metronews

Renzi da Merkel senza paura!

Renzi da Merkel senza paura!

Massimo Blasoni – Metro

L’incontro domani a Berlino tra il nostro premier Renzi e la cancelliera tedesca Merkel non si annuncia facile. In gioco vi è soprattutto la richiesta italiana di ottenere la necessaria flessibilità per far quadrare i nostri conti pubblici. C’è da scommettere che molti osservatori dipingeranno il primo come uno scolaretto irruento e sbadato al cospetto dell’inflessibile maestrina dalla penna rossa che (di fatto) governa l’Europa. Eppure, per certi aspetti, l’Italia non dovrebbe soffrire di alcun complesso di inferiorità. Negli ultimi 15 anni, infatti, abbiamo contribuito al budget dell’Unione europea con più risorse (213 miliardi di euro) di quante che ne sono state poi accreditate dai diversi programmi comunitari (poco più di 141 miliardi). Un contributo netto complessivo di 72 miliardi che ci fa rientrare a pieno titolo nel club dei Paesi che pagano un biglietto di prima classe per l’Ue. Anzi, in rapporto al Pil, siamo quelli che fanno maggiori sacrifici.

Continua a leggere su Metro

Edilizia, serve velocizzare

Edilizia, serve velocizzare

Massimo Blasoni – Metro

In Italia per un permesso a costruire si attendono mediamente 233 giorni, in Germania 96, in Danimarca 64, negli Stati Uniti 78, nel Regno Unito 105. Negli ultimi 5 anni la richiesta di costruzione si è dimezzata per la crisi (dal 2008 a oggi il comparto ha registrato un calo del 23,78% degli occupati, pari a 464mila posti di lavoro) ma i tempi per l’ottenimento di una licenza edilizia non sono cambiati. È un evidente controsenso: il numero degli addetti pubblici non è diminuito e la mole di lavoro si è dimezzata. Con evidenti ricadute negative per i cittadini, per le imprese, per il nostro Pil che non riparte.

Continua a leggere su Metro

Stabilità, rotta da correggere

Stabilità, rotta da correggere

Davide Giacalone – Metronews

La legge di stabilità dovrà essere riscritta. Non tutto è sempre riconducibile a questioni di schieramento politico. Non tutto può essere considerato risolto solo perché si ha una maggioranza parlamentare. Esiste anche la realtà, con cui fare i conti. Il governo ha impostato la legge di stabilità volendo darle un carattere espansivo. La scommessa consiste nell’avere introdotto facilitazioni e sgravi fiscali, oltre a una fetta significativa di spesa pubblica in deficit, che inducano le imprese ad assumere e investire, mentre i consumatori a spendere e comprare. Scommessa politicamente legittima e, nella sua enunciazione, anche apprezzabile. Ma nella sua stesura ci sono contraddizioni.

Prendiamo il caso del Tfr: mettere parte del Trattamento di fine rapporto, da subito, nelle buste paga, significa puntare a dare più liquidità, infondere fiducia, invogliare a usare quei soldi. Sarebbe un bene, se non fosse negato dalla legge stessa, visto che incassare immediatamente un rateo di Tfr sarà a scelta del lavoratore, ma se sceglie di incassare dovrà pagare più tasse subito (perché perde l’aliquota agevolata) e se sceglie di continuare ad accantonare paga più tasse sui risparmi. Qualsiasi cosa scelga, gli costerà fiscalmente più di quel che gli costa oggi. Difficile credere che una roba simile risvegli l’ottimismo. Ragionevole immaginare che, anzi, solleciti la necessità di mettere da parte (magari nel materasso), visto che il fisco grattugia quel che serve per il domani.

Contraddizioni analoghe si trovano anche in altri punti della medesima legge. Lo scomputo del costo del lavoro dall’Irap vale solo per i contratti a tempo indeterminato, ma è a tempo determinato, vale solo tre anni. L’impresa non vive di sconti momentanei, ma di certezze sulla struttura dei costi. Fisco compreso. Non avvio un costo di lunga durata sol perché c’è un’agevolazione momentanea. Non si tratta solo degli esami europei. Sui quali molto ci sarebbe da dire. Prima di tutto occorre sanare le contraddizioni della legge. Non sempre buscando ponente si trova il levante, e se buschi il nord per il sud vai incontro a morte per congelamento. Se una rotta contiene errori, meglio correggerla prima di salpare.

Imprenditorialità, Italia ultima in Ue

Imprenditorialità, Italia ultima in Ue

Metronews

L’Italia non è un Paese per imprenditori. Lo conferma la ricerca che il Centro Studi “ImpresaLavoro” ha effettuato elaborando i dati raccolti nell’ultimo Global Entrepreneurship Monitor (GEM), il monitoraggio dell’imprenditoria nelle principali economie avanzate che a partire dal 1999 viene condotto ogni anno sotto la guida della London Business School and Babson College.

L’indice misura il dinamismo e la propensione a fare impresa di ogni singolo paese, premiando quei territori in cui gli imprenditori percepiscono migliori possibilità nell’intraprendere e ottengono migliori risultati. Ne esce purtroppo un quadro a tinte fosche: nel 2013 l’Italia è il fanalino di coda della classifica europea e perde il confronto con tutti i principali competitor: Irlanda (settima), Portogallo (decimo), Gran Bretagna (16esima), Germania (18esima), Spagna (19esima), Grecia (20esima) e Francia (21esima). Svettano economie in grande crescita come Lettonia, Lituania o Polonia.

Per quanto riguarda l’indicatore che misura la percentuale dei soggetti dai 18 ai 64 anni che sono nuovi imprenditori, nel 2013 il nostro Paese si è collocato al 23esimo della classifica europea col 2,4%, perdendo il confronto con tutti i principali competitor: Irlanda (decima), Portogallo (14esimo), Gran Bretagna (16esima), Grecia (17esima), Germania (19esima), Spagna (20esima) e Francia (22esima).

In Italia c’è il fisco più pesante d’Europa

In Italia c’è il fisco più pesante d’Europa

Metronews

L’Italia ha uno dei sistemi fiscali più pesanti e inefficienti d’Europa: la pressione fiscale è elevata, soprattutto su lavoro e impresa, e il sistema fiscale è amministrativamente oneroso. Durante la crisi la situazione è ulteriormente peggiorata per via dell’aumento della pressione fiscale reso necessario dall’impossibilità politica di tagliare la spesa pubblica: a evidenziarlo è una ricerca del Centro Studi “ImpresaLavoro” che analizza la struttura delle entrate fiscali nel nostro Paese, la loro evoluzione nel tempo e le loro caratteristiche rispetto ai maggiori paesi europei.

«Considerando la pressione fiscale dal 1990 al 2012 – si legge nel Rapporto – si osserva come negli ultimi anni l’Italia, assieme alla Francia, abbia visto un forte aumento delle entrate fiscali, di 4 punti di Pil, nonostante la gravissima crisi economica. Buona parte dell’aumento risale agli anni immediatamente prima della crisi, per controllare il debito pubblico la cui virtuosa riduzione si era arrestata». Analizzando ad esempio l’Itr sul lavoro (il livello di tassazione implicito), si osserva come l’Italia sia abbondantemente sopra i maggiori paesi europei, 3 punti più della Francia, 5 più della Germania, e addirittura 9 e 18 rispetto a Spagna e Gran Bretagna. E rispetto alla Germania, l’Italia nel 2012 aveva una pressione fiscale superiore di ben 4 punti di Pil, pari a 65 miliardi di euro.

PA, il ritardo nei pagamenti costa alle imprese 6 miliardi

PA, il ritardo nei pagamenti costa alle imprese 6 miliardi

Metronews – 4 agosto 2014

UDINE. Il ritardo dei pagamenti ai fornitori della PA ha finora determinato un costo del capitale a carico delle imprese italiane di oltre 6 miliardi di euro all’anno, pari a quasi 30 miliardi nel periodo 2009-2013. Il dato emerge da una ricerca (scaricabile interamente dal sito www.impresalavoro.org) realizzata dal centro studi di ispirazione liberale “ImpresaLavoro” di Udine, promosso dall’imprenditore Massimo Blasoni e il cui board scientifico è presieduto dal professor Giuseppe Pennisi (economista, consigliere del Cnel e docente all’Università Europea di Roma, già Banca Mondiale e dirigente generale dei Ministeri del Bilancio e del Lavoro).

Lo studio di “ImpresaLavoro” sottolinea come ci si debba peraltro accontentare in questo campo di una stima prudenziale, dal momento che le stesse amministrazioni pubbliche non dispongono di una sistematica e organizzata documentazione sui crediti dei propri fornitori e sulle fatture associate, a causa delle insufficienze nei sistemi di contabilizzazione delle transazioni. Finora, infatti, le stime sulla dimensione del fenomeno si sono basate sull’impiego di metodologie statistiche e di indagini campionarie. «Quel che invece si sa con certezza – osserva il presidente Massimo Blasoni – è che i pagamenti del committente pubblico italiano arrivano in media dopo 170 giorni dal ricevimento della fattura, mentre i fornitori privati di norma pagano dopo 60 giorni. Questo mismatching di uscite ed entrate aggrava la situazione finanziaria di migliaia di imprese, esponendole nei casi più gravi al rischio default. Il fenomeno ha assunto rilevanza maggiore a seguito dell’attuale situazione di congiuntura economica, la quale ha provocato anche una riduzione del credito concesso dalle banche alle imprese, con conseguente aggravio della situazione finanziaria di queste ultime».

Secondo le stime prudenziali di “ImpresaLavoro”, l’ammontare per il 2013 è di circa 74,2 miliardi di €, pari a circa il 4,8% del PIL. Lo stock di debito commerciale della nostra PA risulta in calo: nel 2010, esso aveva toccato la cifra record di 87,3 miliardi di euro, pari al 5,5% del PIL. La diminuzione dello stock è dovuta alla riduzione della spesa pubblica relativa all’acquisto di beni e servizi, nonché dei tempi di pagamento concordati con i fornitori. Non è quindi diminuito il ritardo medio nel pagamento delle fatture.

La ricerca di “ImpresaLavoro” rivela inoltre come, a livello europeo, sia in termini nominali che relativi, l’Italia risulti essere il Paese col maggiore stock di debito. Già dal 2010, ha infatti il peggior rapporto tra debiti commerciali e PIL, superando tanto la Spagna quanto la Grecia, le uniche in Europa (a parte l’Italia) a superare il 3% in questo rapporto. Per un’impresa italiana che lavora con PA, l’incidenza di questi costi sulla singola fornitura risulta così pari al 4,2%: un dato circa 4 volte superiore a quello sostenuto da un’impresa francese (1,2%) e circa 7 volte superiore a quello sostenuto da un’impresa tedesca (0,6%).