occupazione

Un piano per salvare i rassegnati

Un piano per salvare i rassegnati

Walter Passerini – La Stampa

Negli ultimi dati Istat relativi al secondo trimestre dell’anno, un’attenta analisi può condurre a focalizzare meglio i target di una nuova strategia. Esaminando con una lente di ingrandimento alcuni particolari, si scopre, per esempio, che sullo stock dei 3,2 milioni di disoccupati, l’aumento dei disoccupati è alimentato soltanto dalle persone in cerca di lavoro da almeno 12 mesi, che nel secondo trimestre 2014 arrivano a 1 milione 952mila unità (+13,9% pari a 238.000 unità).

L’incidenza della disoccupazione di lunga durata (12 mesi o più) sale così al 62,1%, dal 55,7% del secondo trimestre 2013. Chi resta senza lavoro rischia di rimanere in un girone infernale da cui non riesce a uscire. Se poi si mettono sotto la lente gli inattivi, si scopre un esercito di rassegnati e sfiduciati. Coloro che cercano lavoro anche se non attivamente sono quasi 1,8 milioni; coloro che non cercano lavoro ma sono disponibili a lavorare sono 1,5 milioni. Si tratta di 3,3 milioni di individui, un numero superiore ai disoccupati ufficiali (3,2). Se ancora si vanno a vedere i motivi della mancata ricerca del lavoro, si trovano 2 milioni di individui che non cercano più il lavoro perché ritengono di non riuscire a trovarlo. È questo uno zoccolo duro di rassegnati che, sommati a disoccupati, contrattisti a termine, cassintegrati e in mobilità, finti collaboratori, part timer involontari, fotografa l’esercito della sfiducia che va riportato al lavoro.

Lavoro in Italia ultimo per efficienza

Lavoro in Italia ultimo per efficienza

Metro

Il mercato del lavoro italiano è ultimo  per efficienza in Europa e 136mo su 144 censiti nel mondo. In termini  di efficienza ed efficacia si situa infatti a un livello leggermente  superiore a quelli di Zimbabwe e Yemen ed inferiore a quelli di Sri  Lanka e Uruguay. Lo rivela un’elaborazione del Centro Studi  ImpresaLavoro sulla base dei dati pubblicati dal World Economic Forum. Rispetto al 2011 retrocediamo di 13 posizioni a livello mondiale in  termine di efficienza generale del nostro mercato del lavoro e  soprattutto perdiamo 19 posizioni con riferimento alla collaborazione  tra impresa e lavoratore così come altre 15 per la complessità delle  regole che ostacolano licenziamenti e assunzioni. L’unico settore in cui non si registra un arretramento dell’Italia è  quello relativo alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro: conserviamo infatti la comunque assai deludente 93ma posizione che  avevamo raggiunto nel 2011.

«Questa performance negativa è frutto certamente dei difetti strutturali del nostro sistema ma i provvedimenti legislativi degli ultimi anni non hanno certo aiutato a migliorare la situazione» spiega Massimo Blasoni, presidente di “ImpresaLavoro”. «L’elaborazione del Centro Studi chiarisce come i problemi del nostro mercato del Lavoro siano sempre gli stessi e abbiano subito un peggioramento piuttosto marcato dal 2011 a oggi, complice con ogni probabilità l’irrigidimento delle regole stabilito dalla cosiddetta legge Fornero».

Collaborazione
Scarsa collaborazione in Italia nelle relazioni tra datori e lavoratori. Tra i Paesi dell’Europa a 27, infatti, il Belpaese si posizione ultimo in classifica proprio per quanto riguarda i rapporti tra dipendenti e imprenditori. AI primi tre posti ci sono Danimarca, Austria  e Olanda.

Tassazione
In tema di retribuzioni siamo il peggior Paese europeo per capacità di legare lo stipendio alla produttività.  Dati che vanno letti assieme a quelli sugli effetti dell’alta tassazione: nessun Paese Ue fa peggio di noi quanto a effetto della pressione fiscale sull’incentivo al lavoro.

Meritocrazia
Italia arretrata in Ue  nella qualità del personale impiegato.  Siamo penultimi (davanti solo alla Romania) per la capacità di affidare posizioni manageriali in base al merito (e non per amicizia, parentela, raccomandazioni) e finiamo in coda anche per l’incapacità di attrarre talenti.

Sud sempre più in affanno
Secondo il rapporto annuale dell’Eurispes, la  situazione dell’economia meridionale risulta essere “particolarmente  critica; quasi tutti gli indicatori sono decisamente inferiori  rispetto a quelli delle altre aree del paese e alle medie nazionali”.

Modifiche all’articolo 18 domani in Commissione
Riparte questa settimana la discussione in merito alla  modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, nell’ambito del Jobs Act. Domani la commissione Lavoro del Senato esaminerà le proposte di modifica dell’articolo 4, che riguarda lo Statuto e che delega al Governo il riordino delle forme contrattuali. I partiti centristi della maggioranza vorrebbero inserire le modifiche sui licenziamenti , mentre la sinistra Pd chiede di non modificare il perimetro della delega. Obiettivo del Jobs Act, in Aula al Senato dal  23 settembre, è modernizzare il mercato del lavoro.

Mercato del lavoro bloccato, siamo tra gli ultimi al mondo

Mercato del lavoro bloccato, siamo tra gli ultimi al mondo

Sergio Patti – La Notizia

Ovvio che trovare un impiego in Italia è quasi impossibile. Il nostro mercato del lavoro è ultimo per efficienza in Europa e 136esimo su 144 censiti nel mondo. In termini di efficienza ed efficacia si situa infatti a un livello leggermente superiore a quelli di Zimbabwe e Yemen ed inferiore a quelli di Sri Lanka e Uruguay. Lo rivela un’elaborazione del Centro Studi ImpresaLavoro sulla base dei dati pubblicati dal World Economic Forum. Rispetto al 2011 retrocediamo di 13 posizioni in termine di efficienza generale del nostro mercato del lavoro e soprattutto perdiamo 19 posizioni con riferimento alla collaborazione tra impresa e lavoratore così come altre 15 per la complessità delle regole che ostacolano licenziamenti e assunzioni (hiring and firing process). L’unico settore in cui non si registra un arretramento dell’Italia è quello relativo alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro: conserviamo infatti la comunque assai deludente 93esima posizione che avevamo raggiunto nel 2011.

Quadro che peggiora
Lo studio evidenzia le difficoltà che il nostro sistema attraversa e dimostra il peggioramento delle condizioni del nostro mercato del lavoro negli ultimi tre anni. Dati che ci pongono agli ultimi posti per efficacia nel mondo e, quasi sempre, all’ultimo posto in Europa. Tra i Paesi dell’Europa a 27, ad esempio, siamo ultimi per quanto concerne la collaborazione nelle relazioni tra lavoratori e datore di lavoro (ai primi tre posti ci sono Danimarca, Austria e Olanda). Siamo terz’ultimi per flessibilità nella determinazione del salario, intendendo con questo che a prevalere è ancora una contrattazione centralizzata a discapito di un modello che incentiva maggiormente impresa e lavoratore ad accordarsi.

Troppe tasse
E proprio in tema di retribuzioni siamo il peggior Paese europeo per capacità di legare lo stipendio all’effettiva produttività. Dati questi che vanno letti assieme a quelli sugli effetti dell’alta tassazione sul lavoro: nessun Paese in Europa fa peggio di noi quanto a effetto della pressione fiscale sull’incentivo al lavoro. E siamo ancora ultimi per l’efficienza nelle modalità di assunzione e licenziamento: un indicatore determinante, perché evidenzia quanto questi processi siano ostacolati dal sistema delle regole e da disposizioni quali quelle, ad esempio, dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

Leggi balorde ed enti locali scoppiati si oppongono ai nuovi posti di lavoro

Leggi balorde ed enti locali scoppiati si oppongono ai nuovi posti di lavoro

Pierluigi Magnaschi – Italia Oggi

Gli economisti la fanno facile. Apri lì, chiudi là. Il grafico parla chiaro. La correlazione spiega tutto. Il risultato finale però è che, con il denaro quasi a costo zero (ma solo per le banche), nessuno assume più nessuno in Italia. È vero che l’articolo 18 non ispira fiducia. Che il codice del lavoro, in pratica, non esiste e, in ogni caso, le norme che ci sono, hanno una complessità tale da non essere traducibili in inglese, una lingua fattuale, non bizantina come quella che usano i nostri burocrati ma che, in ogni caso, è anche la lingua degli affari, qualsiasi sia la nazionalità dei contraenti. Ma è soprattutto vero, e questo è il punto, che in Italia non c’è un pensiero di massa favorevole all’investimento e quindi alla creazione di nuovi posti di lavoro che producono più ricchezza di quanta ne distruggano.

Fin che i posti di lavoro (veri o falsi) li poteva creare la filiera pubblica (Stato ed Enti locali) il guaio della non creazione di nuovi posti di lavoro era ugualmente presente ma era poco percepito. Ma adesso che la pubblica amministrazione non può più assumere, o sta assumendo con il contagocce, il problema è diventato drammatico come ben illustrato, sinteticamente, dai livelli stellari della disoccupazione giovanile che, in alcune aree del Sud, raggiunge il 70%.

Dagli anni 70 in poi (e lo Statuto dei lavoratori ne è un esempio; ma non certo il solo; né il più pericoloso per l’occupazione) è prevalsa, nel nostro paese, la cultura anti-industrialistica, come risultato del matrimonio fra il movimentismo sessantottardo, il comunismo impermeabile alle dure repliche della storia e il sinistrismo cattolico (diventato, nel frattempo, ateo) ma basato sempre sulla certezza che, alla fine, interverrà la provvidenza a sistemare le cose nate male e costruire peggio. Questo mix ha prodotto una mentalità legislativa devastante che si è tramutata in leggi e regolamenti incomprensibili e che spesso rasentano la demenza, che però sopravvivono al mutato clima intervenuto nel Paese e che spesso impediscono ai burocrati avveduti (ce ne sono) di evitare di creare ostacoli allo sviluppo.

Con norme stupide, anche un burocrate intelligente opera da stupido. Un esempio? Il Politecnico di Milano decide di impartire in inglese l’insegnamento per la laurea specialistica, ambito nel quale i testi di riferimento sono già al 90% in questa lingua. Ebbene, un professore in arretrato sui tempi ricorre al Tar. E il Tar gli dà ragione. Da qui l’accusa che quel magistrato del Tar è uno stupido. No, non è stupido. Ha solo obbedito (come deve) a una legge, quella sì stupida, che, essendo del 1933, in piena epoca fascista, esprimeva un momento in cui il mito italico era stato ingigantito da Mussolini. Il guaio, in questo caso, non è quindi del Tar ma del legislatore (che si dice, da 70 anni, democratico e antifascista) ma che non ha provveduto a cancellare questa norma, appunto, fascista.

Il Corriere della Sera di ieri, in un ottimo articolo da Londra di Michele Farina, ha bene illustrato il calvario di un’imprenditrice inglese innamorata del Salento, nel tentativo di realizzare a Nardò, «in una zona semi-abbandonata con la spazzatura in giro» un resort basato sull’ecoturismo e legato a Slow Food. Un resort che fosse «qualcosa di bello da cui guadagnassero tutti». Per realizzare questo obiettivo, aveva stanziato 70 milioni di euro che però non hanno potuto essere spesi per l’ignavia della Regione (ma non dell’amministrazione comunale e persino dei sindacalisti locali che, onore al merito, si sono immediatamente schierati a sostegno del progetto). Subito è partito «un ricorso al Tar», dice l’imprenditrice inglese. «Il Tar ci ha dato ragione. Ma, subito dopo, è arrivato l’appello. Adesso siamo al Consiglio di stato. Ma la sentenza potrebbe arrivare fra due anni. Non si sa». L’imprenditrice intanto chiede un incontro con la Regione Puglia: «Mi ha accompagnato», spiega, «anche il mio partner nel progetto, Ian Taylor, broker nel petrolio. In Regione ci hanno concesso mezz’ora. Mezz’ora per rispondere a una domanda: Possiamo parlarne? Cosa possiamo fare? La risposta è stata: Forse».

L’imprenditrice coinvolta in questo caso, Allison Deighton, è moglie di Lord Paul Deighton, sottosegretario al tesoro britannico, ex top manager di Goldman Sachs. «Mio marito», dice la Deighton, «era contrario. Oltretutto, il suo lavoro è attirare gli investitori in Gran Bretagna. Adesso lo so anch’io: investire in Italia mette paura». Anche se lo fai per amore dell’Italia, anzi del Salento. Una prece. Per noi. Per i nostri figli e nipoti. Altro che riforma del Senato.

Il nostro mercato del lavoro è il meno efficiente d’Europa

Il nostro mercato del lavoro è il meno efficiente d’Europa

SINTESI DEL PAPER

Il mercato del lavoro italiano è ultimo per efficienza in Europa e 136mo su 144 censiti nel mondo. In termini di efficienza ed efficacia si situa infatti a un livello leggermente superiore a quelli di Zimbabwe e Yemen ed inferiore a quelli di Sri Lanka e Uruguay. Lo rivela un’elaborazione del Centro Studi ImpresaLavoro sulla base dei dati pubblicati dal World Economic Forum.
Rispetto al 2011 retrocediamo di 13 posizioni a livello mondiale in termine di efficienza generale del nostro mercato del lavoro e soprattutto perdiamo 19 posizioni con riferimento alla collaborazione tra impresa e lavoratore così come altre 15 per la complessità delle regole che ostacolano licenziamenti e assunzioni (hiring and firing process). L’unico settore in cui non si registra un arretramento dell’Italia è quello relativo alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro: conserviamo infatti la comunque assai deludente 93ma posizione che avevamo raggiunto nel 2011.
L’indicatore dell’efficienza è in realtà un aggregato di più voci che bene evidenziano le difficoltà che il nostro sistema attraversa e rendono plasticamente l’idea del peggioramento delle condizioni del nostro mercato del lavoro negli ultimi tre anni. Inoltre, i principali indicatori analizzati ci pongono agli ultimi posti per efficacia nel mondo e, quasi sempre, all’ultimo posto in Europa. Tra i Paesi dell’Europa a 27, ad esempio, siamo ultimi per quanto concerne la collaborazione nelle relazioni tra lavoratori e datore di lavoro (ai primi tre posti ci sono Danimarca, Austria e Olanda). Siamo terz’ultimi per flessibilità nella determinazione del salario, intendendo con questo che a prevalere è ancora una contrattazione centralizzata a discapito di un modello che incentiva maggiormente impresa e lavoratore ad accordarsi. E proprio in tema di retribuzioni siamo il peggior Paese europeo per capacità di legare lo stipendio all’effettiva produttività. Dati questi che vanno letti assieme a quelli sugli effetti dell’alta tassazione sul lavoro: nessun Paese in Europa fa peggio di noi quanto a effetto della pressione fiscale sull’incentivo al lavoro. E siamo ancora ultimi per l’efficienza nelle modalità di assunzione e licenziamento: un indicatore particolarmente significativo, questo, perché evidenzia quanto questi processi vengano ostacolati dal complessivo sistema delle regole e da disposizioni quali quelle, ad esempio, dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Anche la qualità del personale impiegato mette in luce l’arretratezza del nostro Paese: siamo penultimi (davanti alla sola Romania) per la capacità di affidare posizioni manageriali in base al merito e non a criteri poco trasparenza (amicizia, parentela, raccomandazione) e finiamo in coda anche con riferimento alla capacità di attrarre talenti (quart’ultimi) e di trattenere talenti (23mi su 28).
«Questa performance negativa è frutto certamente dei difetti strutturali del nostro sistema ma i provvedimenti legislativi degli ultimi anni non hanno certo aiutato a migliorare la situazione» commenta Massimo Blasoni, presidente di “ImpresaLavoro”. «L’elaborazione del nostro Centro Studi chiarisce come i problemi del nostro mercato del lavoro siano da tempo sempre gli stessi e abbiano subìto un peggioramento piuttosto marcato rispetto al 2011, complice con ogni probabilità l’ulteriore irrigidimento delle regole stabilito dalla cosiddetta Riforma Fornero. Gli alti tassi di disoccupazione, soprattutto giovanile e femminile, e i cronici bassi tassi di attività sono una diretta conseguenza di un sistema tributario e di regole che rendono sempre più difficile assumere e creare occupazione».
Scarica gratuitamente il Paper con tutte le tabelle dati elaborate dal Centro studi ImpresaLavoro “Il nostro Mercato del Lavoro è il meno efficiente d’Europa“.
Leggi il commento del Prof. Giuseppe Pennisi.
Leggi il commento del Prof.
Salvatore Zecchini.
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Lavoro manuale o fuga all’estero, gli under 30 davanti al bivio

Lavoro manuale o fuga all’estero, gli under 30 davanti al bivio

La Stampa

Loro cercano di mettercela tutta, rendendosi disponibili anche al lavoro manuale, ma la fiducia nel futuro è davvero scarsa, tanto da portarli a guardare all’estero come ultima spiaggia. Effetto mediatico e percezioni distorte? No, è un campanello d`allarme che forse non vogliamo sentire: solo il 10% delle ragazze e il 15% dei ragazzi italiani ritiene di avere in patria adeguate occasioni di impiego e cerca di reagire con pragmatismo e adattabilità a un avvenire ritenuto cupo.

Sono questi i risultati che si possono leggere nel Rapporto Giovani, curato dall’Istituto Toniolo in collaborazione con Ipsos e il sostegno di Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo, che da tempo esplora la galassia dei «millennials››. L’indagine è stata condotta su un campione di 1727 giovani di eta tra i 19 e i 30 anni. Oltre l’80% degli intervistati si dichiara pronto a svolgere un lavoro di tipo manuale, tre su quattro ambirebbero a un’attività in cui poter esprimere la propria creatività, senza badare troppo alla coerenza con i titoli di studio. L’85% dei maschi e il 90% delle femmine ritengono che l’Italia non offra possibilità di trovare lavoro ad un giovane con la preparazione posseduta e pensano di andare all’estero.

Di chi è la colpa? La crisi c’entra, ma non è l’unico motivo. Per il 30% il problema sono i limiti strutturali del mercato che dà poche occasioni, bassa qualità e contratti brevi e precari. In secondo luogo viene la situazione economica complessiva, al terzo posto la «preferenza data ai raccomandati», al quarto la «minore esperienza» (15,4%). Solo un intervistato su cento ritiene che i giovani rifiutino alcuni lavori. Per questo i giovani guardano anche al lavoro manuale, ma ad alcune condizioni: stipendio adeguato, lavoro creativo e flessibilità dell’orario. E nella classifica dei lavori preferiti compaiono quelli per le giovani generazioni oggi più facili da trovare, ma che sono di bassa qualità. Pochissimi consiglierebbero ad un amico di fare il telefonista di call center (35%), l’operatore di fast food (42%), o il distributore di volantini (15%).

E che cosa ne sanno i giovani del provvedimento governativo a loro dedicato partito a maggio? Poco o niente e rivelano una bassa fiducia sull’impatto generale che la misura potrà avere. Sulla Garanzia giovani, infatti, il 45% dichiara di non saperne nulla e il 35% di averne sentito vagamente parlare. Meno di un giovane su cinque la conosce abbastanza bene (14%) o molto bene (5%). Anche tra i «Neet», i giovani che non studiano e non lavorano e che rappresentano il target principale del provvedimento, la percentuale di chi la conosce abbastanza o molto bene risulta molto bassa (attorno al 22%). Riguardo agli effetti solo il 37% pensa che migliorerà molto o abbastanza il rapporto dei giovani con il mercato del lavoro. Prevalgono gli scettici con un 54% che afferma che cambierà poco o nulla. I meno convinti sono proprio i «Neet», per i quali la sfiducia sale al 58%.

«I giovani – afferma Alessandro Rosina, uno dei curatori del Rapporto Giovani – sono stanchi di promesse e annunci: vogliono solo fatti. Senza risposte credibili e concrete il rischio è quello di alimentare sfiducia, frustrazione e fuga verso l’estero. Preoccupa che l’80% concordi con chi pensa che per migliorare davvero la propria condizione, più che sperare nella Garanzia giovani, la scelta migliore sia quella di andare all’estero».

Le aziende cercano 30mila posti. Se sei straniero è più facile lavorare

Le aziende cercano 30mila posti. Se sei straniero è più facile lavorare

Francesco De Dominicis – Libero

L’Italia dei paradossi. Con migliaia di posti di lavoro «vacanti», perché non ci sono figure professionali all’altezza, e l’occupazione sempre meno «tricolore». Sono gli effetti della crisi e pure di un Paese che non è capace di formare i giovani secondo le effettive esigenze delle aziende né di mettere gli imprenditori di offrire «posti» con condizioni allettanti (o almeno ragionevoli) agli italiani, spesso superati dagli stranieri, più portati ad accettare condizioni, mansioni e salari snobbate dai «locali». Tuttora in piena crisi e forse non ancora completamente fuori dalla più dura recessione della storia, l’Italia si mette davanti allo specchio e scopre di non essere capace di far lavorare i suoi cittadini. Una fotografia piena di ombre che viene fuori mettendo insieme i risultati di due recenti ricerche.

Quella del Centro studi ImpresaLavoro rivela che l’analisi dei tassi di occupazione degli stranieri in Europa ci consegna un dato davvero curioso: l’Italia è uno dei pochi paesi dell’Unione europea in cui gli stranieri sono occupati più e meglio dei cittadini nazionali. I dettagli: la Penisola sconta un basso tasso di attività tra i suoi cittadini residenti (59.5%), di circa 9 punti inferiore alla media europea. E il nostro Paese, come accennato, è uno dei pochi in grado di garantire agli stranieri residente un tasso di occupazione migliore (61,9%) di quello che riescono a far segnare i cittadini italiani. Il dato, peraltro, è in controtendenza con tutti i maggiori paesi Ue: confrontando il tasso di occupazione dei francesi (70,6%) e quello degli stranieri residenti in Francia (55,9%), si scopre che i locali sono in vantaggio del 4,7%; in Germania i tedeschi (78.7%) sono in vantaggio del 13,7% sugli stranieri (65,0%). E ancora: in Spagna i locali sono avanti del 6,7%, in Gran Bretagna del 5%, in Grecia del 3,1%. Insomma, o l’Italia è troppo generosa o qualcosa non va.

Che il motore sia inceppato, in ogni caso, lo dimostra pure la ricerca della Cgia di Mestre: su ben 29mila nuovi posti di lavoro, quasi 8.500 corrono il rischio di non essere coperti perché non reperibili sul mercato del lavoro. C’è da dire che si tratta di un dato, quest’ultimo, molto inferiore a quello riferito al 2009 che, in termini assoluti, era pari a quasi 17.600. In buona sostanza, negli ultimi sei anni i «lavoratori introvabili» sono pressoché dimezzati. Di là dal calo, gioco forza cagionato dalla bufera finanziaria e dalla crisi, esiste una lunga lista di professioni poco «coperte», dove la difficoltà di trovare personale è molto elevata: si tratta di analisti e progettisti di software, tecnici programmatori, ingegneri energetici e meccanici, tecnici della sicurezza sui lavoro ed esperti in applicazioni informatiche. In questi ultimi sei anni, secondo l’analisi Cgia che ha messo a confronto i dari di quest’anno con quelli riferibili all’inizio della crisi, c’è stata una profonda trasformazione del mercato del lavoro, sia per la domanda sia per l’offerta. La geografia delle professioni – e con essa anche la graduatoria dei lavoratori più difficili da reperire – è mutata profondamente. Se all’inizio della crisi non si trovava oltre la metà degli infermieri e ostetriche, dei falegnami e degli acconciatori, nel 2014 le professionalità più difficili da trovare (per numero o per caratteristiche personali o di competenza) risultano gli analisti e i progettisti di software (37,7%), i programmatori (31,2%), ingegneri energetici e meccanici (28,1%), i tecnici della sicurezza sul lavoro (27,7%) ed i tecnici esperti in applicazioni informatiche (27,/1%), figure con alta specializzazione e competenza.

Conferma Ocse: Italia sempre più giù

Conferma Ocse: Italia sempre più giù

Tommaso Montesano – Libero

Peggio dell’Italia, che può vantare il poco lusinghiero sorpasso sull’Irlanda, hanno fatto solo Grecia, Spagna, Portogallo e Slovacchia. Un tasso che è destinato a salire al 12,9% nel quarto trimestre del 2014 per poi scendere al 12,2% nel quarto trimestre del 2015. In sei anni, inoltre, i giovani senza lavoro sono raddoppiati: dal 20,3% del 2007, sono passati al 40% del 2013. E ancora: l’Italia è il quarto paese dell’area Ocse per diffusione di false partite Iva, ovvero lavoratori che sulla carta sono liberi professionisti, ma che di fatto offrono prestazioni subordinate. Per non parlare dei guasti provocati dalla riforma del lavoro targata Elsa Fornero durante il governo di Mario Monti, che ha reso «decisamente meno conveniente» per le aziende assumere lavoratori con contratti di collaborazione. Più in generale, oltre il 70% dei lavoratori vive una «sfasatura» tra l’occupazione attuale e il percorso formativo. Nel senso che le qualifiche o sono troppo elevate, o sono troppo basse per il lavoro svolto.

È impietoso per l’Italia il quadro che emerge dal rapporto «Employment Outlook 2014» dell’Ocse. I numeri dei vari indici relegano l’Italia al 49esimo posto dell’indice di competitività, il Global competitiveness index. Il nostro Paese è preceduto, nella graduatoria guidata dalla Svizzera, perfino da Lettonia, Lituania, Azerbaijan ed Estonia. In Italia, nel confronto con gli altri Paesi avanzati, «non è solo elevata la quota di disoccupati, ma anche quella di occupati con un lavoro di scarsa qualità», sostiene l’Ocse.

Giuliano Poletti, ministro del Lavoro, prova a difendersi: «Conosco bene la drammatica situazione dell’occupazione nel nostro Paese, figlia di una crisi che ci sta colpendo da oltre 7 anni e aggravata dalle attuali tensioni del contesto europeo e internazionale e da cattive politiche del passato». Maurizio Sacconi, capogruppo del Nuovo centrodestra al Senato ed ex ministro del Lavoro, incalza: «Ormai è evidente a tutti che le istituzioni sovranazionali, dall’Ocse al Fondo monetario, dalla Commissione europea alla Bce, considerano la riforma del mercato del lavoro come il passaggio più emblematico dalla vecchia alla nuova dimensione della vita istituzionale, economica e sociale italiana». La Lega, invece, affonda il coltello sul governo. «Altro che cambia verso, il Pd ha messo il Paese nel verso del baratro», attacca il capogruppo alla Camera, Massimiliano Fedriga.

Il labirinto dei bonus per favorire l’occupazione

Il labirinto dei bonus per favorire l’occupazione

Alessandro Rota Porta – Il Sole 24 Ore

In periodi di crisi economica come quello attuale abbattere il costo del lavoro diventa un`esigenza primaria: riuscire a cogliere incentivi sulle assunzioni è pero una strada impervia. Non solo non esiste un contenitore normativo organico a cui far riferimento (più volte le deleghe a riordinare la materia, demandate dal legislatore al governo sono cadute nel vuoto), ma gli stessi meccanismi operativi si presentano piuttosto complessi: intanto, perché quasi mai i bonus – così come vengono licenziati a livello legislativo – sono immediatamente fruibili, necessitando di disposizioni attuative emanate a distanza; poi, perché occorre far riferimento alle condizioni generali di fruizione e a quelle specificatamente richieste dai singoli incentivi. 

Scorrendo il panorama delle misure disponibili, i datori di lavoro che vogliano accaparrarsi uno sconto contributivo o fiscale, in fase di inquadramento di nuovo personale, devono ricercare lavoratori che possano portare in dote i bonus, vagliando il loro status occupazionale al momento dell’assunzione. Gli strumenti più recenti sono stati licenziati con il Dl 91/2014 (decreto competitività) e riguardano le aziende agricole: chi assume giovani a tempo indeterminato (o a termine con durata almeno triennale e occupazione minima garantita) può godere di un incentivo sulla contribuzione pari a 1/ 3 della retribuzione lorda imponibile ai fini previdenziali. Le domande vanno presentate all’Inps e il bonus è riconosciuto in base all’ordine cronologico delle domande: sul punto è però necessario attendere le istruzioni dell’istituto. 

Sempre legato alla categoria dei “giovani”, c’è l’incentivo del Dl 76/2013, riservato a soggetti “svantaggiati” e correlato ad assunzioni a tempo indeterminato o alla stabilizzazione di lavoratori assunti con contratto a termine: la misura corrisponde a un terzo dello stipendio mensile lordo imponibile ai fini previdenziali, con un tetto di 650 euro al mese, per 18 mesi al massimo (che scendono a 12 in caso di trasformazione del rapporto a tempo indeterminato). 

Esaminando le altre agevolazioni, ve ne sono alcune che puntano a favorire la ricollocazione di lavoratori over 50 disoccupati da oltre 12 mesi e donne di qualsiasi età, prive di un impiego retribuito da almeno 24 mesi (0 da 6 mesi con riferimento alle donne rientranti in settori o residenti in aree geografiche ad elevato tasso di disoccupazione): queste prevedono l’abbattimento del 50% dei contributi Inps e Inail, per 18 mesi in caso di assunzioni a tempo indeterminato e lino a 12 per i contratti a termine. 

Con riguardo ai lavoratori disoccupati o iscritti alle liste di mobilità si segnalano altresì gli incentivi derivanti dalla loro riassunzione, rispettivamente ai sensi delle leggi 407/90 e 223/91: in alcune ipotesi si può ottenere l’abbattimento totale della contribuzione Inps, per 36 mesi. Da ricordare altresì lo sgravio riservato ai titolari di Aspi, che portano in dote al datore che li ricolloca il 50% dell`indennità che sarebbe loro spettata, per il residuo periodo di trattamento. Infine, sono stati sbloccati dal provvedimento attuativo del Mise (decreto 28 luglio 2014) le agevolazioni legate all’assunzione di personale qualificato nella ricerca. 

A.A.A. Cercasi lavoro, rigorosamente in nero

A.A.A. Cercasi lavoro, rigorosamente in nero

Loredana Di Cesare – Il Tempo

«Nun ce prova à a toccamme er vetro!», urla dal finestrino un automobilista al semaforo rosso. All’incrocio tra via Carlo Felice e via di Santa Croce in Gerusalemme, nel quartiere San Giovanni, a Roma, armati di spazzola e olio di gomito, vestiamo i panni del lavavetri. Non è facile, tra i veri professionisti si contano soprattutto cingalesi e rom che come noi ricevono ogni tipo d’insulto. Siamo italiani e non fa differenza per nessuno. Il commento più gentile: «Siete fastidiosi, non vedete che ho il vetro pulito?». C’è chi si posiziona lontano dal semaforo, chi aziona il tergicristallo, chi alza il finestrino. Un ragazzo riconosce che siamo italiani e sdegnato commenta: «Che ci fate qui? È un lavoro per immigrati». «Non ho spiccioli, non posso pagare», dice una ragazza, ma noi le puliamo lo stesso il vetro e lei ci manda “a quel paese”: «Vi ho detto che ero senza monete, adesso vi attaccate». Tra umiliazioni e insulti contiamo il nostro guadagno: è passata un’ora, il nostro incasso è di 4,50 euro, in nero. Ma ci sono altri mestieri, più redditizi, che in tempi di crisi si possono prendere in considerazione. Ne abbiamo scelti 30.

HOSTESS Fino a 500 euro a sera
Selezionatissime. Il vaglio di curriculula è disponibile su internet, su appositi siti, tappezzati da decine di foto per ogni candidata. Il guadagno è notevole: le più qualificate possono incassare anche 500 euro per una serata.

MAGO 100 euro a serata
Regalare pochi istanti d’illusione può valere anche 70 euro. Per una performance in una festa privata si possono chiedere dai 50 ai 100 euro. Ma non ci s’improvvisa: serve esercitazione costante e un bagaglio di trucchi.

SARTA 2000 euro al mese
Il taglia e cuci non conosce crisi, se in famiglia si lavora in due non c’è tempo per rammendare. Per le riparazioni si parte da 500 euro al mese. Più sei specializzata, più guadagni. Si può arrivare fino ai 2.000 euro mensili.

GIOCOLIERE 100 euro al giorno
Giocolieri con clavi, palline e bolas, trampolieri, maghi e prestigiatori al semaforo. Appena scatta il rosso va in scena il circo con la speranza di strappare un sorriso e una monetina all’automobilista. Questo mestiere richiede preparazione, capacità d’improvvisazione e simpatia. Molti degli artisti di strada guadagnano anche 100 euro al giorno.

TASSISTA ABUSIVO Da 30 a 50 euro a corsa
«Prego taxi…». Questa frase è un mantra all’uscita della stazione Termini. Pronunciata dai tassisti abusivi che si confondono tra quelli con regolare licenza. Non essendoci il tassametro, i guadagni sono il frutto di una trattativa piuttosto lunga con il cliente. Le tariffe variano a seconda dei passeggeri. Possono chiedere fino a 50 euro a persona.

GIARDINIERE 20 euro l’ora
Un mestiere molto richiesto. La rete pullula di offerte di potatura di giardini e aiuole sia per ville che per condomini. I guadagni sono difficili da quantificare con precisione. A volte si procede con cifre forfettarie, quando i lavori sono complessi e duraturi nel tempo. La formula «lavori a chiamata »è molto più redditizia: si guadagnano anche 20 euro l’ora.

DOG SITTER 12 euro l’ora
È un lavoro che richiede molta pazienza e attitudine nel gestire gli animali. A parte questo è necessario dotarsi di paletta e buste in plastica: per portare a passeggio i cani di padroni pigri o indaffarati si incassano circa 12 euro l’ora. Per ottimizzare i guadagni si portano a fare i bisogni più cani contemporaneamente. E la paga lievita.

BADANTE 800 euro l’ora
È il vero lavoro del futuro, considerato l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle malattie senili. È un mestiere prevalentemente al femminile. È necessaria una grande predisposizione al contatto con la sofferenza. Le badanti che vivono con un anziano chiedono circa 800 euro al mese. Le assistenti che sono pagate a ora: circa 8 euro.

CARTOMANTE 15 cent. al minuto
Per leggere il futuro basta un breve corso di formazione su tarocchi e costellazioni. La domanda è piuttosto elevata ma, se parliamo di divinazioni on line, per ogni minuto di consulenza, un cartomante guadagna circa 15 centesimi. Le consulenze dal vivo, invece, sono sempre più una rarità. Ma resistono per i clienti affezionati e per i più anziani.

PROSTITUTA 120 euro a prestazione
Patrizia, 28 anni, si presenta così in un annuncio on line: «Sono romana doc, tutta naturale. Se vieni a giocare in casa mia, ti offro massaggi ovunque tu desideri». Prima di iniziare a prostituirsi era segretaria in uno studio medico. Aveva un contratto e guadagnava 750 euro mensili. Oggi per ogni massaggio riceve 120 euro. Lavora solo nel weekend.

RIPETIZIONI 30 euro l’ora
Molto richieste e più retribuite quelle di matematica: 30 euro l’ora. Per le lezioni di Latino e greco si guadana intorno ai 20 euro l’ora. Per l’inglese il costo è 15 euro l’ora mentre per la stessa cifra si può insegnare anche via Skype.

SKIPPER Oltre i 2.000 euro al mese
Manovrare imbarcazioni al posto dei proprietari può portare a guadagnare oltre 2 mila euro al mese. Più la barca è grande, più si guadagna. Fuori stagione guadagni extra per portare le barche da un porto all’altro per i rimessaggi.

RACCOGLITORE 7 euro l’ora
I raccoglitori stagionali di frutta sono di solito stranieri. Se italiani. sono molto giovani: dai 17 ai 25 anni. Grande fatica fisica e orari da levataccia per una paga oraria di circa 7 euro l’ora. Molte le donne impiegate nel settore.

FIORISTA 30 euro al giorno
Il fiorista ambulante è sempre in cerca di gentleman – sempre più rari – da convincere a un gesto d’amore per la propria signora. E non se la passa benissimo. Giorno e notte in giro per portare a casa tanti «no» e solo 30 euro.

IMBIANCHINO 50 euro al giorno
È un mestiere per cui i prezzi si pattuiscono a giornata o a progetto completato. Per imbiancare e ristrutturare un appartamento, per esempio, vengono richiesti in media almeno 50 euro a giornata.

VU’ CUMPRÀ 7.000 euro a stagione
Quelli «da spiaggia» come veri e propri campionari ambulanti. Teli da mare, pashmine, collanine, braccialetti, occhiali da sole e paccottiglia varia nei borsoni: il loro guadagno stagionale che può valere circa 7 mila euro.

MECCANICO Fattura o sconto?
Con fattura, o no, le tariffe del meccanico che sfugge al fisco restano comunque elevate. Un esempio: per cambiare la cinta di distribuzione di un’auto, in nero, ci è stato chiesto 300 euro. Con fattura costa poco più di 350 euro.

PARRUCCHIERE 15 euro per un taglio
Esercitano la professione nelle case delle clienti. Armati di forbici e bigodini, per lavaggio e piega chiedono 10 euro. Con il taglio si arriva a 15 euro a cui si aggiunge la tinta che, se comprata dal cliente, vale 3 euro in più.

CAMERIERA 5 euro l’ora
Nei pub è richiesta la bella presenza. Preferibili donne tra i 20 e i 30 anni. La paga è di circa 5 euro l’ora per uno standard di dieci ore al giorno. Stesso discorso per il personale dei ristoranti dove però non conta l’aspetto fisico.

CALL CENTER 700 euro al mese
Gli outbound – centralinisti che vendono prodotti e servizi – sono i più spietati e pagati a provvigione: si guadagna in base agli appuntamenti fissati. Elenco telefonico alla mano e tanta fortuna. Si arriva a 700 euro al mese.

BABY SITTER 30 euro al giorno
È uno dei mestieri più diffusi tra le studentesse. Per badare a bimbi molto piccoli la media giornaliera del guadagno raramente supera i 30 euro per otto ore di lavoro. E c’è chi, per la stessa cifra, richiede anche le pulizie.

COLF 800 euro al mese
Lo stipendio è spesso integrato con vitto e alloggio. Le paghe medie sono di 800 euro al mese. Requisiti: negli annunci a volte è preferita un’età massima di 40 anni. Sono sempre molto gradite «ottime conoscenze» in cucina.

ESTETISTA 200 euro al giorno
Mestiere molto diffuso e molto redditizio. Per una manicure e pedicure a casa, 10 euro. Per una ceretta completa 25 euro. Le entrate migliori arrivano d’estate: si può viaggiare anche sui 200 euro al giorno d’incasso.

FACCHINO 5 euro l’ora
Il lavoro, più adatto agli uomini, consiste nel caricare e scaricare cassette di frutta e ortaggi nei mercati generali. Occorre recarsi una volta alla settimana nei punti vendita e chiedere la disponibilità. Paga media: 5 euro l’ora.

GIGOLÒ 10 mila euro al mese
Quando si preannuncia questa parola viene subito in mente il giovane Richard Gere del film «American Gigolò». Giovani, palestratissimi e aitanti, i loro annunci viaggiano su internet e a volte sui quotidiani. Mestiere in crescita, anche se meno diffuso dell’omologo femminile, con tariffe sempre piuttosto elevate: arrivano a guadagnare 10 mila euro al mese.

PIZZA BOY 30 euro al giorno
Lo stipendio è legato a molte variabili. Le pizzerie che consegnano a domicilio di solito offrono un fisso tra i 15 e i 20 euro a serata, più una percentuale sulle consegne. Con le mance si può guadagnare fino a 30 euro al giorno.

LAVAPIATTI 7 euro l’ora
C’è molta richiesta. Sul web, nell’ultima settimana, ne abbiamo contate oltre 400. Il salario medio – per esempio in una tavola calda – non supera i 7 euro l’ora. A cui, in alcuni casi, può aggiungersi parte delle mance raccolte in sala.

ANIMATORE 25 euro l’ora
Il mestiere si sta affermando sempre più, anche per gli spazi creati nei grandi centri commerciali per intrattenere i più piccoli. Per una festa di due ore si possono chiedere 50 euro per un massimo di 15 bimbi.

DANZATRICE 100 euro a esibizione
Per quelle «del ventre» si parte dai 100 euro a esibizione ma il guadagno può salire parecchio a seconda della durata dello spettacolo e dal tipo di evento (feste pubbliche o private). Necessario un adeguato abbigliamento.