paolo giacomin

Ultima chiamata

Ultima chiamata

Paolo Giacomin – La Nazione

Fedele alla linea del fare «tutto ciò che occorra» per salvare l’euro, Mario Draghi ha sostanzialmente dato un po’ di liquidità al mercato tagliando i tassi al minimo storico e un po’ di sostegno (teorico) alla crescita annunciando l’acquisto dalle banche di pacchetti di crediti deteriorati contratti da famiglie e imprese. Solo un mezzo colpo di bazooka, dice la pattuglia di quanti aspettavano un’ondata di quattrini dall’elicottero in stile Fed di cui la Bce ha solo discusso per rinviare qualunque decisione a data imprecisato. Un colpo di bazooka ben assestato, invece, guardando la reazione dei mercati: Borse in festa e spread in picchiata, da un lato. Euro in decisa discesa sul dollaro a beneficio dell’export e a danno del costo del petrolio e dell’energia.

Draghi poteva fare di piu? No, ha fatto tutto quello che poteva: un colpo anche più duro di quello atteso e al costo di una rottura – ammessa esplicitamente – del board della banca centrale con i tedeschi della Bundesbank e non solo, schierati molto probabilmente contro sia al taglio dei tassi sia all’acquisto dei crediti. Sono gli stessi banchieri che Draghi dovrebbe convincere che è cosa buona e giusta inondare di soldi il vecchio continente a uso e consumo degli stati spreconi e in barba ai trattati. Missione impossibile, o quasi.

Insomma, Draghi ha fatto molto. Difficilmente potrà dare di più e, al dunque, tocca ai governi mettersi al passo necessario per uscire dalla crisi: è l’ultima chiamata per le riforme perché, ha rimarcato lo stesso presidente della Bce, ciascuno deve fare il proprio mestiere: all’Eurotower oneri e onori della politica monetaria per togliere l’eurozona dai rischi di deflazione e dalle sacche della recessione. Ai governi spetta la responsabilità di riforme tanto note quanto rinviate e sempre più inevitabili perché, e non ci sono dubbi di interpretazione, non esiste crescita senza riforme. Alla politica spettano le scelte che possano cambiare verso all’Europa e, di conseguenza, alle regole di ingaggio e consentire alla Bce di alzarsi in volo con l’elicottero degli euro. Aspettarsi qualcosa di diverso è come sperare che cada la manna dal cielo. Ma quello fu un miracolo, non cosa di questo mondo.

Se non ci riesce lei…

Se non ci riesce lei…

Paolo Giacomin – QuotidianoNet

Rossella Orlandi, nuova direttrice dell’Agenzia delle Entrate fresca di nomina, ha messo un’ironica pietra tombale sulle tasse in Italia. Con queste parole: «Io che sono una esperta, ho perso un pomeriggio per cercare di capire che cavolo dovevo fare con l’Imu di casa mia». C’è poco da aggiungere e quel pizzico sono i conti sulla pressione fiscale secondo Confcommercio: il 53,2% al netto del sommerso. Una spremuta record per la zona Ocse resa ancora più aspra dalle difficoltà che da anni cittadini e imprese devono affrontare per pagare quanto lo Stato chiede per i propri bisogni di cassa. Ostacoli impietosamente fotografati dal rapporto “Paying Taxes 2014” elaborato da Pwc e Banca Mondiale: dal confronto tra i sistemi fiscali di 189 Paesi risulta, per esempio, che un’impresa in Italia impiega mediamente 269 ore all’anno per pagare le tasse, contro una media europea di 179 ore. A fronte di un’imposizione fiscale complessiva sulle aziende pari al 65,8% (contro il 41% del Vecchio Continente e peggio di quanto misurato da Confcommercio) spalmata in 20,3% sui profitti, 43,4% sul lavoro e 2% in altri balzelli. Vista la pessima situazione di partenza, far meglio non dovrebbe essere impossibile.

La riforma annunciata da Renzi ha offerto alla Orlandi la ribalta per spiegare novità che dovrebbero rendere l’Erario più civile e gentile con il contribuente. Liquidare le buone intenzioni sarebbe prematuro (e un po’ ingiusto), dubitare del buon esito della rivoluzione fiscale è lecito viste le scottature passate, sperare che sia la volta buona è dolorosa necessità perché è dalle strade del Fisco che passano le possibilità di ripresa: riportando la pressione fiscale a livelli più equi (un taglio di cinque punti in cinque anni?), lasciando un po’ di soldi in più in tasca alle persone sperando si riversino almeno in parte sui consumi. E rendendo il pagamento dei tributi meno incerto e imprevedibile. Perché evadere è reato, pagare il Fisco è un dovere, ma non è tollerabile che in Italia persino il proverbio «Nella vita vi sono solo due certezze: la morte e le tasse» ormai si limiti solo all’unica ipotesi inevitabile: sperando che almeno su quella non arrivino altri balzelli.