «la variabilità delle aliquote e delle detrazione della Tasi sull’abitazione principale è tra i principali motivi della grande confusione». In base ai dati dell’Ifel il prelievo sull’abitazione principale media nel complesso dei capoluoghi è pari a 184 euro annui. Il prelievo annuo medio è molto diversificato: va dai 30 euro annui dei casi di minore impatto, ai circa 430 euro nei capoluoghi che hanno applicato un’aliquota relativamente elevata (intorno al 2,5 per mille)».

La Confedilizia in un dossier ha fatto il punto sul peso della tassazione immobiliare. L’Italia, nel confronto internazionale, è il paese con il maggior livello di imposizione fiscale sugli immobili. La manovra Monti per il 2012 ha portato il nostro Paese a una pressione del 2,2% sul Pil e del 2,75% sul reddito disponibile, contro la media Ocse di 1,27% e 1,59%, ossia circa 1 punto in meno sul Pil e 1,15 sul reddito disponibile. Il divario si accentua nei confronti della media Ue – che ha una pressione fiscale, rispettivamente, dell’1,15% e dell’1,40% – e, ulteriormente, con l’Eurozona, che ha una pressione dell’1,13% e dell’1,40%, ossia la metà circa di quella dell’Italia sia rispetto al Pil che al reddito disponibile.

Oltre al record di peso fiscale l’Italia detiene anche il primato per le stranezze sulle aliquote e le detrazioni. A Ferrara, per conoscere la detrazione applicabile per la Tasi sull’abitazione principale, bisogna applicare una formula matematica. A Modena, sono previste 11 detrazioni diverse, ad Asti 9. Il Comune di Parma, poi, prevede una detrazione maggiorata per le abitazioni principali con riferimento alla capacità contributiva della famiglia definita attraverso l’applicazione dell’indicatore Isee e declinata in ben 24 fattispecie diverse. In alcune città importanti (Bologna, Ancona, Treviso), le amministrazioni non si sono limitate a stabilire le aliquote relative al 2014, ma hanno fissato la misura dell’imposta anche per il 2015 e il 2016, sfruttando subito la possibilità di superare il limite massimo che la legge di stabilità dello scorso anno ha previsto solo per il 2014 (a Bologna, ad esempio, l’aliquota è stata fissata al 4,3 per mille sia per il 2015 che per il 2016). Sul «valore» dei figli, poi, ogni Comune ha la sua idea, che traduce in una diversa misura della (eventuale) specifica detrazione stabilita (10, 20, 25, 30 euro ecc.).

La nuova imposta – che, si ricorda, è solo una delle tre componenti della Iuc la sedicente imposta unica comunale che comprende anche l’Imu e la Tari – ha rappresentato infatti una nuova occasione, per i Comuni, per sbizzarrirsi nelle scelte più diverse, soprattutto con riferimento ad aliquote e detrazioni. A dimostrare lo stato d’incertezza e di confusione determinato da questo tributo vale del resto – ricorda Confedilizia – quanto accaduto a Lignano Sabbiadoro (Udine), dove, nonostante il Comune abbia deliberato l’azzeramento della Tasi, il sindaco ha riferito che dai cittadini sono arrivati decine e decine di versamenti del tributo. Il presidente della Confedilizia ha chiesto al governo di dare un segnale con la legge di Stabilità per consentire il rilancio del settore immobiliare «che non può essere la valvola di sicurezza ogni volta che lo stato ha bisogno di far cassa». Un intervento significativo potrebbe essere, secondo la Confedilizia, «una riduzione importante delle rendite catastali».

Dopo la casa, il tfr: Renzi ora stritola le imprese

Dopo la casa, il tfr: Renzi ora stritola le imprese

Laura Della Pasqua – Il Tempo

Qualsiasi intervento sul Tfr sarà volontario e a costo zero per le imprese. Parola del governo. Alla vigilia dell’incontro con i sindacati ai quali il premier Matteo Renzi vuol far digerire il Jobs Act mettendo sul tavolo come compensazione l’anticipo delle liquidazioni sugli stipendi, si moltiplicano i messaggi rassicuranti soprattutto alle imprese che rischiano di più da questa operazione. Così prima il ministro dell’Interno Alfano e poi il viceministro all’Economia, Enrico Morando, hanno ribadito che se l’intervento andrà in porto, verrà «fatto in modo che per la liquidità delle imprese risulti neutrale e per i lavoratori non aumenti il prelievo Irpef. E comunque sarà volontario». Tra le opzioni sul tavolo anche quella di dare una compensazione alle imprese attraverso i nuovi prestiti della Bce alle banche.

Ma al di là delle rassicurazioni, resta il sospetto che il governo voglia acquisire al fisco maggiori risorse per finanziare gli 80 euro e renderli stabili. L’esperienza della Tasi che non avrebbe dovuto portare maggior onere fiscale rispetto alla vecchia Imu e che invece si è tradotta nell’ennesima batosta, è un precedente che induce a guardare con sospetto alle promesse del governo. Dai calcoli dei Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro emerge che mettere nelle buste paga il Tfr significa per i lavoratori un maggior reddito pari a circa 40 euro al mese (in caso di Tfr erogato al 50%), circa 62 euro al mese (in caso di Tfr erogato al 75%) e circa 82 euro al mese (in caso di Tfr erogato al 100%). Il Tfr maturato ogni anno è circa 21,451 miliardi di euro. Non c’è solo il problema di privare le aziende di liquidità ma anche di asciugare la fonte principale della previdenza integrativa a cui ogni anno vengono destinati 6 miliardi del Tfr. Il dibattito si è scatenato. «La soluzione dell’anticipo del Tfr a costo zero per le aziende, paventata dal governo, è tutta da verificare» afferma il deputato di Forza Italia Luca Squeri. Per Stefania Prestigiacomo sempre di FI, «darebbe solo un colpo di grazia al Paese». Michele Perini, presidente della Fiera di Milano, lancia l’allarme: «Sarebbe un guaio grandissimo per le finanze imprenditoriali che utilizzano quella liquidità anche per far funzionare il sistema». E lancia l’alternativa: «Si può semmai discutere di Tfr futuro ma con un accesso al credito al 2,75%».

Lotta ai furbi con il nuovo calcolo del reddito

Lotta ai furbi con il nuovo calcolo del reddito

Laura Della Pasqua – Il Tempo

Il nuovo Isee, il meccanismo con il quale viene misurata la ricchezza delle famiglie e in base al quale vengono assegnati i diritti ad accedere alle prestazioni sociali in misura ridotta o piena, partirà da gennaio 2015. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha precisato che tutto era pronto anche prima ma si è preferito aspettare per evitare problemi. «Abbiamo valutato, su richiesta degli enti locali, non opportuno anticipare», in modo che, spiega, «tutti abbiano il tempo, altrimenti si arriva all’ultimo giorno e i cittadini diventano matti». E fa sapere che nelle prossime settimane arriverà la modulistica.

Il nuovo Isee, introdotto dal governo Letta, ha come obiettivo di combattere i furbi e lo scandalo dei finti poveri stabilendo un rapporto diretto tra il reddito reale disponibile e l’accesso al welfare. Come? L’autocertificazione è stata ristretta a poche voci mentre i dati fiscali più importanti come il reddito complessivo e quelli relativi alle prestazioni ricevute dall’Inps saranno compilati direttamente dalla pubblica amministrazione. Il vecchio Isee, in vigore dal 1998, lasciava ampi margini di discrezionalità a chi lo compilava, giacché tutto era auto-dichiarato ed erano in molti ad approfittarsi della fiducia che veniva accordata. Così si verificava lo scandalo di chi arrivava all’università in Ferrari e godeva di una serie di agevolazioni fiscali. Dal documento che accompagnava il decreto di riforma dell’Isee, quando fu aprovato dal governo Letta, emergeva che l’80% dei nuclei familiari in riferimento al patrimonio mobiliare dichiara di non possedere neanche un conto corrente o un libretto di risparmio. Ora invece verranno incrociate le diverse banche dati fiscali e contributive e si darà maggiore attenzione alle famiglie numerose e alle disabilità. L’Isee terrà conto di tutte le forme di reddito, persino quelle fiscalmente esenti, e darà più peso alla componente patrimoniale.

Il nuovo indicatore della ricchezza considera anche la perdita del lavoro e l’onere dell’affitto. Qualora la perdita di lavoro o la cassa integrazione comporti una riduzione del reddito superiore al 25%, sarà possibile aggiornare il proprio Isee. È stato elevato l’importo massimo del costo dell’affitto che si può portare in detrazione del reddito ai fini del calcolo dell’indicatore della ricchezza familiare: da 5.165 euro è stato portato a 7.000 euro con un incremento di 500 euro per ogni figlio convivente successivo al secondo. Aumentano anche le franchigie per ogni figlio successivo al secondo e ci sarà la possibilità di considerare la situazione dell’anziano non autosufficiente che ha figli che possono aiutarlo e quella di chi non ha nessuno. Per gli immobili, si considera patrimonio solo il valore della casa che supera l’ammontare del mutuo ancora attivo, mentre viene riservato un trattamento particolare alla prima casa.

Tenetevi forte, arrivano nuove tasse

Tenetevi forte, arrivano nuove tasse

Laura Della Pasqua – Il Tempo

Alla vigilia della presentazione della Nota di aggiornamento del Def (il Documento di economia e finanza) con i nuovi dati su pil e deficit, Padoan delinea un quadro preoccupante con investimenti calanti, disoccupazione molto elevata e un andamento dei prezzi che prefigura rischi. In sostanza la crescita «è stata spostata». E la conseguenza immediata è una manovra correttiva ben più pesante di quanto era stato preventivato. Il ministro dell’Economia, intervenendo alla Camera, non riesce a nasconderlo. Parlando alla conferenza interparlamentare sul fiscal compact Padoan spiega che l’Europa oggi si trova in una situazione di «semi stagnazione» e inflazione «decisamente troppo bassa». In questo contesto «tutte le manovre sono più difficili». Il rischio di deflazione «potrebbe essere in aumento». Ma a questo punto la politica economica europea dovrebbe essere aggiornata. Il fiscal compact che è stato concepito in un quadro macroeconomico più favorevole, «dovrebbe tenere conto delle difficoltà e delle circostanze eccezionali soprattutto di alcuni Paesi». Questo strumento, dice Padoan, «va reso più potente e orientato alla crescita». Serve quindi un approccio «nuovo, non solo basato sull’austerità».

Oggi il Consiglio dei ministri esaminerà la Nota di aggiornamento del Def sul quale verrà costruita la prossima legge di Stabilità (che sarà varata entro metà ottobre). Il premier Renzi ha sottolineato che sarà rispettato il vincolo del 3% quale rapporto tra deficit e pil anche se «le motivazioni di quel parametro sono basate su un mondo profondamente diverso». Però il mancato rispetto porterebbe «a un danno reputazionale più grave dei vantaggi che si potrebbero avere». Ormai viene data per scontata anche dallo stesso ministro una nuova revisione a ribasso della stima del pil per quest’anno che dovrebbe collocarsi fra il -0,2 e il -0,3%. Una previsione molto inferiore rispetto alla più ottimistica stima del +0,8% del Def di aprile. La crescita dovrebbe invece tornare positiva dal 2015 (nelle vecchie previsioni l’anno prossimo il Pil cresceva dell’1,3%). Anche il deficit-Pil pur restando sotto il 3%, dovrebbe peggiorare e passare dalla previsione del 2,6% per quest’anno al 2,8% per rimanere sugli stessi livelli il prossimo anno.

Con questo quadro economico diventa indispensabile una manovra da 20 miliardi. Al ministero dell’Economia si stanno mettendo a punto le ipotesi di intervento. Renzi e Padoan continuano a ripetere che non ci saranno nuove tasse. Non potendo aumentare ancora una pressione fiscale che è a livelli record, cercheranno di camuffare la manovra con una operazione di perequazione sociale. Il che vuol dire un taglio delle detrazioni fiscali che è a tutti gli effetti un aumento della pressione fiscale. Si comincerebbe con l’abolizione delle detrazioni al 19%. Tra queste ci sono anche quelle sanitarie. Infatti nel nuovo modello 730 con la dichiarazione precompilata dal Fisco non saranno indicate le spese sanitarie, suscettibili di detrazione.

Nell’elenco delle detrazioni fiscali, oltre agli sconti fiscali sulle spese sanitarie, ci sono quelli sui mutui e su molte altre voci: dalle palestre alle spese funerarie. Valgono in tutto 5,4 miliardi. Un’ipotesi sul tappeto è di legare lo sconto fiscale al reddito. La detrazione del 19% resterebbe piena fino a una certa soglia (per esempio 30 mila euro), per poi decrescere fino ad annullarsi. Un altro meccanismo, simile, agirebbe invece sulle franchigie, legando anche queste al reddito e ponendo un tetto massimo di detrazione. Allo studio anche un possibile aumento della tassa di successione e dell’Iva sui bene di prima necessità, come il pane (ora al 4%). Non è escluso che venga riproposto lo sfoltimento delle partecipate statali, da quelle in mano al Tesoro alle migliaia di municipalizzate sulle quali finora non si è fatto nulla perché significa mettere a rischio tante poltrone legate alla politica.

Renzi batte il record delle tasse

Renzi batte il record delle tasse

Laura Della Pasqua – Il Tempo

Renzi ha battuto tutti i record. Innanzitutto quello della velocità. Tanto rapido ad annunciare l’abbattimento delle tasse a cominciare da quelle sulle famiglie numerose, e tanto veloce a fare marcia indietro. Non solo. Il record di tutti i tempi messo a segno dal premier è quello del numero di nuove imposte in un arco di tempo estremamente ridotto. Una sorta di gara a fare meglio dei suoi predecessori, anche di quel campione del rigorismo che è stato Monti. Il Prof al confronto con Renzi sembra un pivellino per l’uso della leva fiscale che comunque Monti giustificava sempre indicando come mandante Bruxelles. Renzi invece non si dà nemmeno la cura di scusarsi con gli italiani e mentre getta fumo negli occhi, con le slide e i twitt, promettendo di sforbiciare privilegi e sacche di inefficienza, usa senza remore la clava delle imposte. Le randellate interessano tutti indistintamente, famiglie e imprese. La fantasia però non è il suo forte se nel mirino è entrata subito la casa, tradizionale fonte di gettito sicuro. Dopo soli sette giorni a Palazzo Chigi, nel primo Consiglio dei ministri, Renzi traduce in un decreto legge l’accordo fra governo Letta e Comuni sulla Tasi. Vediamo le tasse del premier.

Tasi
La tassa sui servizi indivisibili (come l’illuminazione pubblica) s i rivela subito una batosta, peggio della vecchia Imu. Si dà libertà ai sindaci di alzare l’aliquota di un altro 0,8 per mille sulla prima casa, passando dal 2,5 al 3,3 per mille, oppure sulle seconde case, salendo dal 10,6 all’11,4 per mille. I soldi secondo il piano del governo dovrebbero servire a finanziare le detrazioni fissate dai sindaci. In realtà non c’è nessun obbligo a introdurre le detrazioni mentre per l’Imu erano stabilite in 200 euro sulla prima casa e 50 euro a figlio. Risultato: secondo la Uil, l’aliquota media deliberata dai municipi capoluogo di provincia è del 2,6%. La Cgia di Mestre sostiene che in un grande Comune su due la Tasi sarà più cara dell’Imu.

Rendite finanziarie
Dopo circa un mese ecco che Renzi decide di colpire gli investimenti in Borsa e il risparmio. Il prelievo sale dal 20 al 26% e riguarda anche i conti correnti. Salvi, al momento, i titoli di Stato e i buoni fruttiferi postali. Anche i fondi pensione non sono stati risparmiati, con la trattenuta che versano allo Stato sui rendimenti maturati che passa dall’11 all’11,5%.

Quote Bankitalia
Anche le banche sono chiamate a stringere la cinghia. Raddoppia l’imposta sostitutiva sulla rivalutazione delle quote Bankitalia.

Detrazioni Irpef
Tutti i lavoratori che avranno accumulato detrazioni fino a 4.000 euro nel 2013, dovranno aspettare il 2015 per vederseli riconosciuti. Inoltre l’accreditamento delle detrazioni non avverrà più direttamente ma si dovrà aspettare un bonifico dalla Agenzia delle Entrate. Vengono tagliate le detrazioni Irpef sopra i 55mila euro.

Passaporto
Aumenta il costo per il rilascio del passaporto che passa dai 40,29 euro ai 73,50 euro, a cui bisogna aggiungere il costo del libretto.

Sigarette
Dal 1° ottobre il pacchetto di sigarette aumenta di 1 euro.

Smartphone
Smartphone e tablet più cari. Le tasse sull’acquisto di dispositivi dotati di memoria digitale aumentano di circa il 500%. Quando si acquista uno smartphone o un tablet si pagano dai 3 (dispositivi fino a 8 Gb) ai 4,80 euro (32 Gb) per il diritto d’autore contro gli appena 0,9 previsti finora per i telefonini.

Benzina
Il decreto Irpef all’esame di palazzo Madama prevede clausole di salvaguardia che consentono al Tesoro di aumentare le accise su benzina, alcol e tabacchi qualora avesse bisogno di soldi.

Energie
Tassate le rinnovabili.

Successioni
In arrivo, secondo indiscrezioni, con la prossima legge di Stabilità un aumento dell’imposta sulle successioni. Il governo Berlusconi l’aveva abrogata nel 2011, il governo Prodi l’aveva reintrodotta nel 2006, ma prevedendo una franchigia di un milione di euro. Al di sopra di questa cifra, l’eredità viene tassata al 4%.

Renzi l’affamatore: aumenta anche il pane

Renzi l’affamatore: aumenta anche il pane

Laura Della Pasqua – Il Tempo

Sprechi e privilegi non si toccano ma per far cassa, Renzi sarebbe pronto a colpire pane, pasta, farina, burro e olio. Insomma i beni di prima necessità che, dall’oggi al domani, alla faccia del crollo dei consumi, sarebbero rincarati. Ciò che nemmeno Monti, nella cura da lacrime e sangue, ebbe il coraggio di fare, potrebbe essere servito da Renzi. E per farci ingoiare questo ennesimo sacrificio la giustificazione è già pronta: lo vuole Bruxelles. In un documento con una sfilza di consigli, la Commissione europea scrive che «c’è il margine per spostare ulteriormente il carico fiscale verso i consumi».

Ignorando quindi i dati che continuano a registrare il crollo dei consumi, la Commissione sostiene che «è determinante una revisione delle aliquote Iva ridotte e delle agevolazioni fiscali dirette». L’aliquota minima, quella del 4%, riguarda beni di prima necessità quali pane, pasta, riso, farina, latte, burro, formaggi, olio d’oliva, frutta, verdura e patate. Verrebbe colpita anche l’editoria ce già versa in una crisi comatosa. L’Iva al 4% è infatti anche su giornali, libri e riviste. Ma è anche su occhiali, lenti a contatti, materiali terapeutici, mense aziendali e scolastiche. A rischio anche la fascia di beni con aliquota al 10%. Si tratta di acque minerali, uova, zucchero, latte conservato, pesce, carni e salumi, cioccolato, tè, marmellate, yogurt, birra. Subirebbero rincari cinema e teatri, alberghi e pensioni, tutti i trasporti (ferroviari, marittimi, aerei e autobus), l’energia elettrica, il gasolio e il gas, la raccolta dei rifiuti. Sarà più caro un pasto al ristorante e la consumazione al bar.

Al momento è solo un’ipotesi al vaglio dei tecnici del ministero dell’Economia ma il fatto che lo sponsor sia proprio Bruxelles le dà maggio forza. Perchè se Renzi davanti alle televisioni ostenta il pugno duro contro i diktat europei, in realtà è molto attento alle raccomandazioni della Commissione europea. Anzi potrebbe sfruttarle per giustificare decisioni ad alto tasso di impopolarità. Un po’ quello che è stato con la riforma Fornero delle pensioni. Ogni punto di Iva vale 4 miliardi di gettito. Una cifra da non sottovalutare per un governo con l’acqua alla gola. Tanto più che in un momento di bassa inflazione sarebbe facile da applicare. Che poi questo possa comprimere ancora di più i consumi è un problema che il governo potrebbe giustificare estendendo per un altro anno il bonus da 80 euro.

Contro l’ipotesi di un rincaro dell’Iva si è già scatenata la polemica generale. In prima fila le categorie del commercio che temono dai rincari un ulteriore crollo delle vendite. «Sarebbe davvero una follia, specie in una situazione nella quale l’Italia è già con un piede nella deflazione: anche se si trattasse di uno spostamento selettivo di beni dalle aliquote più basse, quelle del 4% e del 10%, un’ulteriore caduta dei consumi sarebbe infatti inevitabile» commenta la Confesercenti.

Le conseguenze sarebbero drammatiche: «Si sottrarrebbero una serie di beni alle possibilità di acquisto di vasti ceti popolari, con un ritorno inferiore alle attese in termini di gettito. Senza contare il raddoppio delle chiusure di imprese nel commercio e nel turismo, già oltre quota 50mila nei primi 8 mesi del 2014».

Confesercenti ha calcolato che portando l’aliquota dal 4% al 10% «l’aggravio per le famiglie sarebbe pari a 5 miliardi l’anno». Per la Confcommercio «sarebbe il colpo di grazia per imprese e famiglie. Verrebbero colpiti soprattutto i redditi medio bassi che hanno beneficiato del bonus di 80 euro, neutralizzandone l’effetto». Contro l’aumento delle aliquote minime anche tutti i partiti. «Sarebbe il de profundis per la nostra economia» afferma il presidente della Commissione di Vigilanza sull’Anagrafe Tributaria Giacomo Portas, eletto alla Camera nel Pd. Per Squeri di Forza Italia «è un’ipotesi suicida. Come si può parlare di crescita se si continuano ad alzare le tasse? Se la risposta del governo al Pil che affonda, al potere d’acquisto delle famiglie ridotto al lumicino e ai consumi fermi, con conseguente crisi delle attività commerciali, è il via libera all’aumento delle aliquote iva ridotte, significa che davvero si è perso il senso della realtà». Per il vicecapogruppo Ncd alla Camera, Dorina Bianchi sarebbe «un grave passo falso del governo. Ci saremmo aspettati una smentita da parte del Tesoro. Invece di cambiare davvero verso, si continuerebbe così sulla scia di politiche di austerità che tanti danni hanno procurato al nostro tessuto produttivo». «Sull’aumento dell’Iva saremo irremovibili, respingeremo pressing Ue e avvisi di ogni sorta e invitiamo Renzi a fare altrettanto», tuona Barbara Saltamartini, portavoce del Nuovo Centrodestra. E sottolinea che «con una pressione fiscale a quota 44%, anche solo immaginare un aumento dell’Iva sarebbe una scelta improvvida, che avrebbe effetti deleteri su consumi per famiglie e imprese».