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Siri: “La vera sfida resta la rivoluzione del sistema tributario”

Siri: “La vera sfida resta la rivoluzione del sistema tributario”

di Armando Siri*

I dati della crescita economica reale del nostro Paese negli ultimi anni sono a dir poco sconcertanti e come dimostrato dallo studio di ImpresaLavoro, salvo la parentesi dell’ultimo Governo Berlusconi, il trend del Pil italiano è sempre stato molto al di sotto di quello degli altri Paesi Ue. Prima i governi tecnici, oggi il governo non eletto di Matteo Renzi, non sono stati in grado di invertire la tendenza per inadeguatezza degli interventi e mancanza di visione. La vera sfida era e rimane quella fiscale. Solo una rivoluzione del sistema tributario con l’introduzione di un’unica aliquota fiscale può far decollare il Paese e consentirgli nel giro di un paio di anni di recuperare i quasi dieci punti di Pil perduti dal 2008 ad oggi e creare le premesse per un trend di crescita costante per il futuro.

Non possiamo accontentarci degli zerovirgola che Renzi spaccia per grandi risultati. Questo Governo non vuole capire che la nostra economia asfittica ha bisogno di nuova linfa e nuovo ossigeno che può arrivare solo se allenta il cappio con il quale drena verso lo Stato le risorse dell’economia reale sotto forma di imposte.

Non servono i piccoli interventi a breve scadenza come il Jobs Act e l’abolizione dell’Imu per far ripartire consumi e mercato del lavoro. Questi interventi producono gli stessi risultati che si possono ottenere somministrando l’aspirina ad un malato di polmonite. Qui servono interventi drastici a base di antibiotici e adrenalina, serve coraggio per realizzare la radicale riforma del sistema fiscale. Il resto degli interventi sono solo inutili e frustranti palliativi.

* consigliere economico di Matteo Salvini e responsabile economico della lista “Noi con Salvini”

Se la riforma tributaria prende tempo

Se la riforma tributaria prende tempo

Enrico De Mita – Il Sole 24 Ore

Il governo avrà più tempo per completare l’attuazione della legge delega per un «sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita». La proroga di sei mesi per emanare i decreti legislativi mancanti – finora solo tre sono giunti in porto, oltre ad alcune disposizioni che hanno trovato attuazione con la legge di Stabilità – non può essere considerata un incidente di percorso. La legge delega 23/2014 è tutt’altro che un testo organico per ridisegnare dalle fondamenta il sistema tributario. Non si vede un disegno complessivo, ma al contrario, si tratta – come abbiamo più volte sottolineato – di un testo di legge fatto di una combinazione di principi e del tentativo di dare soluzione a più casi pratici. Non si tratta di una critica: molti aspetti sui quali la delega si propone di intervenire rappresentano problematiche molto sentite dagli operatori. Tuttavia, per quanto apprezzabile in molti elementi, la delega non porta con sé una strategia omogenea. Inoltre, l’esperienza insegna che mettere le mani al testo di una legge delega non è mai cosa agevole. Soprattutto non lo è quando gli interlocutori sono tanti.

Non a caso la Costituzione dà a Parlamento e governo ruoli precisi e non sovrapponibili: il procedimento per la delega vede la competenza del Parlamento nella previsione di principi e criteri direttivi, mentre è il governo a emettere i decreti delegati. Questo perché il governo, come organo ristretto, è guidato dall’iniziativa di un ministro competente (nel caso, l’Economia) in grado dal punto di vista tecnico di formulare testi che abbiano la dignità della legge. Per la delega fiscale le cose sono andate diversamente, con il Parlamento che – attraverso la “bicameralina” – ha quasi rivendicato il diritto a occuparsi dei decreti attuativi. Aumentando la confusione e allungando i tempi anziché accorciarli.

Da ciò deriva un’altra considerazione. E cioè che il governo non ha ancora esplicitato la propria linea di politica tributaria. A volte si ha la sensazione che a determinarne la direzione sia più l’amministrazione finanziaria che non l’esecutivo. Le cronache sui lavori tecnici per l’attuazione raccontano di un ruolo attivo dell’agenzia delle Entrate. Il che trova una spiegazione nel fatto che l’amministrazione sarà il soggetto che queste norme dovrà far rispettare. Però, ciò riporta l’attenzione sui rapporti tra ministero dell’Economia e agenzia delle Entrate. Gli indirizzi di politica tributaria, compresa la stesura delle norme, sono affidati al governo e al ministro dell’Economia e delle Finanze, anche per il tramite del Dipartimento per le politiche fiscali; l’amministrazione del fisco – in termini di riscossione dei tributi, contrasto all’evasione fiscale, gestione del contenzioso – tocca invece all’agenzia delle Entrate, che opera sulla base di una convenzione con il ministero dell’Economia e ne è sottoposto alla vigilanza. L’agenzia per sua natura ha il solo compito di applicare le leggi fatte su indirizzo del governo. Altrimenti, si creerebbe un evidente conflitto di interessi e si finirebbe per alimentare il sospetto di un’amministrazione che scrive norme “pro domo sua”, ad esempio per dare copertura (anche ex post, con norme interpretative) al proprio operato.

Insomma, la sensazione è che la legislazione, specie quella fiscale, sia caratterizzata dall’assenza di strategie e da una confusione dei ruoli. E tornando ai sei mesi in più per la delega: siamo sicuri che con il rinvio ci siano i tempi necessari per varare i decreti delegati? Io credo di no. Anche se c’è la scappatoia della proroga della proroga.

La certezza calpestata del diritto tributario

La certezza calpestata del diritto tributario

Enrico De Mita – Il Sole 24 Ore

Lo schema di decreto legislativo sull’abuso del diritto – ora impigliato nella vicenda della contestata soglia di punibilità del 3% – porta nel titolo il riferimento alla «certezza del diritto». È stato detto che questo provvedimento dovrà lasciare all’interpretazione «uno spazio minimo quasi nullo». È un’affermazione, questa sullo spazio minimo quasi nullo, che va chiarita, perché secondo un’opinione diffusa la certezza del diritto è quella che non lascia alcun spazio all’interpretazione. Ora, il diritto tributario è un diritto come tutti gli altri. Sicché non si può stabilire a priori quanta parte di esso resti affidata alla interpretazione.

I principi sono sempre gli stessi. Il tema della certezza del diritto come tema di carattere generale è stato accantonato. Altri temi hanno preso il suo posto come quello dell’affidamento. Perciò non serve a niente scrivere in testa a una legge che essa risponde alla certezza del diritto. È solo uno slogan e il riferimento a questa esigenza può creare degli equivoci se non correttamente inteso. C’è un profilo pacifico del tema che riguarda tutte le leggi tributarie: il numero delle leggi e la loro stabilità nel tempo. Questo è il tema. La semplificazione è un metodo che vuol dire tutto il contrario di una legislazione a getto continuo. La certezza del diritto non può essere data da una legislazione che per la sua immensità è inconoscibile. C’è l’esigenza nel nostro ordinamento (come in quello tedesco) di un codice tributario nel quale le leggi siano semplici e chiare, altrimenti si resta condannati a una legislazione scritta con la mentalità delle circolari e che, per la sua minuziosità, penalizza non solo i contribuenti ma la stessa amministrazione. Ma è la prassi delle circolari che aggrava la situazione, quando introduce nell’ordinamento un’interpretazione distorta, con limitazioni e distinzioni che non hanno fondamento e che contrastano con lo spirito delle leggi. E l’emanazione di una circolare vuol dire certezza di atti d’accertamento conseguenti. Quindi l’aspirazione ad uno spazio minimo, quasi nullo per l’interpretazione, non è una prospettiva plausibile. Di fronte alla locuzione «sostanza economica», l’Amministrazione non rinuncerà a spiegare, con una circolare, che cosa si intende per sostanza economica nell’abuso del diritto. Lo slogan con cui è stata presentata la legge, la certezza del diritto, risulta vanificata dalla legge stessa.

Volendo dare un contenuto proprio alla certezza del diritto, questa vuol dire ripugnanza delle nuove regole senza abrogazione espressa delle precedenti nell’ordinamento legale. Il diritto ha il compito di garantire soprattutto comportamenti sociali rendendo prevedibili valutazioni per il futuro nel processo economico di alto valore costituito dalla sicurezza. Nel diritto tributario, con il forte prevalere delle garanzie costituzionali, perdono di autorità il metodo dell’interpretazione teleologica e della giurisprudenza degli interessi. Al loro posto è subentrata una concezione delle fattispecie legali dirette a garantire l’applicazione perequatrice delle leggi tributarie. La nostra giurisprudenza della Cassazione ha imboccato questa strada quando ha inventato la nozione di abuso del diritto con una interpretazione teleologica e perseguito in modo improprio la tutela dell’interesse fiscale. È sufficiente il provvedimento sull’abuso del diritto a neutralizzare questa tendenza della nostra giurisprudenza? Solo il tempo potrà dirlo.