salvatore zecchini

ImpresaLavoro, il nuovo centro studi liberale e liberista

ImpresaLavoro, il nuovo centro studi liberale e liberista

Francesco De Palo – Formiche

Un centro studi con piglio liberale e liberista per stimolare gli esecutivi a dare spazio ai temi cari alle imprese e al mondo dell’imprenditoria, nella consapevolezza che senza un taglio netto alla spesa pubblica e senza un abbattimento della pressione fiscale per le pmi, il Paese non potrà rialzarsi. E’ la traccia su cui si muoverà il centro studi ImpresaLavoro, una nuova realtà di analisi e paper fondata da Massimo Blasoni.

Biasioni è un imprenditore di prima generazione, con un’azienda di 1300 dipendenti che costruisce e gestisce residenze sanitarie, convinto che dove la politica ha fallito serve che intervengano direttamente le imprese e le idee di matrice liberale.

FARE COSA
Discutere di economia, approfondire tematiche e trend del Paese al fine di effettuate una sorta di “checking” sull’attività del governo e divulgare “numeri e tesi dei nostri ricercatori”, dice Blasoni a Formiche.net. Produrrà ricerche sulle tematiche che interessano il mondo del lavoro e dell’impresa, effettuerà sondaggi rivolti agli imprenditori e al mondo del lavoro , avanzando proposte misure e possibili soluzioni a sostegno dell’impresa italiana.

PERCHE’ IMPRESA LAVORO
“Diciamo che ImpresaLavoro assomiglia ad un altro soggetto come la Cgia di Mestre, ma sarà vicino agli spunti di centrodestra, con un profilo liberale e liberista”, spiega Blasoni. Uno degli obiettivi resta quello della rivoluzione liberale che in Italia ancora non si è fatta. In che modo? La spending review non è stata realizzata, “i 7 che poi sarebbero dovuti diventare 14 e dopo 32 miliardi di tagli non si vedono e forse non si faranno”. Senza quei tagli e senza una “vera sforbiciata – non omeopatica come gli 80 euro – alle tasse per le imprese l’Italia non uscirà dall’impasse”. E mette l’accento sul fatto che Palazzo Chigi non ha mostrato alcun coraggio in questa direzione, anzi, “siamo perfettamente consapevoli che sarà necessaria una manovra perché non vi è spazio nel rapporto deficit-pil”.

PAGAMENTI DELLA PA
Il primo paper prodotto dal centro studi – che vede come coordinatore l’economista Giuseppe Pennisi – è quello relativo ai pagamenti alle aziende da parte della Pubblica amministrazione.Immaginare che tutto possa essere risolto entro il prossimo 21 settembre, osserva Blasoni, “soprattutto alla luce della contrazione del pil mi sembra impensabile”. Secondo il presidente di ImpresaLavoro a questo punto il rischio concreto è che, anche per il 2014, le imprese saranno costrette a “subire” costi indotti dall’inefficienza pubblica del cattivo pagatore statale per 7 miliardi di euro: “Una tassa occulta che rischia di diventare insostenibile per un sistema produttivo già fortemente provato dalla difficile congiuntura economica, dalla stagnazione dei consumi e dalla stretta creditizia”.

NUMERI
Mettendo insieme, rileva Blasoni, quanto costa il denaro ad un imprenditore italiano e quanto il tempo di attesa, “mi rendo conto che il costo di lavorare per la PA in Italia è quattro volte più alto della Francia e sette rispetto alla Germania, per cui su 100mila euro di fornitura il 4,2% finisce per essere un costo”. Per cui, è il ragionamento su cui si basa l’azione del centro studi, quella cifra che la PA non paga in tempo alle imprese finisce per essere una zavorra sulla minor competitività delle stesse.

BOARD
Scorrendo il board di ImpresaLavoro si trova Giuseppe Pennisi, economista, già Banca Mondiale e dirigente generale dei Ministeri del Bilancio e del Lavoro; Cesare Gottardo, docente di materie economiche all’Università di Udine, dove insegna nelle facoltà di Agraria, Giurisprudenza e Ingegneria; Salvatore Zecchini, docente di Politica Economica Internazionale all’Università Tor Vergata di Roma, anche presidente del Gruppo di Lavoro dell’OCSE su PMI e Imprenditoria; Luciano Pellicani, già direttore di “Mondoperaio”, docente di Sociologia alla Luiss “G: Carli” di Roma; Carlo Lottieri, Direttore del Dipartimento di Teoria Politica dell’Istituto Bruno Leoni, è nel comitato di redazione del Journal of Libertarian Studies ed è Fellow dell’International Centre of Economic Research.

PA, il ritardo nei pagamenti costa alle imprese 6 miliardi

PA, il ritardo nei pagamenti costa alle imprese 6 miliardi

Metronews – 4 agosto 2014

UDINE. Il ritardo dei pagamenti ai fornitori della PA ha finora determinato un costo del capitale a carico delle imprese italiane di oltre 6 miliardi di euro all’anno, pari a quasi 30 miliardi nel periodo 2009-2013. Il dato emerge da una ricerca (scaricabile interamente dal sito www.impresalavoro.org) realizzata dal centro studi di ispirazione liberale “ImpresaLavoro” di Udine, promosso dall’imprenditore Massimo Blasoni e il cui board scientifico è presieduto dal professor Giuseppe Pennisi (economista, consigliere del Cnel e docente all’Università Europea di Roma, già Banca Mondiale e dirigente generale dei Ministeri del Bilancio e del Lavoro).

Lo studio di “ImpresaLavoro” sottolinea come ci si debba peraltro accontentare in questo campo di una stima prudenziale, dal momento che le stesse amministrazioni pubbliche non dispongono di una sistematica e organizzata documentazione sui crediti dei propri fornitori e sulle fatture associate, a causa delle insufficienze nei sistemi di contabilizzazione delle transazioni. Finora, infatti, le stime sulla dimensione del fenomeno si sono basate sull’impiego di metodologie statistiche e di indagini campionarie. «Quel che invece si sa con certezza – osserva il presidente Massimo Blasoni – è che i pagamenti del committente pubblico italiano arrivano in media dopo 170 giorni dal ricevimento della fattura, mentre i fornitori privati di norma pagano dopo 60 giorni. Questo mismatching di uscite ed entrate aggrava la situazione finanziaria di migliaia di imprese, esponendole nei casi più gravi al rischio default. Il fenomeno ha assunto rilevanza maggiore a seguito dell’attuale situazione di congiuntura economica, la quale ha provocato anche una riduzione del credito concesso dalle banche alle imprese, con conseguente aggravio della situazione finanziaria di queste ultime».

Secondo le stime prudenziali di “ImpresaLavoro”, l’ammontare per il 2013 è di circa 74,2 miliardi di €, pari a circa il 4,8% del PIL. Lo stock di debito commerciale della nostra PA risulta in calo: nel 2010, esso aveva toccato la cifra record di 87,3 miliardi di euro, pari al 5,5% del PIL. La diminuzione dello stock è dovuta alla riduzione della spesa pubblica relativa all’acquisto di beni e servizi, nonché dei tempi di pagamento concordati con i fornitori. Non è quindi diminuito il ritardo medio nel pagamento delle fatture.

La ricerca di “ImpresaLavoro” rivela inoltre come, a livello europeo, sia in termini nominali che relativi, l’Italia risulti essere il Paese col maggiore stock di debito. Già dal 2010, ha infatti il peggior rapporto tra debiti commerciali e PIL, superando tanto la Spagna quanto la Grecia, le uniche in Europa (a parte l’Italia) a superare il 3% in questo rapporto. Per un’impresa italiana che lavora con PA, l’incidenza di questi costi sulla singola fornitura risulta così pari al 4,2%: un dato circa 4 volte superiore a quello sostenuto da un’impresa francese (1,2%) e circa 7 volte superiore a quello sostenuto da un’impresa tedesca (0,6%).

SALVATORE ZECCHINI (Board Scientifico): un danno per imprese e cittadini

SALVATORE ZECCHINI (Board Scientifico): un danno per imprese e cittadini

I ritardi di pagamento del settore pubblico alle imprese, segnatamente le piccole e medie, rappresentano uno dei fattori che hanno aggravato la crisi dell’ultimo quinquennio, sia sul piano dell’economia complessiva, sia su quello della vitalità del sistema imprenditoriale italiano. Va ricordato che le PMI rappresentano una grossa componente nella formazione del reddito nazionale e sono particolarmente vulnerabili nell’accesso alle fonti di finanziamento. La crisi, innescata nel 2008 dalle gravi insolvenze nel sistema finanziario americano, nel 2011-12 ha assunto caratteristiche prettamente nazionali per le ripercussioni dei notevoli squilibri accumulati nel debito pubblico italiano. Il settore pubblico ha quindi esercitato effetti negativi sulla condizione finanziaria delle imprese attraverso i due canali dei ritardi di pagamento e del rischio d’insolvenza sul suo debito.
Le imprese ne sono state colpite in termini di aggravio del costo del denaro, ma soprattutto attraverso un notevole razionamento dell’offerta di credito bancario alle tante imprese considerate a rischio. In una situazione di forte carenza di liquidità, particolarmente tra le PMI, pagare il debito pubblico commerciale in arretrato è divenuto quindi un fattore essenziale per la sopravvivenza delle imprese e il sostegno all’economia.
In termini di ritardo nei pagamenti rispetto alle scadenze contrattuali l’Italia si pone in una posizione estrema rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea. Si tratta in media nell’anno trascorso di circa 90 giorni in più rispetto alla data di scadenza, con il risultato che i tempi medi di pagamento hanno raggiunto i 170 giorni.
Sia il governo Monti sia quello attuale, pur consapevoli dell’effetto che l’eliminazione dei ritardi avrebbe nell’accrescere il già elevato peso del debito pubblico, hanno messo in campo misure per alleviare il problema. In ciò l’Italia non è l’unico Paese a presentare gravosi ritardi, ma gli altri due Paesi che condividevano la stessa condizione – la Spagna e la Grecia – hanno reagito più rapidamente e con maggiore determinazione. Entrambi hanno ridotto il peso di questi arretrati con il supporto del sistema bancario e delle istituzioni finanziarie estere. Il nostro Paese invece non ha avuto sostegno dall’estero e ha dovuto trovare la soluzione sulla base delle proprie forze e mettendo in campo nuove garanzie al sistema bancario.
È evidente che gli arretrati di pagamento dei debiti commerciali pesano sull’economia, ma gravano anche sulle tasche dei cittadini. Pesano sull’economia in termini di competitività del sistema, pesano sui cittadini che si trovano a dover sostenere il peso di una tassazione aggiuntiva per coprire la mora sugli arretrati. Va peraltro considerato che le imprese che forniscono beni e servizi al settore pubblico sono consapevoli del problema e quindi caricano sui loro prezzi di vendita il costo aggiuntivo che devono sostenere per finanziare le vendite stesse. Ne consegue un ulteriore gonfiamento della spesa pubblica.
La soluzione del problema oggi va vista sotto due profili: 1) abbattere i tempi medi di pagamento per riportarli in linea con i limiti raccomandati dall’Unione Europea (che sono 60 giorni); 2) riportare gli enti territoriali all’osservanza di una disciplina di bilancio anche nelle loro commesse pubbliche. Il contributo di analisi che il Centro Studi “ImpresaLavoro” ha appena pubblicato è molto utile per far comprendere all’opinione pubblica italiana non solo la dimensione del problema, ma i suoi costi più ampi e rappresenta altresì uno stimolo alle autorità ad accelerare quelle misure annunciate (ma non ancora attuate) attraverso un’attenta gestione delle grandezze di bilancio. Queste misure darebbero un contributo efficace a ravvivare la domanda interna, specialmente gli investimenti fissi, nella strategia di rianimazione di una crescita economica, che appare tutt’ora un miraggio lontano.
Salvatore Zecchini, Università Tor Vergata Roma