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Dal 2008 al 2013 sono emigrati più di mezzo milione di italiani

Dal 2008 al 2013 sono emigrati più di mezzo milione di italiani

ANALISI
Il perdurare della crisi economica costringe un numero crescente di nostri connazionali a trasferirsi stabilmente oltre confine alla ricerca di migliori condizioni di vita e di lavoro. Dal 2008 al 2013 gli emigrati italiani sono stati complessivamente 554.727, di cui 125.735 soltanto nel 2013 con una crescita rispetto al 2008 del 55% su base annua. Il 39% di questi italiani (214.251, di cui 47.048 soltanto nel 2013) sono giovani di età compresa tra i 15 e 34 anni. Anche in questo caso si segnala un trend in rapida crescita: rispetto al 2008 i giovani che hanno scelto di trasferirsi oltre confine sono aumentati del 40%. Lo rivela una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro su elaborazione dei dati Eurostat.
TABELLA IMMIGRAZIONE
In questi ultimi sei anni la destinazione più gradita è stata la Germania (che ha accolto 59.470 nostri connazionali, di cui 13.798 solo nel 2013), seguita dal Regno Unito (51.577 emigrati, di cui 14.056 solo nel 2013), dalla Svizzera (44.218 emigrati, di cui 10.537 solo nel 2013), dalla Francia (38.925 emigrati, di cui 9.514 solo nel 2013) e dalla Spagna (25.349 emigrati, di cui 4.537 solo nel 2013). Fra i giovani di età compresa tra i 15 e 34 anni la meta preferita è diventata invece il Regno Unito (27.263 emigrati, pari al 53% del totale), che precede in questa classifica la Germania (24.445, pari al 41% del totale), la Svizzera (16.653), la Francia (14.682) e la Spagna (11.377).
Nello stesso periodo di tempo molti altri nostri connazionali hanno invece preferito stabilirsi negli Stati Uniti: 26.072 italiani (fra questi 9.104 giovani), di cui 5.560 soltanto nel 2013. Sempre dal 2008 al 2013, altre mete di destinazione dei nostri emigrati sono state nell’ordine il Belgio (12.064 connazionali, di cui 4.457 giovani), l’Albania (9.470, di cui 3.442 giovani) e la Slovenia (1.629, di cui 351 giovani).
Tabella emigrazioneper paese
[clicca per ingrandire]
“I nostri emigranti – ha spiegato Massimo Blasoni, presidente del Centro Studi ImpresaLavoro – scelgono in larghissima parte di continuare a vivere all’interno dell’Unione europea, spostandosi in Paesi che garantiscono loro un sistema formativo e un mercato del lavoro decisamente superiori a quelli italiani”.

 

 

Tagli alla spesa pubblica: in Europa si fa sul serio

Tagli alla spesa pubblica: in Europa si fa sul serio

Chiara Bussi – Il Sole 24 Ore

Se esistesse una Coppa europea della spending review a trionfare sarebbe l’Irlanda. A Dublino, infatti, la sforbiciata della spesa pubblica si è rivelata più efficace: dal 2011 al 2013 – secondo i dati di Eurostat – il suo peso sul Pil è diminuito di oltre quattro punti percentuali, passando dal 47,1 al 42,9 per cento. Sul podio salirebbero anche Spagna e Gran Bretagna, dove i tagli procedono secondo la tabella di marcia. L’Olanda, ex “allieva modello” che si è scoperta fragile, dovrebbe invece accontentarsi del quarto posto. Tra i grandi, invece, gli unici in controtendenza sono Italia e Francia. Nel nostro Paese la spesa pubblica sul Pil è cresciuta dello 0,9%, in quello transalpino – al top in Europa per i costi di funzionamento della macchina burocratica – dell’1,2 per cento. Così mentre il governo italiano ribadisce che la spending review è al centro della sua strategia e per Parigi la strada è ancora in salita, il resto dell’Europa fa sul serio. E con ogni probabilità la cura dimagrante della pubblica amministrazione sarà ancora uno degli ingredienti dei budget 2015 che i governi dovranno presentare entro metà ottobre a Bruxelles. Una via obbligata per dare un po’ di ossigeno ai conti pubblici e dare una mano alla ripresa.
Dublino ha scommesso su un piano di risparmi da 7,8 miliardi varato nell’aprile 2010, che prevede un ferreo controllo della spesa, con una stretta sul welfare e una riduzione del numero di dipendenti pubblici entro il 2015. Gli interventi sono valsi al Paese la conclusione del programma di salvataggio di Ue e Fmi a dicembre, ma il governo non si adagia sugli allori e anche quest’anno si è impegnato a rispettare il tetto alla spesa per abbassare ancora il deficit.
Madrid, con un disavanzo fuori rotta, punta a una riduzione di 37,6 miliardi dal 2012 al 2015. La cabina di regia è affidata al Cora, la Commissione per la riforma della Pa, che ha messo a dieta ministeri ed enti locali. Tra le misure previste figurano lo stop alla tredicesima per parlamentari, funzionari e impiegati statali, una riduzione dei giorni di ferie per i dipendenti pubblici, un taglio del 30% del numero di consiglieri comunali e del 20% dei sussidi a partiti e sindacati. Ma anche pesanti interventi su sanità e scuola. Gli sforzi sono stati ribaditi anche nel Programma nazionale di riforma inviato alla Commissione Ue ad aprile, con un impegno a rendere più incisiva la modernizzazione della Pa e a un’ulteriore razionalizzazione dell’organizzazione e delle strutture. Grazie a questi sforzi Madrid ha già ridotto la spesa pubblica dello 0,9% sul Pil. E secondo le ultime stime del governo è già stato messo a segno un terzo dei risparmi previsti, pari a 10,4 miliardi. L’impegno continua e anche per il 2015 il premier Mariano Rajoy ha fissato un tetto di spesa a 129 miliardi, il 3,2% in meno rispetto a quest’anno.

A Londra la spending review imposta dal governo Cameron ha scatenato a luglio uno dei più grandi scioperi del Paese, che ha coinvolto oltre un milione di persone. Dopo i tagli avviati nel 2010, lo scorso anno Downing Street ha annunciato un nuovo round per il 2015 e 2016, con una dieta da 14,3 miliardi (11,5 miliardi di sterline). Dalla scure si salvano solo sanità e istruzione, mentre a soffrire di più sono le risorse destinate a giustizia ed enti locali. Viene introdotto anche un tetto alle spese di welfare, con una stretta sui sussidi di disoccupazione. La spending review non risparmia nemmeno la Bcc: la tv pubblica si appresta a licenziare altre 600 persone, dopo i tagli del 2012. Secondo i dati di Eurostat, Londra si sta muovendo nella giusta direzione: dal 2011 al 2013 è riuscita a contenere la spesa dello 0,8 per cento.
Nel budget 2014 l’Olanda ha invece annunciato tagli per 6 miliardi, con un focus sulla riduzione della spesa sanitaria e una razionalizzazione dei sussidi al welfare. In cantiere c’è anche un piano di modernizzazione della Pa e il congelamento degli stipendi pubblici.
In Francia, infine, il rimpasto di governo a fine marzo con l’arrivo del premier Manuel Valls non ha distolto il governo dalle intenzioni di ridurre la spesa. I piani, che puntano a 50 miliardi di risparmi entro il 2017, sono stati però definiti «ambiziosi» in un recente rapporto della Corte dei conti transalpina. Oltre il 40% degli interventi riguarderanno welfare e sanità, mentre a livello locale si punta sul dimezzamento del numero di regioni e sulla semplificazione dell’organizzazione territoriale. L’obiettivo dichiarato è racimolare un gruzzolo per abbassare le imposte. La Corte punta però il dito su 30 miliardi di risparmi previsti, ma «ancora poco documentati e dall’esito incerto», come l’intervento sui regimi complementari di assicurazione sulla vecchiaia e quelli sulle collettività territoriali.
Comunque vada, insomma, da nord a sud quest’anno il filo rosso d’autunno nella Ue sarà ancora la spending review.

RICETTE DI SPENDING REVIEW A CONFRONTO

ITALIA 53,5 miliardi

È l’obiettivo complessivo della spending review annunciata dal governo nel Def di aprile presentato alla Commissione Ue. Nel dettaglio si tratta di 4,5 miliardi per il 2014, 17 per il 2015 e 32 per il 2017.
Gli interventi
Sotto la scure sono finiti i trasferimenti alle imprese, le retribuzioni dei dirigenti pubblici (con il tetto massimo di 238mila euro) e i costi della politica. Nell’ambito del Patto per la salute sarà interessata anche la sanità e la sforbiciata riguarderà le spese che eccedono i «costi standard». Si dovranno concentrare anche gli acquisti in capo alla centrale della Consip e ad altre centrali a livello di regioni e città metropolitane. Dal piano di razionalizzazione delle partecipate locali annunciato dal Commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, è previsto un risparmio di 2-3 miliardi all’anno.

GRAN BRETAGNA 14,3 miliardi

Valore della riduzione della spesa prevista per il 2015 e 2016 dopo le misure già varate nel 2010.
Gli interventi
Tetto dell’1% all’aumento degli stipendi pubblici; tetto alla spesa del welfare dall’aprile 2015, compresi i sussidi per le abitazioni; riduzione del budget per le pensioni del 9,5%; regole più rigide per ottenere i sussidi di disoccupazione. Tagli selettivi alle spese dei ministeri: quello responsabile degli enti locali e la giustizia subiranno un taglio del 10%, mentre trasporti ed energia registreranno una riduzione della spesa del 9% e la cultura del 7 per cento. Restano escluse solo sanità e istruzione. Tagli anche per il budget delle forze di polizia (circa il 6%).

OLANDA 6 miliardi

Riduzione della spesa prevista dal budget 2014. La misura segue un piano di spending review del 2010, che aveva tracciato la rotta da seguire individuando 20 capitoli di spesa.
Gli interventi
La spesa della Pubblica amministrazione diminuirà di 1,4 miliardi, quella sanitaria di 1,5 miliardi. Riduzione delle pensioni minime nel 2014 con tagli progressivi ogni anno fino al 2016. Salvo solo il budget per l’istruzione. Nel Programma nazionale di riforma presentato
a Bruxelles sono stati annunciati un piano per la modernizzazione della Pubblica amministrazione, una razionalizzazione della spesa sanitaria con l’obiettivo di risparmiare oltre 6,5 miliardi nel corso della legislatura e una riforma delle pensioni.

FRANCIA 50 miliardi

È l’obiettivo di riduzione complessiva della spesa annunciato dal Governo dal 2014 al 2017: 15 miliardi per quest’anno, 18 per il 2015 e 14 per il 2017. Di questi 21 miliardi di risparmi deriveranno dal welfare e dalla sanità, altri 18 miliardi da una razionalizzazione della spesa dei ministeri e 11 a livello locale.
Gli interventi
Congelati fino all’ottobre 2015 i contributi di welfare e le pensioni, previsti un freno all’aumento dei salari dei dipendenti pubblici e un blocco delle assunzioni. Miglioramento dell’efficienza della spesa sanitaria, con un maggiore ricorso ai farmaci generici e alle cure ambulatoriali. A livello locale dimezzamento del numero di regioni dal 2017, semplificazione e rafforzamento dell’efficacia del servizio pubblico locale. Salvi i settori prioritari come lavoro, politiche giovanili e giustizia.

SPAGNA 37,6 miliardi

Riduzione della spesa pubblica prevista dal 2012 al 2015. A oggi, secondo il governo, è stato realizzato un terzo dei risparmi, pari a 10,4 miliardi. L’esecutivo assicura che le altre misure sono in dirittura d’arrivo.
Gli interventi
Stop alla tredicesima per parlamentari, funzionari e impiegati pubblici, riduzione dei giorni di ferie per i dipendenti pubblici, taglio del 30% dei consiglieri comunali e del 20% dei sussidi per partiti e sindacati. Pesanti riduzioni del budget per scuola, università e sanità, eliminazione delle agevolazioni ai pensionati per l’acquisto di medicinali. Nel Programma nazionale di riforma presentato a Bruxelles il governo si impegna a modernizzare la pubblica amministrazione e a razionalizzarne le strutture.

IRLANDA 7,8 miliardi

È l’entità del taglio della spesa pubblica varato dal governo con il cosiddetto «Croke Park Agreement» nell’aprile 2010: 2,2 miliardi nel 2014, 2,25 nel 2015, 2 nel 2014 e 1,3 nel 2015.
Gli interventi
Stretta sui dipendenti pubbblici, con l’obiettivo di una riduzione di 37.500 unità (da 320mila) entro il 2015. Riduzione della spesa per il welfare, con un focus sui bonus bebé e i sussidi di disoccupazione, razionalizzazione del sistema dei ticket sanitari e regole più rigide per i certificati di malattia. Risparmi anche dalla “standardizzazione” dei congedi di maternità. Previsto un tetto al bilancio pubblico nel 2012, 2013 e 2014. Bocciata invece con un referendum lo scorso ottobre l’abolizione del Senato, che avrebbe dovuto portare a un risparmio di 20 milioni annui.

Piccole imprese di Spagna e Italia le più colpite dal credit crunch

Piccole imprese di Spagna e Italia le più colpite dal credit crunch

La Stampa

Sono le Pmi di Italia e Spagna le grandi vittime della crisi del debito sovrano che si è abbattuta sull’Europa negli ultimi quattro anni. Lo rivela, o meglio lo conferma, uno studio pubblicato dalla Bce nel suo bollettino mensile di luglio. «L’impatto della crisi del debito sovrano sui finanziamenti e sui bilanci della banche – osserva l’Eurotower – ha probabilmente avuto conseguenze più pesanti sulle aziende più piccole e che dipendono maggiormente dai prestiti bancari e sulla loro attività reale, come mostrato anche dai primi studi empirici effettuati su dati italiani». L’andamento disomogeneo in Europa dei tassi sui prestiti alle imprese non finanziarie, «soprattutto a partire dal 2011, suggerisce considerevoli differenze nei costi di finanziamento delle piccole imprese localizzate in Francia e Germania da una parte, e in Italia e Spagna dall’altra. Simili disparità riflettono probabilmente sia il contesto economico e il rischio sovrano associato sia i rispettivi costi della raccolta delle banche nazionali», spiega la Bce. In particolare, «tra le aziende spagnole e italiane non solo il livello assoluto dei tassi bancari era sostanzialmente più elevato rispetto alle imprese francesi e tedesche ma anche i maggiori premi versati alle Pmi» in termini di interessi bancari «rispetto alle grandi aziende sono aumentati considerevolmente nel 2011 e nel 2012».

La forbice tra piccole e grandi aziende si spiega in due modi: le Pmi si finanziano quasi esclusivamente attraverso prestiti bancari e l’assenza di canali di finanziamento alternativi le rende più vulnerabili; le piccole aziende dipendono dalla domanda interna più delle grandi (che invece riescono a spalmare il rischio su più mercati) e dunque i loro bilanci hanno sofferto maggiormente all’apice della crisi, soprattutto in Paesi come Italia e Spagna. Le Pmi italiane e spagnole insomma si trovano a dover fronteggiare una situazione molto più complicata delle loro concorrenti tedesche e francesi. Oggi per ottenere un credito a breve termine (inferiore a un anno) per un importo superiore al milione di euro una Pmi spagnola paga un tasso d’interesse medio del 5%, una italiana del 4,3%, una tedesca del 3% e una francese del 2,3% circa. La situazione è migliorata solo in minima parte nell’ultimo anno. Il tutto in un contesto congiunturale che stenta a migliorare. I dati negativi della produzione industriale in Italia, Francia e Germania a maggio fanno pensare a una frenata del Pil nell’area euro nel secondo trimestre dopo il già non esaltante +0,2% del primo trimestre. «I rischi geopolitici nonché l’andamento dei Paesi emergenti e nei mercati finanziari mondiali – afferma la Bce – potrebbero influenzare negativamente la condizioni economiche, anche tramite effetti sui prezzi dell’energia e sulla domanda mondiale di beni e servizi provenienti dall’area euro». Secondo l’Eurotower «un altro rischio è connesso a riforme strutturali insufficienti nei Paesi dell’area».