ritardi giustizia

Gentiloni ripensa alla giustizia civile. Fa bene, ci costa 14 miliardi

Gentiloni ripensa alla giustizia civile. Fa bene, ci costa 14 miliardi

di Sarina Biraghi – La Verità

Non solo inasprimento delle pene e intercettazioni. Al momento dell’insediamento, lo scorso dicembre, il presidente del consiglio Paolo Gentiloni aveva chiesto ai ministri una lista con le cose da fare, confermando di fatto gli impegni già assunti dal governo. A cominciare dalla riforma della giustizia, «prioritaria», apparsa fin da subito come il passaggio più delicato per la tenuta della maggioranza. Basti ricordare che l’Associazione nazionale dei magistrati in segno di protesta per il «mancato adempimento degli impegni politici assunti da parte del governo» su pensioni e trasferimenti dei magistrati aveva disertato la tradizionale inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione. Alla voce giustizia, oltre alla riforma del processo penale, tanto atteso, c’erano provvedimenti molto importanti come il diritto fallimentare, il codice civile, la riforma del sistema penitenziario e quella del processo civile in funzione di una maggiore efficienza.

Questo provvedimento contiene deleghe, come quella per la riforma del tribunale delle imprese, l’istituzione del tribunale della famiglia, oltre a tante norme per razionalizzare la procedura dal primo grado (introducendo di regola il rito semplificato di cognizione nelle cause di competenza del giudice monocratico) a quello di Cassazione. Del disegno complessivo di riforma faceva parte il riordino organico del sistema di istituti di risoluzione alternativa delle controversie ma anche il portale unico per le vendite immobiliari, dopo la sperimentazione finita a giugno. Un pacchetto non indifferente ma che Gentiloni vorrebbe portare completamente a buon fine, considerando tramontata la fine anticipata del suo governo e confermato il supporto del ministro della Giustizia Andrea Orlando che pure, come primo provvedimento, ha pensato alle unioni civili. Eppure è proprio la «non giustizia» italiana ad avere un costo oltre che un mancato guadagno che frena la nostra economia e ci rende “diversi” dal resto d’Europa.

Una ricerca del centro studi ImpresaLavoro ha tentato di quantificare l’impatto negativo della lunghezza dei processi e dell’arretrato di cause pendenti su variabili chiave come l’attrattività per gli investimenti esteri, la nascita o lo sviluppo delle imprese italiane, la disoccupazione e i volumi del credito bancario. Ridurre le cause pendenti per numero di abitanti e portarle al livello della media europea potrebbe generare afflussi extra dall’estero per un valore tra lo 0,66 e lo 0,86 del Pil, cioè tra i 10,8 e i 14,1 miliardi annui: il doppio dell’attuale.

Un altro contributo alla crescita potrebbe arrivare riducendo di un quarto i tempi dei Tribunali perché di per sé potrebbe aumentare il tasso di natalità delle imprese, cioè far crescere il ritmo di nascita di nuove iniziative imprenditoriali di circa 143.000 unità all’anno: una volta e mezza il tasso attuale. Il dato positivo sarebbe ancora più evidente se i tempi si dimezzassero, portandosi dunque alla media europea: la stima in questo caso varia tra le 192.000 e le 240.000 nuove imprese all’anno in più rispetto ai ritmi correnti. Se si potesse raddoppiare la velocità dei Tribunali ci potrebbe essere una crescita della dimensione delle nostre imprese per circa l’8,5% in media, come stimato anche da Banca d’Italia.

Benché riferiti al 2014, i dati della Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa mettono in luce come l’Italia sia in una posizione piuttosto arretrata nelle varie classifiche internazionali. Prendendo in considerazione le sole cause civili e di diritto commerciale, all’ultima rilevazione rimanevano in attesa di giudizio, in Italia, oltre 2 milioni e 758 mila processi: un record assoluto per tutti i Paesi dell’Europa allargata, in grado di mettere in secondo piano il milione e mezzo di cause pendenti in Francia e le 750 mila scarse della Germania. Il dato assoluto è riferito ai soli processi di primo grado, ed è fortunatamente in calo rispetto agli anni precedenti.

In termini comparati, i 532 giorni medi necessari per le sentenze di primo grado sono sostanzialmente il doppio rispetto alla media europea e, andando avanti, da noi servono quasi 3 anni in media per gli appelli e altri 3,5 per i giudizi in Cassazione. Lungaggini e inefficienze che penalizzano anche i movimenti di denaro: con la rapidità dei giudizi e la riduzione degli arretrati si sveltirebbero i tempi di pagamento tra imprese, con tutti i relativi effetti in termini di maggiore liquidità in circolazione, minor numero di insolvenza e minore disoccupazione.

Anche i tempi e i costi di recupero dei crediti sono direttamente collegati all’efficacia della giustizia e ciò dovrebbe far riflettere sul problema della valorizzazione e dello smaltimento della montagna di crediti deteriorati accumulati dalle banche. Diversi studi hanno esaminato il legame tra tempi della giustizia, costo dei finanziamenti e loro disponibilità presso il canale bancario: secondo le relazioni più significative, raggiungere il livello medio Ue nei Tribunali potrebbe aprire l’opportunità di nuovi prestiti alle imprese per ben 29,3 miliardi di euro, pari a un aumento del 3,7% rispetto all’attuale, con innegabili benefici per il mercato del lavoro e quindi l’occupazione.

Per gli imprenditori il tempo è denaro ma la giustizia lo ignora

Per gli imprenditori il tempo è denaro ma la giustizia lo ignora

di Massimo Blasoni – Libero

Non c’è impresa privata senza il coraggio di rischiare. Il mercato genera selezione, obbliga a competere. Non è così nella pubblica amministrazione, giustizia compresa, i cui operatori vengono stipendiati a fine mese indipendentemente dai risultati ottenuti. Per chi vuole investire e fare impresa, il fattore tempo è invece un elemento decisivo per determinare la riuscita o il fallimento della propria attività. I mesi, molto spesso gli anni, trascorsi nell’attesa di definire cause e contenziosi giudiziari costituiscono costi rilevantissimi che vanno quantificati in posti di lavoro persi e minore ricchezza.

Il cattivo funzionamento della nostra giustizia civile e amministrativa è un danno per tutti: spaventa gli investitori (stranieri e non), deprime gli sforzi degli imprenditori onesti e condanna il Paese al declino economico. Lo dimostrano i più recenti dati elaborati dal Cepej-Stat del Consiglio d’Europa. Prendendo in considerazione le sole cause civili e di diritto commerciale, nel 2014 in Italia rimanevano in attesa di giudizio oltre 2 milioni e 758 mila processi: un record assoluto per tutti i Paesi dell’Europa allargata, in grado di mettere in secondo piano il milione e mezzo di cause pendenti in Francia e le 750 mila scarse della Germania. Il dato assoluto è riferito ai soli processi di primo grado e, anche se appare in leggero calo rispetto agli anni precedenti, significa che a fine anno rimanevano pendenti, in termini relativi, 45 processi ogni mille abitanti in Italia contro i 24 della Francia, i 18 della Spagna e i soli 9 della Germania. Una situazione che tiene alla larga i capitali internazionali.

Non deve quindi sorprendere che la media degli ultimi tre anni evidenzi investimenti netti annui provenienti dall’estero per un magro 0,72 per cento del nostro Pil. Secondo un recente studio pubblicato dalla Commissione Europea, la riduzione delle cause pendenti per numero di abitanti determina l’incremento degli investimenti esteri:per il nostro Paese, portarle al livello della media europea potrebbe di per sé generare afflussi extra per un valore tra lo 0,66 e lo 0,86 del Pil (in sostanza tra i 10,8 e i 14,1 miliardi annui: il doppio dell’attuale). L’inefficienza giudiziaria italiana determina insomma un doppio, gravissimo danno: non solo nega coi suoi ritardi una vera certezza del diritto ma agisce anche come poderoso freno allo sviluppo della nostra economia.

L’azienda Italia si blocca in tribunale

L’azienda Italia si blocca in tribunale

di Gianni Zorzi * e Elisa Qualizza **

Quanto costano i ritardi della giustizia in Italia? Quanto incide l’inefficienza giudiziaria sull’economia? Il Centro studi ImpresaLavoro ha tentato di quantificare l’impatto negativo della lunghezza dei processi e dell’arretrato di cause pendenti su variabili chiave come l’attrattività degli investimenti esteri, la nascita e lo sviluppo delle imprese italiane, la disoccupazione e i volumi del credito bancario.

Il punto di partenza è la posizione piuttosto arretrata dell’Italia nelle varie classifiche internazionali che considerano l’efficacia della macchina giudiziaria. Il confronto internazionale è possibile grazie alla base dati armonizzata Cepej-Stat, messa a disposizione dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa; risultati analoghi trovano conferma nei dati Doing Business incrociati con le statistiche di Eurostat. Gli ultimi dati, benché riferiti al 2014, permettono di inquadrare il problema nella sua gravità. Prendendo in considerazione le sole cause civili e di diritto commerciale, rimanevano in attesa di giudizio, in Italia, oltre 2 milioni e 758 mila processi: un record assoluto per tutti i Paesi dell’Europa allargata, in grado di oscurare il milione e mezzo di cause pendenti in Francia e le 750 mila scarse della Germania.

Il dato assoluto è riferito ai soli processi di primo grado, ed è fortunatamente in calo rispetto agli anni precedenti. Sta di fatto che a fine anno rimangono pendenti 45 processi ogni mille abitanti in Italia contro i 24 della Francia, i 18 della Spagna e i soli 9 della Germania. Il peso dell’arretrato si riflette anche nella difficoltà di diminuire la durata media dei processi: attorno all’anno e mezzo. I 532 giorni medi necessari per le sentenze di primo grado sono il doppio rispetto alla media europea e con la sola eccezione di alcuni Paesi dell’Est e di Malta tutti gli ordinamenti se la cavano con durate (ampiamente) inferiori all’anno. Analisi più estese, che tengono in considerazione anche il secondo e terzo grado di giudizio, mostrerebbero numeri ancor più impietosi: da noi servono quasi tre anni, in media, per gli appelli e altri tre e mezzo per i giudizi in cassazione.

A migliorare con la rapidità dei giudizi e la riduzione degli arretrati sono ad esempio i tempi di pagamento tra imprese, con tutti i relativi effetti in termini di maggiore liquidità in circolazione, minor numero di insolvenze e minore disoccupazione. Anche i tempi e i costi di recupero dei crediti sono collegati all’efficacia della giustizia e ciò dovrebbe far riflettere sul problema della valorizzazione e dello smaltimento della montagna di crediti deteriorati accumulati dalle banche. Uno studio basato su un campione di Paesi mostra inoltre che l’efficienza del sistema giudiziario migliora i tassi di imprenditorialità e di innovazione nelle imprese.

Nell’economia globale l’attenzione dei capitali si rivolge ai Paesi in cui è migliore il rapporto tra redditività attesa e livello di rischio. Se non supportata da solide prospettive di crescita, la possibilità di creare valore per le imprese passa da una riduzione degli elementi di incertezza: quelli di tipo giudiziario sono in grado di frenare in modo netto il flusso di investimenti nei Paesi meno efficienti. Se ci riferiamo al caso italiano, la media degli ultimi tre anni evidenzia investimenti netti annui dall’estero per un magro 0,72 per cento del Pil. Il dato non si riferisce solo alle acquisizioni ma all’effettiva apertura di nuovi centri, filiali e strutture in genere da parte dei non residenti: si tratta dunque di nuovi investimenti privati provenienti da investitori internazionali, il cui livello, molto inferiore alla media UE, mostra la scarsa attrattività del nostro Paese. Secondo un recente studio pubblicato dalla Commissione Europea, la riduzione delle cause pendenti per numero di abitanti è collegata all’incremento di questo tipo di investimenti: portarle al livello della media europea potrebbe di per sé generare afflussi extra dall’estero per un valore tra lo 0,66 e lo 0,86 del Pil (tra i 10,8 e i 14,1 miliardi annui: il doppio dell’attuale).

Ma non è l’unica via che contribuirebbe sicuramente a una più sana e robusta crescita. Ridurre di un quarto i tempi dei tribunali potrebbe infatti aumentare il tasso di natalità delle imprese e cioè incrementare il ritmo di nascita di nuove iniziative imprenditoriali di circa 143mila unità all’anno: una volta e mezza il tasso attuale. Lo shock positivo sarebbe ancora più evidente nel caso i tempi si dimezzassero, portandosi dunque alla media europea: la stima in questo caso varia tra le 192 mila e le 240 mila nuove imprese all’anno in più rispetto ai ritmi correnti. Se si potesse raddoppiare la velocità dei tribunali potremmo attenderci anche una crescita della dimensione delle nostre imprese, per circa l’8,5% in media, come stimato da Banca d’Italia. È condiviso inoltre che un sistema giudiziario meno tempestivo fornisce minori incentivi agli investimenti e all’assunzione di nuovo personale, decisioni sulle quali l’incertezza può solo fungere da deterrente. Il dato, peraltro, non è poco rilevante per un Paese come il nostro in cui il 70 per cento del valore aggiunto è prodotto da piccole e medie imprese.

Anche dal punto di vista della disponibilità di credito le conclusioni sono importanti. Diversi studi hanno esaminato il legame tra tempi della giustizia, costo dei finanziamenti e loro disponibilità presso il canale bancario: secondo le relazioni più significative, raggiungere il livello medio UE nei tribunali potrebbe aprire l’opportunità di nuovi prestiti alle imprese per ben 29,3 miliardi di euro, pari a un aumento del 3,7 per cento rispetto allo stock attuale.

E infine, anche il mercato del lavoro ne potrebbe beneficiare. Si pensi che un’analisi di ImpresaLavoro basata sugli ultimi dati del Ministero della Giustizia suddivisi per distretti giudiziari ha individuato in ben 5,7 punti il potenziale di disoccupazione riducibile con riferimento alle aree più disagiate. La stima è coerente anche con quanto rilevato in un report del Fondo monetario internazionale, il quale confermerebbe un incremento di diversi punti della probabilità di impiego in seguito a un tale efficientamento della macchina giudiziaria. Altri studi hanno evidenziato i benefici che si avrebbero, oltretutto, in termini di riallocazione più efficiente e rapida delle risorse umane, di produttività e di maggiore intensità di capitale nelle nostre aziende.

A fronte di tutti questi dati, almeno due elementi emergono al di là di ogni altra considerazione: l’inefficienza giudiziaria agisce come un freno allo sviluppo della nostra economia e ridurre il peso di questa inefficienza potrebbe finalmente liberare un volume importante di potenzialità ancora inespresse.

* docente di finanza dell’impresa e dei mercati

** ricercatrice Centro Studi ImpresaLavoro