tesoretto

Oplà, il tesoretto non c’è più

Oplà, il tesoretto non c’è più

Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano

A Roma, si chiama sòla un personaggio poco affidabile, dedito al raggiro e dunque impegnato a sòlare il prossimo. Di queste sòle il renzismo, quotidiano superspot del Renzi­pensiero, ce ne ha rifilate parecchie: grandiosa quella del piano per l’edilizia scolastica cosa fatta, con i soffitti che continuano a crollare sulla testa dei poveri alunni.

L’ultima della serie riguarda il famoso “tesoretto” che se esistessero gli Oscar delle sòle meriterebbe il premio per gli effetti speciali. Tralasciamo per carità di categoria l’enfasi con cui i giornaloni strombazzarono questo prodigio dei conti pubblici: come se il premier avesse scovato con le sue manine, negli anfratti della Banca d’Italia, un colossale carico di lingotti d’oro, misteriosamente ignorato dai suoi predecessori. Si trattava in realtà di un artificio contabile con cui si sgraffignavano 1,6 miliardi di euro aumentando il defìcit: ma così sono buoni tutti. Invano l’eroico ministro Padoan tentò di frapporsi tra i sogni d’oro e la dura realtà: niente da fare, il tesoretto era lì che aspettava solo di essere distribuito, magari con un’altra mancia elettorale tipo 80 euro. Finché ieri il governo, per non ammettere che il “tesoretto” non è mai esistito, ha comunicato che “sarà congelato”, visto che tra tagli e nuove spese i problemi non mancano.

Come diceva Abramo Lincoln, si possono ingannare tutte le persone una volta, si può ingannare una persona tutte le volte, ma non si potranno mai ingannare tutte le persone tutte le volte.

Molla il tesoretto

Molla il tesoretto

Davide Giacalone – Libero

Debito e tesoretto, disastro perfetto. La Banca centrale europea vara il Quantitative easing con stile e tempistica eccellenti. Sarà un successo, perché è già un successo. Ma mentre l’operazione s’appresta a partire, avendo già dispiegato parte dei suoi benefici effetti, il presidente del Consiglio parla di “tesoretto”, ovvero di una provvidenziale quantità d’imprevista ricchezza, sulla quale potere contare. Basta ciò per passare dal trionfo al tonfo.

Mario Draghi ha detto e ridetto che le politiche espansive della Bce, da sole, non bastano. Che servono riforme profonde, sia sui fronti nazionali che sul comune fronte europeo. Che la ripresa sarà illusoria, se quelle riforme non incideranno nel profondo degli equilibri istituzionali, monetari e produttivi. Più è grande il successo della Bce più si deve essere veloci e precisi nell’operare i cambiamenti che l’accompagnino, moltiplichino e stabilizzino. Se, invece, si pensa al tesoretto, se si crede che bastino quei 60 miliardi al mese per risparmiarci dolori e fatiche, allora vuol dire che non s’è capito nulla, ma proprio nulla di come stanno le cose.

A novembre le stime di crescita dell’eurozona, elaborate dalla Commissione europea, vedevano un +1% del pil nel 2015. A gennaio è diventato 1,3. All’inizio di marzo è stimato 1,5. Per l’Italia era +0,6 a novembre. È rimasto 0,6 a gennaio, Ora Matteo Renzi dice che il governo ha fatto i conti prevedendo 0,5. Talché il di più è tesoretto. Ma è una ragionamento sconclusionato: il dato rilevante è la distanza dalla crescita dell’eurozona. Il nostro svantaggio è tale da mettere nelle vele solo una parte del vento Bce, quindi ogni sforzo deve essere fatto per dispiegarle al meglio e per liberarsi il più possibile della zavorra del debito. Invece qui s’avverte la ciurma che, galleggiando la barca, ci si potrà dividere il frutto della bravura e delle politiche altrui.

Capisco tutto, nella polemica politica. Ma tanto è demenziale supporre che siano colpe del governo Renzi le lentezze inquietanti con cui l’Italia prende coscienza e reagisce alla condizione in cui si trova, quanto lo è abbandonarsi a questo giochino della crescita, dicendo: prima colavamo a picco, ora c’è il segno più, prima lo spread era alto, ora e basso. Lo dobbiamo alle scelte europee e a quegli italiani, imprenditori e lavoratori, che massacriamo di tasse e martirizziamo con la burocrazia. Le cose andranno meglio, grazie a loro, ma la circostanza fortunata deve essere sfruttata per riassorbire disoccupazione e rilanciare la produttività. Il che comporta non politiche di redistribuzione, magari con il tesoretto dirottato a pagare il costo di 120mila insegnanti da assumere, condannando la scuola a restare identica, quindi inadatta, ma comporta politiche di alleggerimento fiscale.

Non c’è nessun tesoretto, perché il migliorare dei conti pubblici, derivato da meno interessi sul debito e maggior gettito indotto dalla ripresa, è estraneo alle scelte politiche interne. Se lo scrivano sulla testa, le persone responsabili. Che siano al governo o all’opposizione, a destra o a sinistra, sopra o sotto. Perché se prevale l’eterno partito unico della spesa pubblica, a questo giro ci condanniamo a subire una botta micidiale, quando gli antidolorifici e gli stimolanti Bce saranno finiti. Se Draghi continua a dire che non bastano non è perché vuol fare il modesto, ma perché si rende conto di quanto modesta sia la caratura di certi interlocutori.