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Lavoro, il Jobs Act non basta

Lavoro, il Jobs Act non basta

Massimo Blasoni – Metro

I dati incoraggianti sulle assunzioni e il saldo positivo tra queste e i licenziamenti nel primo trimestre dell’anno, resi noti dall’Inps, non significano purtroppo che il numero complessivo degli occupati stia crescendo. Questi ultimi infatti sono calati di 111.000 unità tra dicembre 2014 e marzo 2015, come impietosamente segnala il rapporto Istat.
L’arcano è presto spiegato. Il dato Inps si riferisce alle comunicazioni obbligatorie delle aziende su assunzioni, cessazioni e trasformazioni relative al solo lavoro dipendente e para subordinato del settore privato. Non si quantifica il numero degli occupati e una persona può avere più contratti nello stesso periodo. Per altro non si tiene conto di lavoratori pubblici e autonomi come invece accade nell’indagine Istat, che fotografa il numero effettivo degli occupati. Il dato Inps sulle assunzioni è poi ovviamente condizionato dai numerosi contratti trasformati in tempo indeterminato sulla scorta dei contributi del Jobs Act.
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Lavoro, un Paese che tassa troppo

Lavoro, un Paese che tassa troppo

Massimo Blasoni – Metro

Al netto della “narrazione” cara al premier Renzi, in Italia il carico fiscale sul lavoro non accenna a diminuire. Tra il 2013 e 2014 è addirittura aumentato del +0,4%, toccando il livello record del 48,2% rispetto al costo del lavoro: significa che quasi metà di quanto gli imprenditori pagano per le buste paga dei lavoratori se ne va in tasse e contributi sociali. La nostra elaborazione degli ultimi dati Ocse dimostra come l’Italia sia l’unico grande Paese europeo che registra una crescita consistente del cuneo fiscale. Quest’ultimo, infatti, diminuisce in Francia (-0,4%) e Regno Unito (-0,3%) mentre resta sostanzialmente invariato in Germania (+0,1%) e Spagna (0,1%).

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L’Italia è divisa dall’economia

L’Italia è divisa dall’economia

Massimo Blasoni – Metro

Sono trascorsi appena quattro anni dalle celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia eppure nessun Paese europeo ha una coesione territoriale peggiore della nostra. Dopo oltre un decennio di processo federalista coesistono di fatto due realtà separate da un profondo divario socio-economico: da una parte il Centro-Nord, che presenta indicatori in linea con quelli di Francia, Germania e Regno Unito; dall’altra il Mezzogiorno, che soffre tassi di disoccupazione sempre più simili a quelli della Grecia.

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Così le banche fanno business

Così le banche fanno business

Massimo Blasoni – Metro

Un pessimista spesso è solo un ottimista ben informato. Ecco perché, pur apprezzandola, non ci siamo uniti al coro degli entusiasti per l’importante immissione di liquidità nelle banche italiane garantita dal Quantitative Easing della Bce. Se questa misura potrà davvero sostenere la ripresa economica di famiglie e imprese lo sapremo soltanto fra qualche mese. Rielaborando le rilevazioni del Sistema europeo delle Banche centrali, abbiamo però scoperto che dal 2005 al 2015 le banche italiane hanno visto crescere del 96% i propri depositi (per un controvalore di circa 1.160 miliardi di euro) ma che di questi meno della metà (530 miliardi) è servita a finanziare famiglie e imprese (+47% nello stesso periodo) mentre la restante parte è stata utilizzata per triplicare l’esposizione in titoli (cresciuta del +189% per una cifra corrispondente di 559 miliardi).
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Burocrazia lenta Renzi intervenga

Burocrazia lenta Renzi intervenga

Massimo Blasoni – Metro

Il rapporto di fiducia tra Stato e aziende si è ormai rotto per eccesso di burocrazia. Ogni giorno si confrontano due realtà diverse e cinconciliabili: da un lato l’imprenditore che avrebbe voglia di costruire e sviluppare il suo business; dall’altro l’amministrazione pubblica che lo frena appigliandosi a una selva di leggi e regolamenti spesso barocchi e inutili.
Un esempio: i giorni di attesa per la concessione di un’autorizzazione edilizia. L’ultimo rapporto annuale di Doing Business (Banca Mondiale) rivela che in Italia sono mediamente 233 contro i 96 in Germania e i 64 in Danimarca.
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Quanto ci costa pagare le tasse

Quanto ci costa pagare le tasse

Massimo Blasoni – Metro

Piove sul bagnato dell’eccessiva tassazione dei cittadini e delle imprese. L’Italia è infatti un paese nel quale costa parecchio anche essere in regola con il fisco. Secondo i dati elaborati dal nostro Centro studi, un’azienda media deve infatti spendere ogni anno 7.559 euro per disbrigare adempimenti burocratici relativi al pagamento delle imposte: una cifra che non ha eguali in Europa e che rappresenta una vera e propria tassa ulteriore e mascherata che le nostre imprese sono costrette a sostenere.
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Quelle riforme troppo lente

Quelle riforme troppo lente

Massimo Blasoni – Metro

Il cammino verso le riforme a cui il nostro Paese si è avviato è troppo lento e poco incisivo. Anche se alcuni provvedimenti vanno nella giusta direzione, la loro lenta attuazione rischia di vanificarne gli effetti. I tempi dell’economia sono più rapidi di quelli della politica. Renzi governa da un anno, prima di lui Letta era stato premier per un periodo di poco inferiore, ma ad oggi pressoché nessuna riforma strutturale è pienamente compiuta, compreso il Jobs Act che necessita dei regolamenti attuativi. Sul piano economico – al di là dell’incremento del debito e della riduzione del Pil reale – è interessante mettere a confronto gli indicatori che con riferimento al medesimo periodo emergono dal report annuale di Banca Mondiale/Doing Business e da quello sulla competitività elaborato dal World Economic Forum.
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Imprese e fisco, così proprio non va

Imprese e fisco, così proprio non va

Massimo Blasoni – Metro

Dopo il QE (Quantitative Easing) un nuovo acronimo si aggira per l’Europa: TTR, ovvero Total Tax Rate. Si tratta in soldoni (letteralmente) della percentuale sul fatturato che ciascuna impresa devolve ogni anno allo Stato sotto forma di tasse. Non illudetevi: che in questo settore l’Italia resti purtroppo la matrigna d’Europa lo dimostrano le recenti elaborazioni che abbiamo svolto sui dati riferiti al 2014 contenuti nel rapporto “Doing Business 2015” della Banca Mondiale.
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Ma da solo il QE non può bastare

Ma da solo il QE non può bastare

Massimo Blasoni – Metro

Molte imprese non trovano credito perché spesso le banche non le ritengono in grado di restituire gli eventuali prestiti accordati. Un atteggiamento in parte comprensibile ma che tra il 2001 e il 2014 ha però comportato una riduzione del credito pari a circa 70 miliardi di euro. Il Quantitative Easing (QE) deciso dalla BCE potrà cambiare radicalmente questo stato di cose? Difficile.
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Cosa serve alle imprese

Cosa serve alle imprese

Massimo Blasoni – Metro

Il nostro Paese decresce dello 0,4% nel 2014, andando peggio di quanto il Governo avesse stimato a inizio anno. Nel frattempo negli Usa la crescita è pari al 5%, un abisso legato sia alle politiche espansive americane che a un problema specifico della nostra economia. L’Italia è l’unico tra i principali Paesi europei ad avere un Pil reale che si è ridotto di dieci punti dall’inizio della crisi. La via d’uscita per il rilancio dell’economia sono le attività imprenditoriali, ma è difficile fare impresa in Italia. Lo studio annuale della Banca Mondiale ci pone agli ultimi posti tra i Paesi in cui è più facile fare affari e il peso complessivo delle imposte sulle imprese sfiora il 65%. Burocrazia, tempi della giustizia, cuneo fiscale: tutto concorre a frenare il rilancio. Concentriamoci su appena due delle tante critiche che si potrebbero muovere al Governo Renzi sul tema aziende.
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