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Orgoglio&Pregiudizio

Orgoglio&Pregiudizio

Davide Giacalone – Libero

Dal ministero dell’Economia hanno fatto benissimo a non lasciar correre, usando anche Twitter per ricordare quali sono i punti di forza dell’Italia. Siccome, però, sono le cose che qui scriviamo da anni, senza (noi) cambiare opinione a seconda del colore dei governi, conosciamo anche il retro di ciascuna medaglia. Dal Ministero hanno lanciato l’hashtag #prideandprejudice. Vediamone i sei punti.

1. L’avanzo primario italiano, dicono dal governo, è fra i più alti e stabili del mondo. Nel 2013 secondo solo a quello della Germania. Se è per questo, aggiungo, è il più alto al mondo, se si considera il cumulo degli ultimi ventuno anni; c’è sempre stato, a eccezione di un leggero scivolare nel 2009; e, se calcolato su ba-se annua, abbiamo fatto numeri che la Francia non s’è mai sognata. Non c’è dubbio: possiamo dar lezioni globali, in quanto a rigore finanziario produttivo di avanzi primari. Però: mentre accumulavamo avanzi primari il debito pubblico cresceva, talché il bilancio statale si chiudeva regolarmente in deficit. Il deficit di oggi è il debito di domani, così siamo i campioni mondiali di avanzi di dissennatezza. Non è un caso, del resto, che nel corso della seconda Repubblica i governi, costantemente alternandosi fra destra e sinistra, si siano vantati e vicendevolmente rimproverati di tutto, ma non gli avanzi primari. Sarebbe stato imbarazzante dover dire che fine facevano: gettati nella fornace del costo del debito crescente.

2. Abbiamo tenuto il rapporto deficit/pil entro il 3%, così chiudendo la procedura d’infrazione che subivamo. Siamo fra i pochi a rispettare quel parametro. Verissimo. E ci costa dolore. Ma tale nostra virtù la dobbiamo agli avanzi primari di cui sopra, quindi ai soldi che i cittadini versano per pagare il costo del debito. E la nostra tenuta del deficit la scontiamo con l’essere gli unici europei ancora in recessione. Altri hanno potuto comportarsi diversamente, perché all’appuntamento con la crisi dei debiti sovrani non sono arrivati con un debito pubblico smisurato.

3. Negli anni della crisi il nostro debito pubblico è cresciuto meno di quello di altri europei (e non), sia in assoluto che in rapporto al pil. Vero, siamo stati i soli, fra i grandi, a far funzionare il freno a mano. Ma l’altra faccia della medaglia è drammatica: il nostro debito è cresciuto perché spinto dal suo stesso costo, mentre il debito di tutti gli altri (tranne la Svezia, la sola ad aver fatto meglio di noi) è cresciuto per spese anticicliche. Il nostro debito cresce da solo, annientando la politica. Il debito tedesco o francese cresce per scelta politica. Non è una differenza da poco.

4. Il nostro debito pubblico è fra i più sostenibili, mentre il rischio connesso, sia nel breve che nel lungo periodo, è inferiore alla media europea. Non solo è vero, ma aggiungerei un dettaglio: noi e i tedeschi, dal punto di vista statale, siamo coetanei, solo che noi i nostri debiti li abbiamo sempre pagati, mentre loro, per due volte, li lasciarono insoluti. Quelli affidabili siamo noi. La sostenibilità, però, è anche il frutto di un patrimonio privato enorme e di un indebitamento privato minuscolo (rispetto agli altri), cui si aggiunge l’accondiscendenza a farsi tassare per pagare il costo del debito. Peccato che questo sia 1’inferno del socialismo fiscale. Se il debito non lo si abbatte, e se non si vuol perdere l’affidabilità, si corre verso la patrimoniale (ulteriore, perché già ne paghiamo diverse). Quindi: piano con l’orgoglio e in alto il pregiudizio, perché quello è il modo per autoevirarsi.

5. Siamo terzi per contributi versati ai paesi europei in crisi. E così. Ma questo è un punto molto delicato: perché fummo costretti a versare soldi che, aiutando i greci, servirono a salvare le banche tedesche e francesi che se ne erano rimpinzate? Siamo terzi per la semplice ragione che si paga in percentuale sul pil, e il nostro è il terzo pil. Perché, dovendosi salvare le banche, non si è pagato in rapporto all’esposizione delle proprie? Ci sarebbe costato meno e avremmo fatto rimarcare che le nostre sono state meno ciniche e incapaci di quelle altrui. Forse questo punto avrebbero fatto meglio a non metterlo, perché dietro c’è una storia ancora non raccontata. O forse non lo sanno. O forse pensano che gli altri siano tutti analfabeti fessi.

6. Infine: le nostre banche hanno ricevuto aiuti statali infinitamente inferiori a quelli che si sono visti altrove. Germania, Regno Unito e Francia in testa. Vero, ma va aggiunto quanto appena detto: abbiamo aiutato più le banche altrui che le nostre. Però, quando si sono fatti i test sulle banche le nostre si sono rivelate fra le meno capitalizzate. Ed è vero che le abbiamo aiutate poco, ma pure che fanno sempre meno le banche e sempre più le casse di riscossione. Il sistema delle fondazioni bancarie è al capolinea, mentre in Germania Stato e Lander sono soci delle banche.

Per i nostri lettori sono cose non nuove. Direi vecchie. Il fatto è che se i punti di forza non sei capace di farli valere, anche sfruttando le debolezze altrui (che ci sono, eccome), mentre quelli di debolezza te li fai rinfacciare notte e dì, con il di più delle polemiche interne, va a finire che di pregiudizi ne subisci tanti e con l’orgoglio ci fai poco.

Non c’è più niente da ridere

Non c’è più niente da ridere

Carlo Puca – Panorama

«Esci da questo twitter, Matteo». La battuta, attribuita al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, è sottilissima. Parafrasa il Renzi del 19 febbraio 2014 che, in diretta streaming con Beppe Grillo, pronunciò il celebre «Esci da questo blog, Beppe». Da allora i due, Matteo e Beppe, si sono amabilmente detestati. Padoan no, non è rancoroso. Quando il 25 agosto ha incontrato un Renzi distratto dallo smartphone, la buona educazione gli interessava poco o nulla. Ciononostante, a suo dire, la superfetazione di tweet stava «fomentando aspettative eccessive».

In sei mesi il premier ha promesso (e postato) di tutto e di più. Solo per rimanere all’essenziale: #lavoltabuona, #laSvoltabuona, #80euro, #italiariparte, #gufi, #amicigufi, #inpiazza, #unoxuno, #allafacciadeigufi, #centogiorni, #millegiorni, prodromo al sito internet passodopopasso.italia.it grazie al quale verificare l’attività di governo da qui al maggio 2017 e rispondere «alle accuse di annuncite». La verità è che #millegiorni segna la sua sconfitta nei confronti di Padoan e del suo sponsor principale, il presidente Giorgio Napolitano, solidale anche con il sottosegretario Graziano Delrlo. Insomma, è vero che la troika europea non è (ancora?) arrivata a commissariare Renzi. Però una troika italiota c’è eccome e già fa la guardia al premier.

I dati economici sono drammatici, La fiducia degli italiani scende, il Pil arretra, la deflazione impera, la disoccupazione è una piaga (siamo al 12,6 per cento). L’ottobre sarà caldo per i sindacati e nero per gli italiani, già a settembre alle prese con una tassazione pesantissima (e si vedrà con Tasi e Tari: altro che abolizione dell’Imu). Con la riforma del Senato e la nomina di Federica Mogherini a Lady Pesc la congiuntura cambia zero. La minoranza interna del Pd ha smesso di urlare, ma attende Renzi sulla riva del fiume parlamentare per martoriarne il cadavere (politico, per carità) . Forse il rimpasto di governo di fine ottobre porterà nell’esecutivo qualche ministro «meno leggero e più efficiente» (così Renzi, e nel mirino ci sarebbero anzitutto Federica Guidi, Angelino Alfano e Stefania Giannini), ma la legge di Stabilità si annuncia lacrime e sangue. Mentre, di sicuro, poco o nulla hanno prodotto gli 80 euro. Con i quali, al limite, ci si mangia un gelato al giorno. Nel caso di Renzi, nel cortile di Palazzo Chigi.

Il cono del premier ha cristallizzato la sua insolenza istituzionale, ma fin qui è soltanto questione di stile. È la parte decisionale che più preoccupa la troika italiana. Nei suoi colloqui con il Quirinale, Padoan riporta il surrealismo di taluni Consigli dei ministri, con il premier proponente cambiamenti impossibili, tipo la riduzione per decreto delle prefetture o l’assegnazione delle competenze delle autorità portuali ai Comuni. Ma lo stile di lavoro renziano che Padoan più considera «dilettantesco» riguarda il bilancio dello Stato. Il premier, è noto, ha studiato le carte: «Conosco ogni voce di spesa a memoria» rivendica. Ecco, esattamente come fanno i sindaci, che spostano qualche migliaio di euro dall’illuminazione alle bocciofile, così Renzi intenderebbe spostare risorse da una voce all’altra. Solo che «un conto sono scuole e bocciofile, un altro è toccare le pensioni, assumere insegnanti, chiudere municipalizzate». Per realizzare tutte queste cose «devi prepararti all’impopolarità e 100 giorni non bastano, ne occorrono almeno 1.000» ha ringhiato il ministro il 25 agosto. «E smettiamola di dare addosso alla Germania» ha aggiunto «anzi cavalchiamo le riforme imposte da Gerhard Schroder».

Guarda un po’, il 1° settembre Renzi ha cambiato linea: «La Germania è un nostro modello, non un nostro nemico» bisogna «rendere il nostro mercato del lavoro come quello tedesco». Ora Angela Merkel sorride, Napolitano pure e Padoan sembra Claudio Baglioni mentre pianifica i «mille giorni di te e di me». Ma Renzi è consapevole che questo è tutt’altro che «un piccolo grande amore». Anzi, siccome «la vita è adesso», magari porta il Paese al voto in primavera. Vuoi mettere la gioia (popolare) dell’annunciare rispetto alla noia (impopolare) del fare? 

Renzi, l’economia e la storia della costruzione dei volenterosi

Renzi, l’economia e la storia della costruzione dei volenterosi

Mario Sechi – Il Foglio

Splende il Sole, arriva l’alluvione. E’ venerdì 29 agosto, alle dieci in punto l’Istat apre la diga per far defluire gli ultimi dati sull’economia italiana. E’ il gong che segnala l’apertura dell’Armageddon contabile. Mezz’ora dopo il botto del cannone del Gianicolo (alle 12 in punto, sparo a salve dell’obice progettato nel 1914 dalla Skoda per l’Imperial Regio Esercito Austro-Ungarico dal Palazzo del Quirinale) decolla un comunicato: “Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto questa mattina al Quirinale il ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan”. Routine? Sì e no. Sì perché è imminente il Consiglio dei ministri; no perché pochi minuti dopo (ore 12 e 55) compare un altro dispaccio che fa lampeggiare le spie del sub-sonar: “Il Presidente Napolitano ha avuto con il Ministro dell’Economia uno scambio di vedute sulle prossime occasioni di chiarimento e di intesa a livello europeo (ad esempio in occasione della prossima seduta dell’Ecofin) per il rilancio della crescita dovunque in Europa. Nella ricognizione si sono considerate attentamente le importanti indicazioni contenute nel discorso pronunciato dal Presidente della Bce, Mario Draghi, a Jackson Hole”.Letto bene? Ecofin. Crescita. Draghi. Politica. Problema. Soluzione. E’ il segno che la situazione italiana si sta deteriorando? Sì, ma il nocciolo della faccenda è l’ormai religiosa fiducia riposta in Draghi, quello che nella copertina ice-cream dell’Economist tira via l’acqua a secchiate dalla barca europea. Basterà? Vedremo. Sul taccuino restano gli scampoli di un pazzo agosto, con tratti d’imprudenza psichedelica: Renzi mercoledì 27 agosto ci casca con il tweet del mattino, ore 6 e 20: “Non male questo fine settimana: giustizia, sblocca Italia, nomine europee, poi scuola e #millegiorni #italiariparte #ciaovacanze”’: Acme anticipatorio deluso quando la scuola sparisce da Twitter il venerdi alle ore 6 e 52: “Oggi giustizia e sblocca Italia. Domani vertice europeo. Lunedì la presentazione ufficiale #millegiorni con obiettivi e sito #italiariparte”. Missing in action, come il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini. 

Sembra tutto più semplice sabato 23 agosto quando Renzi sventaglia al settimanale Tempi una raffica di ultimatum: “E’ l’Italia che aiuta l’Europa, non l’Europa che aiuta noi. Togliamo il Paese ai soliti che vanno nei salotti buoni. All’Italia serve lo spirito del maratoneta”. Gajardo. E poi? La settimana è andata avanti con altro passo e spasso. Lunedì (25 agosto) Renzi inaugura l’hashtag #ciaovacanze con tanto di foto di Palazzo Chigi all’alba: “Buon lavoro a chi torna oggi in ufficio #ciaovacanze“ e il ministro dell’Economia Padoan si presenta alle 17 per conferire con il premier. Alle 18 e 26 esce da Piazza Colonna e si capisce che non c’e un euro da spendere o quasi. E poi ci sono le crisi internazionali e Renzi all’ora dei tg parla con il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, chiacchierata di modesta entità che spazia “dall’Africa al Medio Oriente”, così informano i bollettini d’agenzia ai quali ormai manca solo un tocco poetico, un sobrio “Dall’Alpi alle Piramidi/dal Manzanarre al Reno”. Martedì 26 agosto alle 10 in punto il cambio della bicicletta governativa s’inceppa nella lingua di Francesco Paolo Sisto, deputato di Forza Italia che dà una martellata sulla prescrizione: “Il processo deve avere una durata ragionevole. Una paralisi della prescrizione al primo grado comporterebbe in Italia un processo di secondo grado e di Cassazione infinito”. Non ha tutti i torti, chi tocca i fili della giustizia resta fulminato. In fase post-prandiale sul Moleskine resta impresso lo scatto d’orgoglio del militante. Festa dell’Unità, lettera del segretario Renzi: “Le priorità sono chiare. Non accettiamo lezioni”. Sempre tosto. Ma alle 17 e 26 una velina di Palazzo Chigi fa suonare i sistemi d’allarme: “Le bozze dello Sblocca-Italia che stanno circolando sono scadute”. Ultima pagina del taccuino, nota a margine: “Yogurt legislativo”. Sto per chiudere il pezzo, è venerdì pomeriggio, il Consiglio dei ministri è riunito, sul telefonino lampeggia un tweet che mi ha inviato il banchiere d’affari Guido Roberto Vitale: “Urge sostenere Renzi nella sua lotta per le riforme”. Siamo alla coalizione dei volenterosi.