quirinale

Un’intesa sul Capo dello Stato potrà far ripartire il Paese

Un’intesa sul Capo dello Stato potrà far ripartire il Paese

Francesco Forte – Il Giornale

L’elezione di un capo dello Stato, dotato di spessore politico e prestigio internazionale, capace di assicurare l’equilibrio istituzionale e la continuità della legislatura è importante per mettere a frutto i fattori favorevoli che intervengono per l’economia, col ribasso del petrolio assieme alla nuova politica monetaria della Bce. Il centro studi della Confindustria ha rettificato al rialzo le stime del Pil, con un aumento del 2,1 nel 2015 e di 2,5 nel 2016. Il petrolio a 45-50 dollari riduce i costi di produzione e di trasporto. L’acquisto massiccio di titoli pubblici da parte della Bce (chiamato quantitative easing) aumentando l’immissione di moneta nel circuito economico fa scendere il tasso di interesse e il cambio euro/dollaro incrementando l’export. Inoltre accresce i fondi delle banche disponibili per crediti a imprese e famiglie.

La Confindustria fra i fattori favorevoli cita anche il fatto che la domanda interna ha cessato di diminuire. Ma ammette che alle sue stime ottimistiche si può fare una tara per tenere conto delle difficoltà perduranti in Italia. E qui c’è il suono di un’altra campana, quella della Banca di Italia che riecheggiando Draghi, cioè la Bce, avverte che per cogliere i benefici del quantitative easing bisogna avere continuità nelle riforme e nel consolidamento del bilancio pubblico (riduzione del deficit e del debito). Ed ecco, dunque, che l’elezione del capo dello Stato (tema su cui né Confindustria né la Banca centrale si addentrano, per correttezza istituzionale) in un clima di serenità fra le maggiori forze politiche è molto importante, per la svolta verso la crescita del Pil sopra il 2%. Svolta di cui abbiano grande bisogno dopo tre anni di decrescita sia del Pil che dell’occupazione, in un clima di depressione non solo economica, ma anche morale.

Non possiamo permetterci il lusso di elezioni anticipate, con una legge elettorale strettamente proporzionale, quale quella vigente, che, data la pluralità di forze politiche rende incerto il tipo di governo che ne potrebbe venire fuori e precaria la sua durata. Dopo l’abbattimento di Berlusconi per ragioni pretestuose, nei tre anni successivi ci sono stati quattro governi: un governo Monti, un governo Letta, un governo Letta bis e un governo Renzi con quattro differenti formule e composizioni. Ma nel quarto trimestre del 2014 gli ordini d’acquisto di macchinari industriali delle imprese italiane sono aumentati del 19,1% con un aumento della domanda dall’estero del 19,3 e di quella nazionale del 18,1. La domanda estera cresce in funzione del ribasso dell’euro che ci rende più competitivi. La domanda interna di macchinari cresce perché le nostre imprese li stanno ordinando per sostituire quelli vecchi e ammodernarsi, confidando che il peggio sia passato e che valga la pena di investire per il futuro.

Su cíò gioca il fatto che è emerso un quadro di maggior stabilità politica, dovuto alla tenuta del «Patto del Nazareno». Ciò ha consentito al governo di non impantanarsi nel dissidio fra le correnti del Pd e ha generato la convinzione che la legislatura durerà. Il perdurare della prevedibilità del quadro politico è necessario in generale, per gli investimenti delle imprese e delle famiglie e per le banche per indurle alla cessione alla Bce di titoli pubblici per dare maggiori prestiti all’economia. Un capo dello Stato dotato di spessore politico, di prestigio e di equilibrio, che sia un fattore di coesione ci occorre anche sul piano internazionale, per mettere a frutto i nuovi fattori favorevoli, perché l’Italia deve mediare fra i rigoristi a senso unico di marca tedesca e i lassisti di conio greco. Ci occorre, più che mai, l’unità nazionale e l’immagine di una grande nazione, se vogliamo uscire dalla crisi.

L’Acropoli e il Quirinale

L’Acropoli e il Quirinale

Davide Giacalone – Libero

C’è un filo che lega l’Acropoli al Quirinale. E non è fatto di moneta. Guardando alle elezioni greche ci siamo tutti concentrati su faccende di debito e valuta. Che sono certo rilevanti, ma non uniche. Quel filo passa da questioni politiche più generali, attinenti agli equilibri globali. E mette ancora di più in frizione la posizione della Germania con il posizionamento atlantico dell’Europa.

Gli errori tedeschi li vedemmo per tempo, quando in Italia erano considerati fulgido esempio di virtù economica e lungimiranza politica. Monti arrivò al governo dicendosi economista tedesco e fummo pochini ad avvertire il rischio. Ora, però, provate a mettervi nei panni della classe dirigente tedesca, politica e non solo: hanno aizzato i cittadini nel far credere (falsamente) che correvano il rischio di pagare i debiti altrui, impugnando l’arma del rigore come una specie di falce morale, e si ritrovano con politiche monetarie espansioniste e messi in minoranza presso la Banca centrale europea. Guardate i numeri con i loro occhi: passano per gli affamatori d’Europa, ma poi scoprono che le famiglie italiane hanno più patrimonio delle loro; in Italia ci sono più ricchi, in rapporto alla popolazione, che da loro; mentre nel loro Paese ci sono più poveri che da noi. Gli invasati del germanocentrismo possono non vederlo, ma i tedeschi s’avvedono che, ancora una volta, rischiano per mancanza di visione intemazionale. Erano stati avvertiti, anche da due ex cancellieri. Fatto è che, in questa condizione, è forte la tentazione di far i rigidi con i greci. Tanto più che i torti ellenici non sono pochi. Ma è possibile?

Il problema non è economico. Se all’inizio di questa storia si fosse scelta la strada della protezione, ci sarebbe costata meno. Il problema è di politica estera. La Grecia ha una posizione e un ruolo importanti, accresciuti dallo scivolare della Turchia verso non tanto i costumi neo-islamici, quanto verso le rimembranze vetero-imperiali. Non dimentichiamoci che il bastione della Nato, in quell’area, poggiava e poggia su Turchia e Grecia. E ciò fu possibile grazie all’occidentalismo kemalista, che dominava la Turchia, per il tramite dell’esercito, così come da un equilibrio ellenico che escludeva la possibilità d’influenze comuniste nell’area, fino a rendere possibile il colpo di stato militare. Roba del secolo scorso, certamente. Ma non è che in questo possa avvenire l’opposto.

Il nuovo governo greco è un’incognita, da tale punto di vista. Le alleanze che lo reggono non rassicurano. Ha chiarito che non intende allontanarsi dall’euro, ma cosa succederebbe se politiche sbagliate allontanassero l’euro dalla loro portata? La Grecia sprofonderebbe in una miseria senza fondo, con le banche destinate a saltare una dopo l’altra. Oppure interverrebbero capitali non europei. Quelli cinesi sono gia presenti e crescenti. La Russia è interessata, sia per rapporti esistenti che per riequilibrio sul versante del Mar Nero (dove la Grecia non si affaccia, ma presidia le spalle della Turchia). Anche capitali arabi sarebbero interessati, per giocare qualche pezzo in più sulla già complessa scacchiera mediterranea. E tutti hanno il loro tornaconto nel divaricare le posizioni dell’Unione europea da quelle degli Stati Uniti. Ue che, del resto, nel ribollire scomposto d’astratte patire e di concreti errori, vede crescere, a destra e a sinistra, formazioni nazionaliste e isolazioniste che incarnano la perdita dell’orientamento e della vitale collocazione atlantica. Non è un mistero che l’operazione Quantitative easing sia ben vista a Washington e mal sopportata a Berlino. Mettete anche questa nel conto e darete maggiore corpo al nervosismo tedesco. Quindi: condonare ai greci i loro debiti è impossibile, anche perché sono i nostri soldi; supporre di farglieli pagare per fargliela pagare è impossibile, perché significa perderli; perderli è pericoloso, perché rattrappisce l’Ue attorno agli imperi centrali (e fanno giusto ora 100 anni!). Occorre equilibrio, dunque. Che è il contrario del cavalcare il marasma e soffiare sulle paure.

Il Quirinale c’entra, perché con la Francia implosa (anche lì i tedeschi hanno sbagliato, e la Merkel, facendo campagna per Sarkozy, ha dimostrato i limiti della sua e della tedesca visione politica) l’Italia ha un ruolo accresciuto. O potrebbe averlo. Il che comporta un presidente della Repubblica eletto guardando anche questo scenario, non solo la cucina del potere nostrano. Potremmo essere noi (traendone vantaggio) a tendere la mano di cui i tedeschi hanno bisogno, per placare gli spiriti di un passato oggi interpretato da chi non lo ha vissuto: i più giovani. Per riuscirci, però, c’è bisogno che i nostri protagonisti non siano a loro volta ghermiti da quegli spiriti, sebbene in versione maccheronica. Sarebbe saggio che la cronaca della corsa al Colle, legittimamente agonistica, non fosse meramente dialettale.

Al Quirinale guadagnano il doppio della Casa Bianca

Al Quirinale guadagnano il doppio della Casa Bianca

Fabrizio Di Feo – Il Giornale

Una finestra spalancata sulle retribuzioni dei dipendenti. Un libro contabile a stelle e strisce aperto e aggiornato ogni dodici mesi. Dal 1995 la Casa Bianca è obbligata a inviare ogni anno un rapporto al Congresso e comunicare nel dettaglio l’elenco dei suoi dipendenti, il titolo e il salario. L’amministrazione Obama poi provvede a rendere disponibile online tale documento, così da tenere fede al dovere di trasparenza verso i cittadini.

I nuovi dati sono stati resi pubblici martedì. Un’istantanea che rivela la distanza siderale con il nostro Paese sia in termini di trasparenza (che da noi si trasforma spesso e volentieri in comunicazione, con la pubblicazione di dati parziali e «selezionati»), sia in termini di controllo della spesa pubblica. Il quadro per quanto riguarda la Casa Bianca è molto chiaro. Nel quartier generale di Obama lavorano 456 persone per un costo complessivo del personale di circa 38 milioni di dollari. La retribuzione media è di 83mila dollari, pari a 61mila euro. Lo stipendio massimo è di 172mila dollari pari a 126mila euro, anzi più nel dettaglio nessuno prende più di 172.200 dollari lordi all’anno, e molti devono accontentarsi di 41-42mila dollari. I dirigenti che si attestano sulla soglia massima sono 22. Barack Obama guadagna 400mila dollari, una cifra che nessun altro dipendente pubblico può superare perché nessun lavoro può essere considerato di maggiore responsabilità (il presidente della Corte costituzionale Usa guadagna 223mila dollari – 171mila euro -, il direttore dell’Fbi, 110mila euro, quello della Federal Reserve, 154mila euro). Obama, peraltro, ha deciso di ridare al Tesoro americano il 5% del suo stipendio annuale: 20mila dollari. Ciononostante negli Stati Uniti c’è anche qualche piccola polemica per un aumento medio del 5% per i dipendenti, superiore rispetto agli altri comparti pubblici.

Il paragone con il Quirinale, seppur scontato, è naturale e inevitabile. Negli ultimi anni il Colle ha iniziato un cammino verso una maggiore trasparenza e ha adottato alcune misure di contenimento della spesa, ad esempio con l’abrogazione del meccanismo di allineamento automatico delle retribuzioni del personale di ruolo a quello del personale del Senato. Nel corso del primo settennato di Giorgio Napolitano sono stati compiuti anche alcuni passi per «asciugare» l’organico, diminuito dal 31 dicembre 2006 al 31 dicembre 2013, di 507 unità. La distanza resta, però abissale.

Nella «Nota illustrativa del bilancio di previsione per il 2014», si parla di una «spesa per il personale in servizio che ammonta a 123,4 milioni di euro, in calo di 7,6 milioni rispetto al bilancio di previsione iniziale per il 2013». Nello stesso documento, al di là del «personale complessivamente a disposizione» pari a 1674 unità, si parla di 783 dipendenti come «personale di ruolo». In questo caso la spesa per dipendente si aggirerebbe sui 157mila euro.

Nell’allegato «Documento analitico» si parla, invece, di una spesa per retribuzioni pari a 105 milioni e 231mila euro, con 82 milioni per il personale di ruolo; 8 milioni e 900mila per quello non di ruolo; 10 milioni e 800mila per il personale distaccato; 2 milioni e 371mila per consiglieri e consulenti del Presidente; 147mila per collegi e commissioni; 370mila per oneri e trasferte del personale. A questi 105 milioni vanno aggiunti 9 milioni e 268mila euro di oneri previdenziali per complessivi 114 milioni e 499mila euro. In questo caso la spesa media per dipendente supererebbe di poco i 146mila euro. Non è possibile calcolare – come avviene per la Camera dove è stato compiuto un importante sforzo di trasparenza – quanti dirigenti superino la retribuzione di Giorgio Napolitano, ovvero i famosi 238mila euro fissati come teorica soglia massima da Matteo Renzi per i dipendenti pubblici (un tetto che alla Banca d’Italia viene sforato da ben 665 dirigenti). Un esercizio di trasparenza da adottare al più presto. Così da trasformare il Colle se non in una Casa Bianca in termini di costi, almeno in una casa di vetro.