successione

Stangata sulla tassa di successione

Stangata sulla tassa di successione

Filippo Caleri – Il Tempo

Era il 2001 e l’Italia apprendeva dalle parole dell’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che una delle tasse più odiate dagli italiani, quella sulla trasmissione dei beni di famiglia per morte o volontà dei proprietari, scompariva dal codice tributario. «Sono state approvate le norme per l’abolizione dell’imposta di successione e donazione» disse allora il Cavaliere aggiungendo anche una frase che forse Renzi dovrebbe ripassare: «Pensiamo che con questo provvedimento si possa contare sul ritorno in Italia di investimenti ingenti».

Sono passati quasi 13 anni da quel momento e dopo un parziale dietrofront sul balzello con l’arrivo al governo del vorace ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, si sta per tornare alla situazione di partenza. Non c’è scampo. La ricerca spasmodica di nuove fonti di finanziamento per il bilancio pubblico spingono i tecnici a raschiare il barile e a verificare tutte le possibili opzioni per reperire soldi. Così, visto che i capitoli di entrata sono però sempre gli stessi, era inevitabile che si andasse a toccare l’imposta sulle successioni. Anche in questo caso la motivazione del rialzo è sempre la stessa: la possibilità di aumentarla è legata al fatto che nel resto d’Europa l’aliquota applicata ai passaggi ereditari è molto più alta che in Italia. Senza tenere conto però che molti capitali italiani sono già andati all’estero a causa del dumping fiscale, ovvero di condizioni favorevoli di trattamento dei redditi, praticati oltreconfine. E che ogni aumento di tasse scoraggia non solo quelli che vogliono investire da fuori ma anche quelli che i soldi li vorrebbero tenere nel Paese.

Eppure quando si tratta di far cassa le motivazioni macroeconomiche passano in secondo piano, salvo poi scoprire tra qualche anno che le misure restrittive hanno provocato più danni del beneficio. Comunque secondo quanto ha riportato il Sole 24 Ore ieri lo scopo che si prefigge il governo è di recuperare almeno un miliardo di euro alzando le aliquote applicate al valore dei beni e abbassando la soglia della franchigia ovvero il tetto esente da contributo allo Stato. La decisione potrebbe essere presentata con la legge di stabilità entro il 15 ottobre.

Una norma che modificherà il quadro esistente che prevede oggi, nel caso di trasferimenti di beni avvenuti dopo la morte del proprietario o ad una sua donazione spontanea, una franchigia di un milione di euro, al di sotto della quale non viene effettuato alcun prelievo. Sopra questa soglia bisogna distinguere diverse aliquote a seconda del grado di parentela: 4%, per i beni devoluti a favore del coniuge e dei parenti in linea diretta, (sopra 1 milione di euro); il 6%, per i beni devoluti a favore di fratelli e sorelle, degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea diretta, (sopra i 100mila euro); 8%, per i beni devoluti a favore di altri soggetti.

Secondo le indiscrezioni del quotidiano economico l’ipotesi a cui il governo lavora è quella dell’aumento delle aliquote e l’abbassamento della franchigia sopra a cui scattano i prelievi. La soglia di 1 milione di euro per gli eredi in linea retta potrebbe essere ridotta tra 200 e 300mila euro. E contestualmente, innalzate le aliquote dal 4 al 5% per gli eredi in linea retta, dal 6 all’8% per gli altri parenti e dall’8 al 10% per gli estranei.

Ma nessuno tocchi le tasse sull’eredità

Ma nessuno tocchi le tasse sull’eredità

Francesco Forte – Il Giornale

Matteo Renzi sembra stia pensando a una nuova nefandezza fiscale, cioè l’aumento dell’imposta di successione. Si ridurrebbe la attuale franchigia di un milione di euro, portandola a 300mila euro. L’aliquota fra parenti in linea retta del 4% salirebbe al 6%, quella del 6% sui parenti meno stretti andrebbe all’8% e l’aliquota ordinaria attuale, dello 8%, passerebbe al 10%. Il gettito, attualmente di mezzo miliardo, cosi raddoppierebbe.

Dato lo schema della proposta, il gravame andrebbe soprattutto sui ceti medi e modesti, sui parenti del defunto e sulle piccole aziende non strutturate. La tesi che viene avanzata per questa nuova vessazione tributaria è che si tratta di spostare le imposte dai redditi ai patrimoni. Tesi, comunque, priva di senso in un Paese con un debito pubblico che supera il 130% del Pil, in cui una buona ricchezza privata è garanzia del debito collettivo. Occorrerebbe un maggiore investimento, per accrescere la nostra produttività e competitività onde aumentare il Pil e rafforzare la bilancia con l’estero.

Silvio Berlusconi, sulla base di queste considerazioni, rilevanti anche allora, seppure un po’ meno pressanti aveva abolito l’imposta di successione. Io avevo fatto notare che essa aveva un gettito miserevole, incoerente con il valore annuo dei lasciti ereditari, che si può calcolare dividendo il presunto patrimonio annuo nazionale per 33 che è l’intervallo medio fra le generazioni. Quel calcolo vale anche ora. Se il patrimonio nazionale privato è 9.000 miliardi (evidente sottostima), il 33% è 300 miliardi. Se l’aliquota effettiva è il 4% (media prudenziale fra le aliquote del 4/6/8% attuali e gli esoneri vigenti), il gettito annuo dovrebbe essere 12 miliardi, non mezzo.

Chiaramente i ricchi e i furbi non pagano il tributo di successione anche ora che è al massimo dello 8%, cifra comunque consistente. Ricchi e furbi in parte hanno il controllo dei loro beni all’estero, tramite holding a catena e altre «scatole cinesi» con varie intestazioni e in parte detengono titoli e gioielli in cassette di sicurezza e casseforti. E inoltre con la partecipazione di figli e altri eredi alle varie società e alle scatole cinesi, sono in grado di generare passaggi di proprietà non tassabili. Il tributo successorio lo pagano i familiari del colonnello in pensione che oltre alla prima casa lascia due alloggi: uno che affittava e l’altro che usava come seconda casa. Lo pagano gli eredi del professionista che lascia l’ufficio, dell’artigiano e del negoziante che lasciano i loro piccoli capitali produttivi e l’avviamento.

L’esonero faceva perdere un gettito minimo, liberava gli uffici fiscali da pratiche complicate. Ma ciò che fa Berlusconi è considerato dal Pd, a priori, iniquo, anche se in realtà è ragionevole e liberale. Così Prodi, con un coro di sì dei giustizialisti, aveva reintrodotto il tributo successorio. Qualcuno ha voluto persino sostenere che l’imposta di successione era propugnata da Einaudi, dimenticando che questi, però, sosteneva l’esonero del reddito mandato a risparmio dall’imposta sul reddito, che egli voleva molto moderata. Einaudi non voleva l’imposta di registro. E non voleva che si tassassero i redditi distribuiti dalle società ove già tassati. Invece ora il tributo personale sul reddito arriva al 45% e non esonera il risparmio, salvo quando è tassato con l’elevata cedolare sulle rendite finanziarie. Le società sopportano un carico fiscale che può arrivare al 65%, mentre gli utili distribuiti sono tassati. Sugli immobili gravano sia l’Imu che l’imposta di registro del 9% per i trasferimenti a titolo oneroso. Per le successioni essa è comunque del 3% (però si chiama imposta ipotecaria e catastale) e si aggiunge al tributo di successione.