servizi pubblici

Il rimedio antiscioperi: privatizzare i servizi

Il rimedio antiscioperi: privatizzare i servizi

Francesco Forte – Il Giornale

Susanna Camusso, nell’adunata a Roma della Cgli cui partecipa l’anima dura del Pd ha minacciato lo sciopero generale sula legge di Stabilità, come se con questo sistema di potessero creare posti di lavoro e crescita del Pil. Al contrario, Davide Serra, finanziere renziano della prima ora, nella convention della Leopolda cui partecipa l’anima populista- versione british – del Pd, ha chiesto la limitazione del diritto di sciopero dei servizi pubblici. Citando Alitalia e trasporti pubblici, ha detto che una impresa estera che li ha visti perde la voglia di investire in Italia.

La proposta di Serra, alla Leopolda, è stata accolta con imbarazzo, ovattato dal garbo che è nello stile della convention, nel garage che evoca i creativi di internet della Silicon Valley. Nella tesi del Serra c’è del vero. L’attuale regolamentazione dello sciopero di pubblici servizi è cucita su misura della Cgil e dei lavoratori del pubblico impiego, garantiti dai soldi del contribuente. Infatti, si può annunciare lo sciopero nel pubblico servizio, creando la disdetta di viaggi, appuntamenti, udienze, con gravi danni al servizio e al suo pubblico e poi revocarlo all’ultimo minuto, beffando datori di lavoro e pubblico. Si possono concentrare questi scioperi prima dei giorni festivi settimanali e di Natale, Pasqua e altre festività, in modo da creare «ponti lunghi» a beneficio degli scioperanti e danni speciali per il pubblico. Ma ciò è secondario.

Il punto centrale è che quando i servizi pubblici sono privatizzati, con aziende quotate in borsa e senza pubbliche sovvenzioni, i contratti di lavoro aziendali prevalgono su quelli nazionali e sono orientati alla produttività e le imprese possono ricorrere a part-time, lavoro flessibile cosiddetto precario e a partite Iva e lo sciopero nei servizi pubblici lo si fa solo in casi estremi e delimitati. Ciò perché il lavoratore, allora, è al servizio del pubblico, anziché viceversa. Solo così il suo posto di lavoro regge e la sua retribuzione è basata sul risultato di mercato. Non si tratta tanto di limitare lo sciopero dei pubblici servizi quanto di privatizzare i servizi pubblici, dalle ferrovie, alle poste, alle migliaia di imprese di comuni e regioni e di recidere i legami fra politica e imprese e banche. Ma questa spending review e le privatizzazioni nella legge di Stabilità dei leopoldiani non ci sono.

Municipalizzate, il bene pubblico lo fa il privato

Municipalizzate, il bene pubblico lo fa il privato

Gaetano Pedullà – La Notizia

Il disastro delle Municipalizzate si conosceva. I numeri venuti fuori dallo studio del commissario alla spending review Cottarelli sono però peggiori del peggior incubo. Il sogno delle nostre Regioni, delle nostre Province, dei nostri Comuni di farsi le loro piccole Iri presenta un conto che non possiamo più permetterci. Questa è allora la volta buona per sciogliere l’equivoco su chi deve garantire i servizi essenziali: l’alibi perfetto con cui il pubblico si è messo a fare l’imprenditore pur non avendone le competenze. Il motivo è chiaro: controllando le aziende dei trasporti, dei rifiuti, degli acquedotti e dell’energia la politica ha costruito clientele con cui ha campato per decenni. Gestione clientelare ed efficienza sono però inconciliabili. E il risultato è questa immensa dispersione di risorse. Adesso le solite anime belle obietteranno che certi servizi devono restare pubblici. Abbiamo visto come è andata con il referendum sull’acqua. Se però continuiamo a seguire queste sirene qui tra un po’ non resterà più nulla né di queste aziende pubbliche, né degli enti locali che le controllano e neppure di uno Stato sommerso dai debiti. La migliore garanzia per assicurarci questi servizi, facendoli diventare persino più efficienti, è dunque l’affidamento ai privati. In un mercato regolato da norme e che imponga a chi espleterà i servizi di garantire uno standard adeguato sia dove è più facile guadagnare sia dove lo è di meno. Il successo del privato può essere il successo del pubblico. Chi insiste con una certa demagogia fa il gioco di chi ci sta strozzando di debiti. Anche suoi.

Capitalismo municipale alla prova

Capitalismo municipale alla prova

Giovanni Valotti – Il Sole 24 Ore

La storia delle imprese municipali ha una lunga tradizione. Molte di queste hanno consentito di infrastrutturare i territori e sono state protagoniste dello sviluppo di servizi pubblici essenziali.

I settori in cui le stesse insistono – ambiente, energia, acqua e trasporti – sono al tempo stesso strategici per il paese e fondamentali per la qualità della vita dei cittadini. Per contro, l’evoluzione del quadro normativo e regolatorio in cui queste imprese hanno dovuto operare è stato spesso disorganico e a volte contraddittorio. Così come non sempre lineari sono stati i disegni di sviluppo industriale, sia con riguardo alle politiche settoriali che con riferimento alle singole imprese.

Eppure, quello dei servizi pubblici locali è un settore che, più di altri, ha conosciuto negli ultimi anni anche importanti accelerazioni. Difficile oggi riconoscere nei profili di alcune grandi imprese quotate, tanto quanto in quelli di piccole e medie imprese eccellenti, gli assetti e le logiche di funzionamento delle vecchie municipalizzate. Difficile però, al tempo stesso, non constatare il ritardo di altre aziende, arroccate su posizioni difensive che, inevitabilmente, ne compromettono la competitività e, nel medio periodo, la stessa ragion d’essere.

Sullo sfondo, una situazione in Europa di grande disomogeneità nel quadro delle regole da paese a paese. Il che richiede interventi urgenti di armonizzazione, se davvero si vuole assicurare il dispiegarsi di una giusta competizione, nell’interesse finale del cittadino consumatore. In Italia il tema delle imprese di servizi pubblici è nuovamente tornato alla ribalta, sulla scia delle analisi del commissario Cottarelli, che hanno fornito una lucida e a tratti impietosa fotografia della situazione in essere. È emerso così, con evidenza, un proliferare ingiustificato di imprese a controllo pubblico, operanti negli ambiti più disparati. Ma proprio questa fotografia ha permesso finalmente di distinguere con chiarezza le circa 1.100 imprese che operano in campo ambientale, energetico e idrico, da un nugolo indistinto di organismi operanti nell’ambito dei cosiddetti servizi strumentali. Ecco allora che, isolando la prima famiglia di imprese, alle perdite stimate di circa 1,2 miliardi delle partecipate pubbliche, si contrappongono i 600 milioni di utili e gli oltre 40 miliardi di fatturato riconducibili alle imprese che si occupano di servizi di pubblica utilità.

E sono proprio queste che costituiscono l’ossatura imprescindibile di un sistema di offerta capace di combinare obiettivi industriali con attenzione ai territori e alla responsabilità sociale. A condizione però che le stesse abbandonino definitivamente logiche protezionistiche e si comportino, fino in fondo, da impresa. Il che significa tante cose. Essere capaci di delineare un disegno di sviluppo industriale di medio periodo, tale da renderle competitive nel confronto con altre forme di offerta, pubblica o privata, sia sul piano dei costi che su quello della qualità. Essere in grado di realizzare un rapporto equilibrato tra i poteri della proprietà e quelli del management, contrastando ogni forma di politicizzazione e qualificando le competenze manageriali detenute. Essere disposte a rinunciare a ogni forma di garanzia e tutela, misurandosi sulla capacità di valorizzare gli asset, materiali e immateriali, e trasformandoli in valore per gli azionisti, i territori e i cittadini.

Rivendichino queste aziende, in altri termini, la propria natura di impresa e dimostrino, nei fatti, la propria capacità di intraprendere, senza per questo perdere la propria attenzione al valore sociale del proprio operato, esso stesso possibile fonte di vantaggio competitivo. Altri paesi, Germania in testa, hanno dimostrato in questi anni come il capitalismo municipale possa rappresentare un punto di forza del sistema industriale nazionale.

Le nostre imprese di servizi pubblici lo sono stato in passato e hanno oggi una grande occasione per ritornare a essere protagoniste di una nuova stagione di grandi trasformazioni. Ben vengano, quindi, i processi di aggregazione, l’apertura del capitale a nuovi soggetti, una sempre maggiore esposizione alla competizione, un ruolo sempre più incisivo delle autorità di regolazione. Tutto questo potrà finalmente condurre al superamento della contrapposizione tra pubblico e privato, tra locale e nazionale, in favore dell’unica distinzione che davvero conta: quella tra imprese efficienti, in quanto tali da valorizzare, ed imprese inefficienti, in quanto tali da espellere dal mercato. Le imprese di servizi pubblici sono chiamate a una prova di maturità. Il legislatore ha la responsabilità di valorizzare un patrimonio del nostro paese, creando le condizioni per il sostegno di un percorso virtuoso di qualificazione dell’offerta nel suo insieme. Regole certe, autorità indipendenti forti e competenti, processi decisionali e autorizzativi snelli, rappresentano condizioni fondamentali di rilancio degli investimenti anche attraverso l’attrazione di nuovi capitali, pubblici o privati che siano. Il capitalismo municipale, così come lo abbiamo conosciuto in passato, è ormai alle spalle. Ma imprese efficienti, profondamente radicate nei territori e al tempo stesso capaci di andare oltre gli attuali assetti, hanno davanti a sé un possibile grande futuro.