reddito pro capite

In 10 anni redditi giù di 2.400 euro

In 10 anni redditi giù di 2.400 euro

di Ignazio Mangrano

L’erosione della ricchezza privata dell’8,4% dal 2007 colloca il nostro Paese al di sotto della media europea. Per ImpresaLavoro «la colpa è di bassa crescita e tasse elevate».

Dal 2007 al 2017 gli italiani hanno perduto l’8,4% del loro reddito pro capite, un calo pari a 2.400 euro a cittadino. Dopo essere diminuito da 28.700 a 26.300 euro, questo è ormai scivolato al di sotto della media sia dell’Area euro (30.400 euro) sia dei Paesi dell’Unione Europea a 28 (27.700 euro). Negli ultimi dieci anni, peggio di noi in Europa hanno fatto solo Cipro (-8,6%) e Grecia (-23,3%) mentre nelle altre grandi economie il dato appare costante (+0% in Spagna) o addirittura in aumento: +1,2% in Portogallo, +2,9% in Francia, +3,2% nel Regno Unito, +10,6% in Germania e addirittura +36,9% in Irlanda. È quanto emerge da un’analisi del Centro Studi ImpresaLavoro, realizzata su elaborazione di dati Eurostat.

Va osservato come nel 2017 (ultimo anno rilevato) sia stato registrato un aumento del nostro reddito prò capite (+1,5%, 400 euro), contenuto ma pur sempre superiore a quello ottenuto nello stesso periodo dal Regno Unito (+0,9%, 300 euro) e dal Belgio (+1,5%, 500 euro).

In termini assoluti nel 2017 il reddito pro capite degli italiani (26.300 euro) “appare ancora superiore a quello degli spagnoli (24.500 euro), dei greci e dei portoghesi (17.400 euro) ma resta di gran lunga inferiore a quello della maggior parte dei Paesi europei: Lussemburgo (81.800 euro), Irlanda (56.400 euro), Danimarca (46.500 euro), Svezia (43.000 euro), Paesi Bassi (40.700 euro), Austria (37.100 euro), Finlandia (35.700 euro) e Germania (35-500), Belgio (34-900 euro), Francia (32.300 euro) e Uk (32.100 euro)”.

«I timidi segnali di ripresa non devono illuderci», osserva l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del centro studi ImpresaLavoro, «la carenza di investimenti pubblici e le perduranti oppressioni fiscale e legislativa deprimono gli sforzi delle aziende e frenano un vero rilancio della nostra economia. A farne le spese non sono soltanto quanti, soprattutto giovani, non riescono a entrare nel mondo del lavoro ma pure gli stessi occupati, molto spesso precari. Trovare il nostro Paese in fondo anche a questa classifica internazionale addolora e preoccupa, soprattutto perché fotografa l’avvenuto impoverimento degli italiani e spiega la difficile ripresa dei nostri consumi interni».

Reddito pro capite: in 10 anni abbiamo perso 2.400 euro a testa. Siamo sotto la media UE e dell’Area euro.

Reddito pro capite: in 10 anni abbiamo perso 2.400 euro a testa. Siamo sotto la media UE e dell’Area euro.

Dal 2007 al 2017 gli italiani hanno perduto l’8,4% del loro reddito pro capite, un calo pari a 2.400 euro a cittadino. Dopo essere diminuito da 28.700 a 26.300 euro, questo è ormai scivolato al di sotto della media sia dell’Area euro (30.400 euro) sia dei Paesi dell’Unione Europea a 28 (27.700 euro). Negli ultimi dieci anni, peggio di noi in Europa hanno fatto solo Cipro (-8,6%) e Grecia (-23,3%) mentre nelle altre grandi economie il dato appare costante (+0% in Spagna) o addirittura in aumento: +1,2% in Portogallo, +2,9% in Francia, +3,2% nel Regno Unito, +10,6% in Germania e addirittura +36,9% in Irlanda.

Va comunque osservato come nel 2017 (ultimo anno rilevato) sia stato registrato un aumento del nostro reddito pro capite (+1,5%, pari a 400 euro), contenuto ma pur sempre superiore a quello ottenuto nello stesso periodo dal Regno Unito (+0,9%, pari a 300 euro) e dal Belgio (+1,5%, pari a 500 euro).

In termini assoluti nel 2017 il reddito pro capite degli italiani (26.300 euro) appare ancora superiore a quello degli spagnoli (24.500 euro), dei greci e dei portoghesi (17.400 euro) ma resta comunque di gran lunga inferiore a quello della maggior parte dei Paesi europei: Lussemburgo (81.800 euro), Irlanda (56.400 euro), Danimarca (46.500 euro), Svezia (43.000 euro), Paesi Bassi (40.700 euro), Austria (37.100 euro), Finlandia (35.700 euro) e Germania (35.500), Belgio (34.900 euro), Francia (32.300 euro) e Regno Unito (32.100 euro).

«I timidi segnali di ripresa non devono illuderci» osserva l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del centro studi ImpresaLavoro. «La carenza di investimenti pubblici e le perduranti oppressioni fiscale e legislativa deprimono gli sforzi delle aziende e frenano un vero rilancio della nostra economia. A farne le spese non sono soltanto quanti, soprattutto giovani, non riescono a entrare nel mondo del lavoro ma pure gli stessi occupati, molto spesso precari. Trovare il nostro Paese in fondo anche a questa classifica internazionale addolora e preoccupa, soprattutto perché fotografa l’avvenuto impoverimento degli italiani e spiega la difficile ripresa dei nostri consumi interni».

Ma gli italiani non si accorgono della ripresa

Ma gli italiani non si accorgono della ripresa

di Enrico Marro – Corriere della Sera

La crescita dell’economia si consolida, ma la soddisfazione del governo non trova uguale riscontro nelle famiglie. Che spesso non si accorgono di questa ripresa. Perché? Una prima risposta e che essa è piccolina, intorno all’1,5% quest’anno, forse un po’ meno nel 2018. Lontana, per esempio, dalla crescita del 2,1% prevista dall’Ocse per l’area euro o dal 2,2% stimato per la Germania. Inoltre, da noi la recessione è stata più lunga e duratura. Tanto che il Pil in Italia è ancora di circa 6 punti inferiore a quello del 2007. E se il Pil pro capite era di 28.700 euro dieci anni fa, nel 2016 è stato di 25.900 euro. Ogni italiano deve insomma recuperare ancora 2.800 euro per tornare ai livelli pre crisi, sottolinea il centro studi Impresa Lavoro. È vero, nel 2016 c’è stato un miglioramento (che continua anche quest’anno) rispetto ai 25.600 euro di Pil pro capite del 2015, ma si tratta di 300 euro: in media 25 euro al mese a testa, «che non cambiano certo la vita delle persone», osserva Enrico Giovannini, ordinario di Statistica economica all’Università Tor Vergata e portavoce dell’Alleanza per lo sviluppo sostenibile.

Giovannini, già presidente dell’Istat e poi ministro del Lavoro, ha introdotto in Italia gli indicatori del Bes, il Benessere equo e sostenibile, che hanno proprio lo scopo di andare oltre il parametro del Pil per rappresentare lo stato di salute di un’economia. Nel Def dello scorso aprile il governo ha per la prima volta inserito un allegato con quattro indicatori del Bes (su un totale di dodici) messi a punto da una commissione di esperti cui ha partecipato lo stesso Giovannini. Ci sono il reddito medio disponibile pro capite, l’indice di diseguaglianza, il tasso di mancata partecipazione al lavoro, le emissioni di CO2 e altri gas inquinanti. Entro febbraio di ogni anno il governo dovrà presentare una relazione al Parlamento sull’impatto delle politiche di bilancio sugli indicatori del Bes.

Il reddito medio disponibile pro capite «aggiustato», ovvero inclusivo del valore dei servizi in natura forniti dalle istituzioni pubbliche e senza fini di lucro, era nel 2016 di 21.725 euro, meglio del 2015 (e il miglioramento continua nel 2017) ma ancora sotto i 22.154 euro del 2008. Del resto, anche il livello dei consumi delle famiglie, sebbene in ripresa (+1,3% nel primo trimestre dell’anno), è ancora di oltre 3 punti inferiore a quello del 2007. Nel frattempo le persone in condizioni di povertà assoluta sono raddoppiate, da 2,4 milioni nel 2007 a 4,7 milioni nel 2016. E così il tasso di disoccupazione, passato dal 5,7% dell’aprile 2007 all’11,3% del luglio scorso, in pratica da circa 1,5 milioni a 3 milioni di persone in cerca di un lavoro.

È vero, gli occupati sono tornati ai livelli pre crisi, con circa 23 milioni di persone che lavorano. Ma in termini di Ula, cioè Unità di lavoro a tempo pieno, mancano 1 milione di unità, sottolinea ancora Giovannini. Questo significa, tra l’altro, che è aumentata l’incidenza del lavoro a tempo parziale (dal 14 al 19% degli occupati), mentre, come confermano i dati di ieri dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps, meno di un’assunzione su quattro (il 24,2%) di quelle effettuate nei primi sette mesi di quest’anno è stata a tempo indeterminato, contro il 38,8% dello stesso periodo del 2015, l’anno della decontribuzione. Esaurita la quale, i contratti precari sono tornati a farla da padrone. E le retribuzioni lorde di fatto restano al palo: perdono nel secondo trimestre del 2017 lo 0,3% rispetto a un anno prima.

La ripresina è stata trainata dalle esportazioni più che dalla domanda interna. Ne hanno beneficiato soprattutto le aziende che producono per l’estero, che hanno goduto anche del petrolio a buon mercato, dei tassi d’interesse ai minimi e del taglio di Ires e Irap. La pressione fiscale azionata dallo Stato è leggermente scesa anche perle famiglie, soprattutto per i lavoratori dipendenti tra 8 e 26 mila euro di reddito, grazie al bonus da 80 euro. Ma il beneficio è stato spesso compensato dalla corsa delle tasse locali. Insomma, nonostante il peggio sia alle spalle, non c’e da scialacquare.

In 10 anni gli italiani hanno perso il 9,8% del loro reddito pro capite

In 10 anni gli italiani hanno perso il 9,8% del loro reddito pro capite

di Vittorio Pezzuto – Italia Oggi

Negli ultimi dieci anni gli italiani hanno perduto il 9,8% del loro reddito pro capite, un calo pari a 2.800 euro a cittadino. Diminuito dai 28.700 del 2007 ai 25.900 euro del 2016, questo è ormai scivolato al di sotto della media sia dell’Area euro (29.700 euro) sia dei Paesi dell’Unione europea a 28 (27.000 euro). In Europa, nello stesso arco di tempo, peggio di noi hanno fatto solo Cipro (-12,3%) e Grecia (-24,7%) mentre nelle altre grandi economie il dato appare meno negativo (-2,9% in Spagna e -1,7% in Portogallo) o addirittura in aumento: +0,6% in Francia, +1,6% nel Regno Unito, +7,8% in Germania e addirittura +31,4% in Irlanda. È quanto emerge da un’analisi del Centro Studi ImpresaLavoro realizzata su elaborazione di dati Eurostat.

Va comunque osservato come nell’ultimo anno (2015-2016) sia stato registrato un aumento del nostro reddito pro capite (+1,2%, pari a 300 euro), contenuto ma pur sempre superiore a quello ottenuto nello stesso periodo dal Regno Unito (+1,0%, pari a 300 euro), dalla Germania (+0,9%, pari a 300 euro), dalla Francia (+0,6%, pari a 200 euro) e dalla Grecia (+0,6%, pari a 100 euro).

In termini assoluti nel 2016 il reddito pro capite degli italiani (25.900 euro) appare ancora superiore a quello degli spagnoli (23.800 euro), dei greci (17.100 euro) e dei portoghesi (16.900 euro) ma resta comunque di gran lunga inferiore a quello della maggior parte dei Paesi europei: Lussemburgo (83.700 euro), Irlanda (53.600 euro), Danimarca (45.700 euro), Svezia (42.700 euro), Olanda (39.500 euro), Austria (36.100 euro), Germania e Finlandia (entrambe con 34.600 euro), Belgio (34.400 euro), Francia (31.700 euro) e Regno Unito (31.400 euro).

«I recenti, timidi segnali di ripresa non devono illuderci» osserva l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del centro studi ImpresaLavoro. «La carenza di investimenti pubblici e le perduranti oppressioni fiscale e legislativa deprimono gli sforzi delle aziende e frenano un vero rilancio della nostra economia. A farne le spese non sono soltanto quanti, soprattutto giovani, non riescono a entrare nel mondo del lavoro ma pure gli stessi occupati, molto spesso precari. Trovare il nostro Paese in fondo anche a questa classifica internazionale addolora e preoccupa, soprattutto perché fotografa l’avvenuto impoverimento degli italiani e spiega la perdurante crisi dei nostri consumi interni».