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Come far decollare il Mezzogiorno?

Come far decollare il Mezzogiorno?

E’ molto che non si parla di Mezzogiorno, se non lamentando il progressivo degrado. Gli indicatori economici prodotti periodicamente dall’ISTAT e da istituti di ricerca documentano non solo come sta aumentando il divario tra Pil pro-capite del Sud e delle Isole ed il resto del Paese e la ripresa dell’emigrazione alla ricerca di lavoro, ma anche un vero e proprio processo di desertificazione dell’industria manifatturiera. Mentre è proprio la manifattura ad essere il tassello per lo sviluppo del Mezzogiorno. In effetti, il Sud e le Isole non sembrano avere più quella centralità nella politica economica italiana che avevano quando all’inizio degli Anni Novanta, il “rapporto Amato” produsse una serie di proposte (peraltro mai attuare) per porre il problema al centro della politica economica del Paese indicando anche azioni e strumenti specifici.

Il Quinto Rapporto della Fondazione Ugo La Malfa su Le Imprese Industriali del Mezzogiorno include non solo una dovizia di statistiche ed analisi ma anche un paper di Giorgio La Malfa (intitolato “Per Il Rilancio delle Politiche Meriodionalistiche”) con proposte specifiche di politica economica. La più interessante ed innovativa riguarda l’individuazione di pochi – essenzialmente uno per regione – poli di attrazione e di localizzazione degli investimenti che presentino e garantiscano condizioni particolarmente favorevoli ai nuovi insediamenti industriali. In particolare m questi poli di sviluppo dovrebbero avere: a) collegamenti efficaci stradali e ferroviari con porti, aeroporti e mercati di sbocco; b) disponibilità in loco di servizi come acqua, elettricità, collegamenti in banda larga, etc.; c) un sistema a tutta prova di sicurezza delle infiltrazioni della criminalità; d) una presenza di terminali di grandi aziende di credito, che dovrebbero essere poste in concorrenza tra loro in questa aree; e) collegamenti con le Università del territorio che consentano di sviluppare tempestivamente le competenze richieste e f) se possibile, agevolazioni fiscali.

Si può dire che non è un’idea nuova. Ricorda sotto molto aspetti l’approccio della unbalanced growth negli Anni Sessanta e soprattutto i lavori sui poli di sviluppo di François Perroux dell’ISEA (Istituto Studi Economia Applicata) sempre di quegli anni. In quel clima, circa cinquant’anni fa, poli di sviluppo sono stati creati nel Mezzogiorno; in quel periodo c’è anche stata una riduzione del divario tra il Sud e le Isole ed il resto del Paese. Purtroppo i ‘poli’ di allora sono adesso archeologia industriale perché non si è rimasti al passo con i cambiamenti della tecnologia, con le necessarie trasformazioni della specializzazione produttiva ed il processo di internazionalizzazione dei mercati. Perché non riprovare, tenendo conto delle nuove condizioni dell’economia internazionale?

Aumenta lo “spread” tra il costo del denaro al Sud rispetto al resto d’Italia

Aumenta lo “spread” tra il costo del denaro al Sud rispetto al resto d’Italia

Nonostante gli interventi straordinari della BCE e qualche timido segnale di ripresa dei prestiti concessi al complesso del settore privato, i volumi degli impieghi bancari italiani diretti alle imprese risultano tutt’al più stagnanti. Se le manovre espansive sul credito bancario non hanno, almeno per il momento, influito sui volumi, sembra invece che un positivo effetto lo stiano avendo sul costo del denaro.

I tassi d’interesse sugli impieghi mostrano – per ogni diversa tipologia di operazione, che qui comunque dobbiamo analizzare in forma aggregata – una riduzione generalizzata e quantificabile, per il 2015 rispetto all’anno precedente, in circa un punto percentuale. Sulla base di queste analisi, si potrebbe concludere che il dato incoraggiante riguarda pertanto il costo del denaro, piuttosto che la sua disponibilità.

Prendendo a riferimento le operazioni autoliquidanti e a revoca (destinate tipicamente ai fabbisogni di capitale circolante), il tasso attivo medio risulterebbe sceso, al terzo trimestre del 2015, al 5,46% su tutto il territorio nazionale, con una flessione di 86 punti base rispetto all’anno precedente e 99 rispetto al 2012.

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Sempre su base aggregata, le nuove erogazioni nel periodo per operazioni a scadenza (più propriamente destinate agli investimenti in immobilizzazioni), risultano più economiche rispetto a un anno prima per 104 punti base (scadenza inferiore all’anno) e 155 punti base (scadenza entro 5 anni).

Il costo effettivo del credito risulta dunque, nella sostanza, ritornato ai livelli del 2010 (l’anno che ha preceduto la crisi dei paesi periferici dell’Eurozona), con una riduzione per i mutui alle imprese (a medio/lungo termine) quantificabile in 48 punti base e un aumento contenuto (42 punti base) per i fidi in conto corrente e gli anticipi.mappa_02

È interessante notare che anche in questo caso le differenze tra aree regionali, già di per sé molto significative, hanno mostrato una recente tendenza all’aumento. Ciò è soprattutto vero per gli anticipi e le aperture di credito in conto corrente, che costano alle imprese del Sud ora il 2,42% in più in media rispetto al Nord (era il 2,04% nel terzo trimestre del 2014 e l’1,67% nel 2010).

Per quanto concerne le operazioni a scadenza, la tendenza è invece più complessa da analizzare e mostra una riduzione delle differenze rispetto all’anno precedente ma comunque un aumento rispetto ai livelli 2010. I mutui alle imprese meridionali costano in media tra lo 0,79% e l’1,09% in più rispetto alle imprese del nord (in base alle diverse durate), e la forbice pur drasticamente diminuita rispetto al 2014 – risulta più ampia di circa 15-16 punti base medi rispetto ai valori di cinque anni prima.01_costocreditoregioni

 

Fondi Ue 2000-2014: al Sud il 67,9% delle risorse. Basilicata, Sardegna e Calabria in testa alla classifica

Fondi Ue 2000-2014: al Sud il 67,9% delle risorse. Basilicata, Sardegna e Calabria in testa alla classifica

Dei 47,6 miliardi di fondi europei destinati alle regioni italiane negli ultimi 15 anni quasi la metà (47,1%) è appannaggio di tre regioni del mezzogiorno: Sicilia, Campania e Puglia. Complessivamente al Sud e alle Isole sono andati in questi anni il 67,9%  del totale degli accrediti effettuati dall’Unione Europea e riservati direttamente alle regioni. Il 21% finisce invece a regioni del Nord e l’11,1% al blocco delle regioni centrali. Dal punto di vista degli accrediti pro-capite è la Basilicata ad essere la maggior beneficiaria di contributi europei con 2899 € a cittadino divisi sui quindici anni presi in esame dallo studio. Segue la Sardegna con 2170 €, la Calabria con 1714 € e la Sicilia con 1598 € a residente. Tutti dati nettamente superiori alla media nazionale di 783 €. Tra le regioni del nord solo la Valle d’Aosta fa registrare un andamento della contribuzione europea superiore alla media nazionale con 1221 € a cittadino, mentre Lombardia (194 € a cittadino in quindici anni), Lazio (295 €) e Veneto (343 €) chiudono la classifica.

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La tendenza è confermata anche dall’analisi dell’ultimo anno disponibile, il 2014, con il Mezzogiorno d’Italia che riceve il 69,3% del totale dei fondi arrivati da Bruxelles alle singole regioni e con Campania, Sicilia e Puglia che da sole si vedono accreditate il 56,1% delle risorse complessive. La maggior beneficiaria è ancora la Basilicata che nel 2014 si assicura risorse per 200 € a cittadino residente, seguita dalla Campania (187 €), dalla Sicilia (147€) e dalla Sardegna (129 € ad abitante).  Sempre ultima la Lombardia, con 13, 4 € ad abitante ricevuti nel 2014 e preceduta da Trentino Alto Adige (23,8 €) e Lazio (25,9 €). Tra le regioni del nord si conferma la Valle d’Aosta che con i suoi 85,5 € pro capite di contributi europei  rimane stabilmente sopra la media nazionale di 65,4 €.

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