nazareno

Resurrezione del Nazareno

Resurrezione del Nazareno

Davide Giacalone – Libero

Che il Nazareno possa risorgere sembra quasi un destino insito nel nome. Ma non c’è da farsi illusioni, perché la piazza dove ha sede il Partito democratico, e dove nacque il patto fra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, il nome lo prende dal cardinale Michelangelo Tondi (1566-­1622), riminese, detto “il Nazareno” perché arcivescovo di Nazareth, che, però, non era la città dove  Cristo visse ma si trovava a Barletta, in ragione di una chiesa, Santa Maria di Nazareth, che neanche esiste più. I precedenti storici, quindi, tendono verso il raggiro. Con anche un pizzico di iettatura.

È utile, che si torni a quel patto? Dipende. Saltò per il modo in cui è stato scelto il presidente della Repubblica. Non perché Sergio Mattarella fosse un nome di rottura, ma perché Renzi lo interpretò in chiave interna al Pd. Se non si converge su un’elezione di quel tipo, come si può farlo sul resto? Ma c’è dell’altro: i frutti legislativi del Nazareno non sono buoni. Da quel patto sono nati la riforma del sistema elettorale e quella costituzionale (ancora da completarsi). Il primo è pessimo, la seconda prende l’impronta dal primo, unendovisi nel giudizio. Intanto il patto diede modo al governo Renzi di nascere, creando una positiva rottura a sinistra. È vero che da quel passo è nata la riforma del mercato del lavoro, buona anche se insufficiente, ma è anche vero che da lì discendono cose come i regali elettorali, in conto all’erario, e una non riforma della scuola che s’incarna nella promessa di 160mila assunzioni, ulteriore zavorra sulla spesa pubblica (in un Paese che ha più insegnanti per alunni della media europea). Nell’insieme: una ciofeca.

Eppure lo considerai con simpatia. E sarei propenso a ribadirla, sebbene con assai maggiore diffidenza. Scrivemmo allora: il Nazareno ha un senso se si allarga subito alle questioni economiche, perché quello è il campo in cui ci giochiamo il futuro. Non è mai successo. Continuiamo a crescere la metà dell’eurozona, accumulando ritardi che si tradurranno in pericolosi svantaggi. Le imprese che esportano fanno miracoli, ma in nulla sono diminuiti i pesi morti, mentre la pressione fiscale resta satanica e immutata la sua perversione ricattatoria e recessiva. La spesa pubblica è stata tagliata solo per quanto serviva a farla ricresce da altre parti. L’occasione offerta dalla Banca centrale europea, dal cambio e dal prezzo del petrolio è stata usata solo per raccontare panzane sulla ripresa, perdendola per il resto. Nel frattempo Renzi ha occupato tutto l’occupabile, producendo una nuova classe di boiardi che brillano per (presunta) fedeltà, ma somigliano troppo alle statue di sale: brillano come diamanti al sole, ma finiscono nei rivoli alla prima pioggia. L’incresciosa vicenda della Cassa depositi e prestiti non è la ciliegina sulla torta, ma l’asfissiante flatulenza prodotta dall’indigestione d’arroganza.

E allora: se la resurrezione saprà partire da queste cose, dai conti, dalla ricchezza che non cresce, dalla volontà di liberare le energie produttive e non dalla protervia di appropriarsene, che sia la benvenuta. Ma se si trattasse della riedizione del già visto, con inutili gargarismi costituenti, meglio essere chiari: la natura e lo spessore dei contraenti non può aspirare non dico ad agguantare risultati apprezzabili, ma neanche a dignitosamente cimentarsi con quella materia. Prima diano prova di serietà, impegnandosi al fianco dell’Italia che lavora e tira la carretta, dimostrando di non ritenerla un bue cui attaccare il trasporto dei propri bottini. Conosco la teoria nobile: occorre assicurare continuità al sistema istituzionale e fare argine alle ondate di dissennatezza qualunquista e propagandista. Vero. Ma se il patto risorto fosse come quello seppellito, non solo non infrangerebbe quei cavalloni, ma li renderebbe ancor più schiumanti. Basta guardare le infinite corbellerie dette e fatte sul tema dell’immigrazione. Non basta sostenere che chi soffia sul fuoco è un triviale irresponsabile, specie quando i presunti pompieri non sanno dove si trova il rubinetto, si fregano le scale a vicenda e a sirene spiegate si dirigono verso l’indirizzo sbagliato.

Nazareno Economico

Nazareno Economico

 Davide Giacalone – Libero

La recessione, confermata dai dati Istat, è una sorpresa solo per chi ha voluto credere alle favole. La contemporanea crescita della produzione industriale non smentisce quel quadro fosco, semmai conferma che scivoliamo perché continuiamo a mettere sulle spalle dell’Italia che corre la zavorra insopportabile dell’Italia inerte. Della seconda fa parte anche una politica tutta concentrata nel mostrarsi dinamica su temi che, nel migliore dei casi, daranno frutti in un tempo troppo lungo. Al contrario di quanti non riescono ad accettare l’idea stessa che esista un patto fra Renzi e Berlusconi, pertanto, a me sembra che quello sia destinato a restare roba politicista, se non sarà in grado di estendersi alle scelte economiche. Serve un Nazareno dell’economia. Altrimenti il primo sarà solo una parentesi nel nulla.

Ne trovo conferma nelle parole di Pier Carlo Padoan, che, rispondendo alle domande di Roberto Napoletano, si mostra ripetutamente stralunato e isolato. Assicura, il ministro dell’economia, che non supereremo il 3% del rapporto fra deficit e prodotto interno lordo. Il direttore del Sole 24 Ore, gli chiede, incredulo, come questo sia possibile, visto che la spesa corre, il debito sale e il pil scende. Risponde: «In base alle informazioni che ho adesso …». Siamo ad agosto, mancano quattro mesi alla fine dell’anno. Se quelle informazioni sono esatte, ci dica quali sono e in che consistono. Se sono campate per aria vuol dire che al ministero dell’economia guidano bendati. In ogni caso, il tema della stagnazione recessiva non è un esclusivo problema di contabilità pubblica, lo scivolare indietro e il non riuscire a far presa sul terreno e riprendere a camminare, non è un malanno solo dal punto di vista dei parametri e dei conti statali, è un dramma collettivo, un danno economico, un segno che il guasto è profondo. E mentre sui numeri statali si può raggiungere un qualche accordo (ci credo poco), o anche barare (non è bello, ma neanche nuovo), i conti con la realtà non si possono eludere. Non ho visto la faccia di Padoan quando il capo del governo di cui fa parte, Matteo Renzi, ha detto che punto più punto meno, cosa volete che cambi, oppure che l’estate, prima o dopo, arriva (affermazione inesatta anche dal punto di vista meteorologico). Non l’ho vista, ma la immagino.

Dice, Padoan, che si deve accelerare sulle riforme. Vero. Ma quali? Quella del Senato arriverà a compimento, in un epico scontro fra chi sostiene che nulla si deve toccare e chi ritiene che basta deformare per poter dire che è bello cambiare, nella prossima primavera. Quando sarà arrivata non servirà a nulla, senza passare da uno scioglimento del Parlamento. Sono tempi manco parenti di quelli dell’economia. Ma, dice Padoan, conta la riforma del mercato del lavoro. Vero. Ma quale? Si rende conto che, fin qui, siamo solo a un decreto sui contratti a tempo determinato? Senza contare che lo si è fatto passare dicendo che non intacca l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, il che, a parte che lo ignora, supera e seppellisce, dimostra una dipendenza ideologica da un conservatorismo che non possiamo permetterci. Per il resto, al momento mancano anche solo i progetti. Poi c’è la riforma della pubblica amministrazione, dice Padoan. Vero, ma dimostra il contrario di quel che lui crede: nel corso di quella discussione non solo una maggioranza parlamentare, ma il governo stesso di cui fa parte, per bocca di ministri, sottosegretari e del suo presidente, festeggiavano l’idea di mandare anticipatamente in pensione i dipendenti pubblici, in modo da assumerne altri. Supporlo significa non avere capito nulla di quel che ci accade. È vero che a fermare questa roba è stata la Ragioneria generale dello Stato, quindi un’amministrazione che dipende da Padoan, ma ciò ripropone la dicotomia dissociata fra chi imposta la politica e chi garantisce i conti. Fatto non nuovo e comunque pessimo. A questo aggiungete che Padoan dice di apprezzare molto il lavoro di Carlo Cottarelli, spettacolarmente scaricato da Renzi, e avrete composto l’immagine di un ministro isolato. Quasi estraneo al governo. Come se ce lo avesse messo un altro. Che è proprio quel che è accaduto.

Alcune cose sono state realizzate, dice Padoan, come la delega fiscale. Vero, ma dimostra che serve un Nazareno economico. Perché quella delega è stata resa possibile anche dal lavoro di Daniele Capezzone, in qualità di presidente dell’apposita commissione parlamentare, esponente dell’opposizione. È la conferma di quel che sosteniamo, da mesi.

Non mi disturba affatto l’esistenza del Nazareno. Sostengo, però, che l’equivoco va chiarito al più presto: se porta alle elezioni, per consentire a Renzi di restare capo del partito maggioritario e a Berlusconi di restare dominus di quello indispensabile affinché il primo non pedali a vuoto, allora ci si deve sbrigare; se, invece, punta alla legislatura, allora deve allargarsi all’economia. Altrimenti diventerà un patto fra incoscienti, incapaci e disperati.