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Nicolò (FI): “La ‘ripresina’ di Renzi è affetta da rachitismo cronico”

Nicolò (FI): “La ‘ripresina’ di Renzi è affetta da rachitismo cronico”

“La ‘ripresina’ tanto propagandata dal Governo Renzi è affetta da rachitismo cronico e a nulla, finora, sono serviti i tentativi di rilancio dell’economia nonostante le continue iniezioni di danaro deliberate dalla Bce”. Lo afferma in una nota il capogruppo di Forza Italia a Palazzo Campanella, Alessandro Nicolò.

“I dati del centro studi ‘Impresa-Lavoro’, elaborati con riferimento ai riscontri Istat – prosegue Nicolò – delineano un profilo invero inquietante per la Calabria. Nel periodo considerato, ovvero il 2014 ed il 2015, Catanzaro, Reggio Calabria, Crotone e Vibo Valentia, insieme, marcano un saldo negativo di posti di lavoro di quasi 19 mila unità! Un risultato – continua Alessandro Nicolò – che segna irreversibilmente il fallimento delle politiche di sviluppo del Governo Renzi e di questa Giunta regionale. Si tratta di una chiara certificazione di stato di coma dell’apparato produttivo calabrese, peraltro, seriamente indebolito dal calo delle esportazioni dovuto anche ai provvedimenti di embargo contro la Russia. Le ‘pezzuole’ congiunturali varati dalla Giunta Oliverio non riescono quindi a chiudere le ampie toppe risultanti dall’inclemenza di un dato che origina dall’assenza di provvedimenti speciali, di masterplan annunciati e di cui non si vede ombra, del Governo e dei suoi supporter calabresi. Simile al maglio di una gigantesca catena – prosegue il capogruppo di Forza Italia in Consiglio regionale – la crisi occupazionale nelle province calabresi si abbatte non solo sulle imprese che chiudono, ma sulle famiglie, sui giovani che scappano via, impoverendo ulteriormente il nostro territorio. Governo e Giunta regionale, quindi, devono necessariamente trovare un momento di confronto per mettere in campo le necessarie iniziative orientate a salvare quel che ancora rimane del tessuto produttivo calabrese, magari preconizzando interventi speciali, per frenare quel che appare come una vera e irreversibile tragedia, con aziende falcidiate e dipendenti licenziati”.

“E invece – asserisce Alessandro Nicolò – continuiamo a rimanere appesi alle decisioni dei vertici del Pd calabrese, alle croniche ‘notti dei lunghi coltelli’ dei vari colonnelli renziani, senza che un solo posto di lavoro sia, addirittura, salvato! “Il Consiglio regionale, alla luce di tali risultanze, deve ritornare ad essere il motore di ogni strategia di sviluppo. Abbiamo appena concluso un approfondito dibattito sulla sanità ed espresso liberamente le nostre opinioni, una iniziativa senza dubbio positiva. Adesso, con maggiore preoccupazione e senso di responsabilità, dobbiamo porre al Governo tutta la partita delle infrastrutture e dei tempi tecnici per realizzarle”.

“Le dorsali tirreniche ed adriatiche si stanno adeguatamente attrezzando per l’alta capacità e l’alta velocità di merci e persone; da Salerno e da Taranto si impiega quasi lo stesso tempo per raggiungere i confini del Paese, e Genova e Trieste si ripropongono come le arterie più di punta per il trasferimento da e per il nordeuropea delle merci. Il Governo ci dica allora cosa se ne vuol fare del porto di Gioia Tauro, di questa immensa infrastruttura a cui lentamente, ma progressivamente, vengono erosi volumi di traffico! La Calabria, e meno che mai la provincia di Reggio, possono sopportare ulteriori perdite di posti di lavoro! Governo e Regione parlino chiaro, dicano ai calabresi come immaginano il futuro di questa regione; ci spieghino cosa si intende fare con i fondi dell’Agenda 2014/2020. Non chiediamo altro se non portare il nostro contributo di programma e di proposte in Consiglio regionale, che rimane l’unico riferimento istituzionale per tutto il popolo calabrese. Ecco perché Forza Italia chiede, senza indugiare una seduta dell’Assemblea sulle politiche di sviluppo e sul lavoro. Lì verificheremo le reali volontà di Renzi e del centrosinistra per il rilancio della Calabria”.

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Renzi da Merkel senza paura!

Renzi da Merkel senza paura!

Massimo Blasoni – Metro

L’incontro domani a Berlino tra il nostro premier Renzi e la cancelliera tedesca Merkel non si annuncia facile. In gioco vi è soprattutto la richiesta italiana di ottenere la necessaria flessibilità per far quadrare i nostri conti pubblici. C’è da scommettere che molti osservatori dipingeranno il primo come uno scolaretto irruento e sbadato al cospetto dell’inflessibile maestrina dalla penna rossa che (di fatto) governa l’Europa. Eppure, per certi aspetti, l’Italia non dovrebbe soffrire di alcun complesso di inferiorità. Negli ultimi 15 anni, infatti, abbiamo contribuito al budget dell’Unione europea con più risorse (213 miliardi di euro) di quante che ne sono state poi accreditate dai diversi programmi comunitari (poco più di 141 miliardi). Un contributo netto complessivo di 72 miliardi che ci fa rientrare a pieno titolo nel club dei Paesi che pagano un biglietto di prima classe per l’Ue. Anzi, in rapporto al Pil, siamo quelli che fanno maggiori sacrifici.

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L’elefante renziano distruggerà la cristalleria dei risparmiatori

L’elefante renziano distruggerà la cristalleria dei risparmiatori

Davide Giacalone – Libero

È una rottura che avrà conseguenze, alcune delle quali non sembra siano state nemmeno considerate. Cambiando anticipatamente i vertici della Cassa depositi e prestiti, a seguito di un braccio di ferro condotto nell’opacità, di cui non si conoscono i contorni e motivato con «ragioni tecniche» che nessuno ha mai chiarito, si cambia non solo la natura di quella società per azioni, ma anche del rapporto intemo al capitalismo di Stato. I governanti, ora, non hanno solo il potere di nominare i vertici delle aziende e delle società pubbliche, ma anche quello di revocarli senza che ricorra nessuna delle ragioni previste dalla legge. Questo significa che il management di quelle aziende perde qualsiasi autonomia: o obbbedisce o viene messo alla porta. Il Caf (Craxi­Andreotti- Forlani) non ha mai avuto un simile potere: nominavano i vertici, magari suggerivano le cose da farsi, facevano pressioni, ma nel corso del mandato tutti i consiglieri d’amministrazione, presidente e amministratore delegato compresi, erano padroni di resistere e decidere di testa propria. Cosa avvenuta più volte. Quell’equilihrio è rotto. La legge è infranta.

Facciamo un esempio concretissirno e immediato: la Cdp recalcitrava a mettere i soldi nel Fondo salva aziende, perché attività estranea alla propria missione e, per certi aspetti, contraria al proprio statuto. Prima di essere destituiti, i vertici hanno deciso di «manifestare interesse». Si sono piegati a quel che il governo voleva, sono pronti a metterci un miliardo. Non è ancora la decisione di un investimento, ma ne è l’anticamera. Contemporaneamente manifestano interesse le Poste e l’Inail. Il governo s’è mosso su soggetti diversi, tutti subordinati, con vertici che hanno obbedito. A cosa serve il Fondo? A prendere partecipazioni in società che si ritengono promettenti, ma che hanno squilibri finanziari. A salvarle, insomma. In pratica rinasce non l’Iri, ma la Gepi (Gestione partecipazioni industriali). Peggio, perché l’Iri ebbe luci brillanti e ombre inquietanti, mentre la Gepi solo le seconde. Ebbene, dopo la lezione impartita ai vertici Cdp, quale autonomia avranno quelli del Fondo? Come potranno mai resistere alla pressione per salvare questa o quell’azienda? Come potranno agire con criteri di mercato, laddove il forcone dei politici è pronto a infilzarli? ln questo modo si crea un baraccone dispendioso, che userà soldi dei contribuenti per salvare sobbolliti di potenti, clienti, protestanti e appartenenti a cordate d’amici.

Altro esempio: Cdp era diffidente dall’investire nella rinazionalizzazione dell’llva. Facevano bene, perché rischia di essere un lancio senza paracadute. Ilva, infatti, al contrario di quel che si legge in giro, non era né in crisi né in perdita. C’è finita perché le inchieste giudiziarie, che imputano disastro ambientale, hanno usato il sequestro di beni e materiali per legare le mani all’azienda. Corne andrà a finire il processo lo vedrerrro qualche anno dopo che sarà cominciato, cosa non ancora avvenuta, ma già oggi sappiamo che: a. se è colpevole l’Ilva dei Riva lo era anche lo Stato; b. l’Ilva commissariata si finanzia anche con i soldi sequestrati ai Riva. Cosa succede se il processo dovesse ritenere infondate le accuse? Ipotesi che spero non si voglia escludere, se non altro per rispetto dei giudici. Cosa succede? Otre a rendere incredibile l’intera storia, si dovranno risarcire danni consistenti. Tanto più che la proprietà non era dei soli Riva e i loro soci non hanno ancora capito per quale motivo e sulla base di quale legge siano stati espropriati. Non è insensato, dunque, star lontani da una roba che se va male diventa una voragine e se va bene te la tieni senza guadagnarci. Anche su questo si sono genuilessi: sono pronti a entrare. Quel che è successo, inoltre, va assai olure la già vasta portata della sola Cdp, perché innesca altre trappole. Quando, domani, la Commissione Europea eccepirà che si tratta di un Fondo che agisce per il governo, dato che è finanziato e diretto da gente che obbedisce al governo e che, quindi, si tratta di aiuti di Stato, proibiti, cosa si farà? Si protesterà contro gli euroburocrati? Invece sarà colpa degli italoarroganti, che approntano strumenti italosconclusionati. È ragionevole che si voglia sapere cosa ha indotto i vecchi vertici a porsi proni. I termini economici della loro uscita. Che promesse sono state fatte. Cosa è stato concesso alle Fondazioni bancarie, che hanno usato la fregola governativa per porre il problema della rendita annua che traggono da Cdp e della fiscalità che subiscono. Se è vero che le azioni loro intestate possono essere trasferite al governo, mettendoci in un pasticcio infinito e costoso. Voler sapere è ragionevole. Ma la cosa più importante la sappiamo già. L’elefante è entrato in cristalleria. Inutile distrarsi con la scimmietta che porta in groppa.